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da "Almanacco Illustrato del Milan" - Ed. Panini Modena, 2005
L'ennesimo cambio al vertice societario (il terzo in tre anni) porta alla presidenza Felice Colombo. Nils Liedholm ritorna sulla panchina del Milan che si rinforza con i promettenti Ruben Buriani, Ugo Tosetto e Roberto "Dustin" Antonelli, tutti provenienti dal Monza (il terzo come rientro dal prestito). Lascia, dopo 11 stagioni, Angelo "Anguilla" Anquilletti, altra istituzione milanista. Il rendimento è sicuramente migliore di quello dell'anno precedente ed alla fine il 4° posto è accolto con soddisfazione da società e tifosi.
La classifica finale vede la Juventus ancora campione con 44 punti, il Vicenza ed il Torino a quota 39 e il Milan a 37. Non mancano le buone partite come il doppio pareggio con la Juventus (1-1 a Torino, con gol di Aldo Maldera e 0-0 a San Siro), la vittoria nel derby d'andata per 3-1 con due gol di Buriani e il 5-1 casalingo alla Fiorentina (prima di questo incontro Gianni Rivera era stato premiato per le 500 partite in rossonero). Coppa delle Coppe (eliminati al primo turno dagli spagnoli del Real Betis di Siviglia) e Coppa Italia (qualificato il Napoli per miglior differenza reti...), anche se per diversi motivi, portano solo amarezze. Il 23 aprile 1978 esordisce in squadra, alla 28^ giornata di campionato a Verona, con una vittoria per 2-1, Franco" Baresi.


da E. Tosi – Forza Milan! – La storia del Milan ("Il decennio della Stella e il buio dei primi Anni Ottanta"), maggio 2005
Ennesimo cambio al vertice societario nel 1977-78: Felice Colombo è il nuovo presidente. Nils Liedholm ritorna al Milan come allenatore. Buriani, Antonelli, Novellino e Tosetto sono i nuovi acquisti. Il comportamento della squadra è buono (quarto posto finale), ma ormai solo la Stella può ricompensare la tifoseria di anni di delusioni: la Stella del decimo titolo, ormai un vero e proprio incubo.






La rosa del Milan per la stagione 1977-78 nella cartolina ufficiale



dal sito www.wikipedia.org
1977-78: IL QUARTO POSTO CON LIEDHOLM
Grazie all'arrivo di Nils Liedholm in panchina e una politica societaria basata sui giovani e sul vivaio, la squadra riacquista freschezza e chiude con un brillante 4° posto il torneo 1977-1978, dopo aver trascorso metà campionato al vertice della classifica. Il 23 aprile 1978, a Verona, nella gara vinta per 2-1, esordisce in Serie A Franco Baresi, futura bandiera e capitano del Milan per ben due decenni.

AVVENIMENTI
La Juventus continuò a percorrere la strada della ricerca di giovani calciatori italiani e, pur subendo ancora una volta brucianti sconfitte in Coppa dei Campioni, mieté successi in Italia: fu il quinto scudetto in otto anni per i torinesi che, con il 18esimo titolo assoluto, compirono un ulteriore passo avanti verso la seconda stella dorata.
Il campionato iniziò l'11 settembre e i sei gol che i bianconeri rifilarono al Foggia suonarono come un avvertimento, anche se i primi a tentare la fuga, dopo la sconfitta dei bianconeri contro la Lazio, furono i rossoblù del Genoa. Bene anche il Milan, in testa dopo sei giornate. I rossoneri condussero fino al 31 dicembre 1977, quando pareggiarono a Bergamo e la Juve li raggiunse per poi prendere velocità. Il 22 gennaio i bianconeri furono campioni d'inverno. Ancora una tragedia, durante il girone d'andata, aveva sconvolto il campionato: il 30 ottobre, al 50' di Perugia-Juventus, il giovane centrocampista biancorosso Renato Curi piombò a terra esanime e tutti i tentativi di salvargli la vita si rivelarono inutili. A ucciderlo, un male al cuore mai diagnosticato prima dai dottori della squadra e della FIGC; gli umbri, commossi, gli dedicarono lo stadio.
Con l'inizio del girone di ritorno la Juventus si ritrovò alle spalle un'inedita coppia d'inseguitrici: il solito Torino e lo spettacolare Lanerossi, vivace neopromossa che, per il suo gioco spumeggiante votato all'attacco (l'appena ventunenne Paolo Rossi si laureò capocannoniere con ben 24 gol al termine del campionato), si guadagnò il nomignolo di Real Vicenza. La Juve amministrò comunque il ritorno, anche se due pareggi contro Inter e Bologna non le fecero vivere un finale di campionato troppo tranquillo, visto che il Torino ambì all'aggancio. Pareggiando a Roma contro i giallorossi, il 30 aprile, i bianconeri furono Campioni d'Italia per il secondo anno consecutivo; Vicenza e Torino, seconde, chiusero a cinque punti di distacco.
Sudarono freddo il Bologna, per la prima volta nei guai e costretto alla rimonta nel girone di ritorno, e la Fiorentina, terza l'anno prima e salva solamente grazie a una migliore differenza reti nei confronti di Foggia e Genoa, che scivolarono in Serie B. Esordio in Serie A da dimenticare per il Pescara, prima abruzzese a vedere la massima categoria. A giugno la qualificazione del Napoli per la finale di Coppa Italia contro l'Inter garantì ai partenopei un posto in zona Uefa.




Intervista a Ruben Buriani
novembre 1977

Ruben Buriani: Questo Milan ha un "Tigre" nel motore
MILANO - E' tanto saggio che dovrebbe avere, sulle spalle poderose, almeno dieci anni più dei ventidue che ha e che dimostra solo quando ti afferma che sì, la vita è proprio meravigliosa. E che vale proprio la pena di trascorrerla bene.
Te lo afferma, serio e compito, quasi commosso, allorché si parla dell'aborto: non quando gli chiedi del derby della Madonnina, il suo primo derby, che ha caratterizzato con invenzioni tanto favolose da ricordare, lui emiliano trapiantato in Lombardia, le prove a tutto campo dei Di Stefano e dei Cruijff (si fa per dire).
Ma tutto ha una logica: pure l'esistenza di Ruben Buriani le cui convinzioni hanno substrato tanto maligno quanto reale. Quattordicesimo di quattordici fratelli, ha capito subito, da impubere giovincello, cosa significa patire la fame, cosa vuol dire sacrificarsi. Per sé e per gli altri. Glielo hanno insegnato l'esperienza quotidiana e il comportamento dei genitori e dei fratelli: ai quali è legato con rapporto quasi ombelicale. E' contento del suo presente nella misura in cui - dice - lo sono i «vecchi» a casa.
E' inevitabile, quindi, che non sia favorevole all'aborto: «E' un argomento complesso - afferma - perché tutti i bimbi hanno diritto di nascere e di vivere, ma di vivere bene. Ci sono, però, tante e tali situazioni a questo mondo che mai un giudizio deve essere assoluto: non si può divenire, credo, giudici obbiettivi delle decisioni altrui».

Del divorzio pensa, invece, che sia cosa utile: «Quando due non stanno bene assieme, è meglio che si dividano, se possono, soprattutto quando succedono fatti che squalificano la vita in comune». Non si interessa di politica: però - né poteva essere altrimenti - ha alto senso sociale: sono le sperequazioni, in particolare, che lo tormentano. «Posso affermarlo con cognizione di causa - dice Buriani - perché, anche se ora guadagno bene, ho sperimentato la povertà. E non tollero che, accanto al ricco, ci sia pure quello che non può permettersi il lusso di vivere con dignità».
Rispetto ai suoi coetanei (e ai non coetanei) è coerente fino in fondo: non solo a parole. Lo stipendio, per la quasi totalità, lo dirotta a casa («ci pensa mio padre a farne l'uso che crede»); le giornate invece che in un lussuoso appartamento, le trascorre in un modesto monolocale dove in pochi metri quadrati, un impietoso architetto dei giorni nostri ha sistemato tutto quanto può servire. Si trova bene da solo e in compagnia: «mi adatto - gli viene spontaneo confermare - nel senso che cerco di trovare i lati migliori d'ogni esperienza in cui mi calo».
E' FIDANZATO con Raffaella, dolce e matura diciottenne di Monza, che gli cura pure le pubbliche relazioni. Anche perché Ruben non ha telefono e per rintracciarlo tocca chiamare la casa della sua futura compagna. Si sposeranno fra uno o due anni: ed è, questo, un segno di equilibrio, tenuto conto che Ruben e Raffaella si conoscono dal 73, quando la giovane speranza Buriani iniziò con Magni allenatore, la sua «escalation» ai vertici nazionali. La «fama» non gli dispiace: cerca, anzi, di assaporarla; significa che s'è comportato bene, addirittura benissimo, come in occasione del 180. derby della Madonnina.
Deve molto a Giorgio Vitali, il direttore sportivo del Napoli: fu lui difatti a volerlo al Monza (si era nel 72) nell'ambito di una operazione che la società lombarda concluse con la Spai di Mazza. Nativo di Quartiere, che è un comune in provincia di Ferrara, era logico che iniziasse a giocare al pallone con la maglietta della Spai che allora (maestro Massei) era financo capace di tirare lo sgambetto agli squadroni metropolitani. A tredici anni e mezzo ebbe origine la storia di Buriani-calciatore: dopo la consueta trafila nelle formazioni giovanili della compagine bianco-azzurra, Ruben si immerse nelle nebbie della Padania superiore.
«Dapprima - ricorda - non mi trovai a mio agio: poche le amicizie, scarsa la fiducia che David, il tecnico del Monza, riponeva in me, tanta la paura di aver sbagliato carriera».
- Poi all'improvviso, cambiarono molte cose...
«Infatti. Mario David lasciò la squadra prima della fine del girone d'andata poiché la situazione di classifica non era florida. Al suo posto i dirigenti lombardi (fra cui era Felice Colombo, che è oggi presidente del Milan) promossero Magni, allenatore della "primavera". Con lui conquistai la maglia da titolare: e per quattro stagioni feci parte del centrocampo monzese».
- Non ti mancarono le soddisfazioni...
«Tutt'altro. A cominciare dalla promozione nella serie cadetta e dal brillante campionato che disputammo la scorsa stagione. Quando, per un punto, rimanemmo fuori dai giro della promozione in serie A».
- Che a te è giunta ugualmente!
«Eppure la delusione è stata cocente: pensi solo che il Genoa, in precedenza, riuscì a compiere il salto con tre punti meno di quelli che totalizzò il Monza. La verità è che, a parte la flessione finale, la promozione la perdemmo con il Cagliari: non andammo al di là dello zero a zero e si infortunarono Tosetto, Braida, Pallavicini e Gamba».
- E' molto differente il mondo della serie A da quello della B?
«Tecnicamente non tanto: nella serie cadetta si gioca benino anche se si corre di più, palla al piede. Differente è lo stress; maggiore in B: il campionato è lunghissimo e non ti concede respiro: alla fine ti ritrovi vuoto fisicamente e mentalmente».
- E l'ambiente?
«La mia esperienza fa testo fino ad un certo punto. Quando ero al Monza si era instaurato un clima davvero fraterno anche con i dirigenti. Eppoi, noi giocatori scapoli si viveva tutti insieme. Al Milan è diverso: ci si ritrova solo a Milanello per gli allenamenti. Poi, ognuno percorre la sua strada».
- Con i compagni di squadra esiste particolare amicizia?
«Io sto bene con tutti. In particolare con Tosetto; ma è logico: eravamo alla Spal assieme, ed insieme ci siamo ritrovati a Monza e poi a Milano. Con Rivera? Ci parliamo poco anche perché lui sta sulle sue; di questi tempi - poi - è piuttosto silenzioso con chiunque».
BENCHÉ' ABBIA in custodia la maglia numero sette, Buriani è centrocampista puro; corre per due, «come un matto», hanno detto malignamente i tifosi di fede interista l'altra domenica, ma non è vero affatto. E' anzi, Ruben, uno dei pochi calciatori italiani che sa muoversi senza palla: molto bene, può aggiungersi. Anche se stilisticamente non è un portento, è giocatore valido in assoluto: a parte la vitalità, infatti, ha innato il senso della posizione: una dote che, se non ce l'hai, nessuno te la può inculcare.
Eppoi è ambidestro benché calci meglio con il piede destrorso; possiede tiro potente e preciso; sa cos'è il collettivo di cui interpreta alla perfezione un ruolo importante: al contempo, infatti, è portatore d'acqua e campione. Sintesi importante, quasi matematica, del suo nascere e del suo divenire. Nella vita come nello sport. Di certo, alla Scala del calcio italiano, non stona affatto. In occasione del derby, di cui s'è rivelato il protagonista principe, ha steccato solo un cross: in apertura, poi non ha sbagliato nulla: le cose facili e quelle meno facili. Con classe e testardaggine. Ha detto e scritto Brera che il Milan rimarrà in vetta fino a che reggeranno i Bigon, i Morini, i Buriani. I corridori del centrocampo rossonero, le stampelle dei Capello e dei Rivera: che, del campo, occupano zone strategiche ma poco vaste.
Ebbene, Buriani, che non è «solo» corridore, risponde che non è proprio il caso di allarmarsi. Lui è abituato alla serie B, alle trentotto giornate consecutive (ci si ferma solo a Natale), alla concentrazione più assoluta. In A si gioca meno: ci sono soste più numerose: si può tirare il fiato. Correre per trenta partite, insomma, magari sbagliando qualcosa, non lo spaventa proprio. Quanto agli altri, non sa: anche se, in cuor suo, spera che reggano: per portare il Milan dove non può essere raggiunto da alcuno. La soddisfazione della «stella», in definitiva. Ci spera, nello scudetto, così come spera nella maglia azzurra: ma con pudore, quasi temesse di aver allungato troppo la gamba, di aver osato nella misura di Ulisse, che patì - poi - il suo ardire e la sua ansia di andare sempre avanti nella conoscenza.
«Non si può avere tutto - dice Buriani -, bisogna anche sapersi accontentare; e ricordarsi che esiste gente che sta peggio di te».
- Dicono che sei maturo per andare in Argentina...
«Alla maglia azzurra ci si pensa sempre, soprattutto quando si comincia a tirare i primi calci veri ed i sogni si stingono ancora nella realtà. Fossi fra i ventidue dei mondiali vivrei la favola più affascinante che mi cullava da piccino».
A poco più di ventidue anni ha vissuto, Buriani, una giornata indimenticabile, una stracittadina da cornice; tre i momenti magici: il gol che ha realizzato subito, al 4'30" di gioco; il salvataggio su Anastasi che stava accarezzando l'idea del pareggio; la rete della sicurezza che ha permesso a paron Rocco di rimanere in panchina e di non temere più le scariche di adrenalina.
«Eppure - racconta - ho provato qualcosa solo all'inizio della partita, quando mi sono accorto che a guardarci era tutta la città: la muraglia umana di San Siro ne era il simbolo. Poi ho giocato come al solito. Con identica concentrazione, voglio dire».
- Ti sei reso conto della tua superba prestazione...
«Un poco, forse, dopo aver siglato la terza rete: quando mi sono accorto di essere anch'io fra i protagonisti».
- E poi?
«Tante pacche sulle spalle e tanti "bravo". Neanche la mia fidanzata s'è scomposta: lei, però, non si esalta né si avvilisce. La frase che mi ha colpito veramente, nell'intimo, è stata di mia sorella: quando mi ha detto, per telefono, che i miei stavano bene. E che gioivano. Avevo temuto, infatti, che si emozionassero a tal punto da soffrire».
- Resta da chiederti perché ti hanno chiamato Ruben...
«Non so: non ci ho mai pensato: dovrò chiederlo al padrino che mi ha battezzato: chissà cosa gli è passato per la mente in chiesa: e pensare che doveva chiamarmi Daniele...».
Ci salutiamo così, nel suo monolocale, pensando che un fuoriclasse deve essere diverso anche nel nome. Casualità o destino?








Intervista a Gianni Rivera, dal "Guerin Sportivo"
dicembre 1977

Gianni Rivera: Me lo vinci, ...papà?
MILANELLO. Dalle cucine arriva un intenso profumo di arrosto. Nella saletta, dalla quale si scruta fino agli spogliatoi, Nereo Rocco beve un bicchiere di bianco friulano mentre commenta le ultime novità col babbo di Capello. Un'atmosfera idilliaca. E' giornata d'allenamento. Il Milan ai vertici della classifica, in piena solitudine, rende tutti un po' su di giri. E l'aria è ancora dolce, mitigata dai tepori dell'autunno.
«Fra un po' - dice Albertosi appoggiato al bancone del bar - il campo gelerà e la mattina si respireranno ghiaccioli». Gianni Rivera, salutato Liedholm, arriva calmo, risalendo il leggero pendio che porta alla sala da pranzo. Si è cambiato dopo gli allenamenti di stamani e ora indossa una tuta rossa.
- Allora - gli chiedo - questo Milan in vetta alla classifica...?
«Beh, non lasciamoci andare! - esclama - Il campionato per ora è agli inizi. Bisogna aspettare ancora qualche mese per poter dire qualcosa di definitivo, o quasi, sulla classifica. Prendiamo quello che viene. Giochiamo domenica per domenica, senza fasciarci la testa coi ma e coi se. Una volta si gioca bene, un'altra meno bene...»
- Ma tu, che cosa dici? Come ti senti? Pochi minuti fa ho sentito Rocco e diceva che se il Milan è in testa con un Rivera non ancora in forma perfetta, che cosa potrebbe succedere quando tu entrerai in azione in pieno?
«Non so che cosa potrebbe succedere - risponde - Fisicamente mi sento a posto. Sto bene. Sono tranquillo e sereno. Non ho problemi. E' chiaro, non si può essere sempre al massimo. Però, ripeto, mi sento bene».
- E psicologicamente? Come ti senti, con questo Milan in testa, dopo il campionato disastroso dell'anno scorso?
«Diciamo subito che quello di quest'anno, almeno per ora, è un campionato normale, per una squadra come il Milan. Semmai quello passato è stato un campionato incredibile. Un'annata che sarà, a mio avviso, irripetibile. Come condotta di gara infatti e più logica quella di quest'anno».
Gianni Rivera parla lentamente, scandendo bene le parole, dando quasi l'impressione di volerle misurare, una per una.
- In passato - gli dico - sei stato accusato d'essere uno che parlava troppo. Hai fatto spesso delle dichiarazioni abbastanza azzardate.
«Questo della mia loquacità è un problema che non mi tocca e che non mi sono mai posto. E d'altra parte, le opinioni degli altri non m'interessano, in questo senso. Cerco di condurre la mia vita, possibilmente senza dare fastidio a nessuno. Un atteggiamento abbastanza civile, non ti pare? E ciascuno è libero di esprimere le sue opinioni. Per questo, credo, anch'io debbo essere lasciato libero di esprimere le mie. Siamo in democrazia, o no? Lo so, a volte le mie parole hanno dato fastidio. E' così che uno si crea dei nemici».

- Perché tu ne hai molti?
«Penso».
- Che effetto ti fa?
«Non sono un problema così grave. Si vive lo stesso». Rivera abbozza un sorriso.
- Quale definizione vorresti fosse data di te? Che sei bravo, che sei intelligente...?
«Qualsiasi definizione è sempre relativa. Non esiste un termine solo per descrivere una persona nella sua completezza. Non esiste quindi un'espressione che spieghi chi è Rivera, o il tale o un altro ancora. E quando qualcuno si è azzardato a dare una definizione di me, ha preso dei granchi, perché non mi conosceva bene. E' difficile conoscere una persona. Che cosa vorrei si dicesse di me? Non lo so, francamente. Importante, comunque, è che io sia me stesso e non qualcun litro che scimmiotto o al quale m'ispiro».
- Perché giochi al calcio?
«Mi piace. Forse non potrei vivere senza il gioco del calcio. Perché è un gioco. Mi trovo bene in campo. Coi miei amici, quando corro dietro al pallone o quando assisto all'azione di un compagno».
- Vorresti passare alla storia del calcio come il giocatore più grande di tutti i tempi? O il più sfortunato? O il più fortunato?
«Non vorrei proprio passare alla storia! Eppoi non ci credo alla storia, come fatto obbiettivo. Ci son passati a malapena personaggi come Napoleone o Galileo, figuriamoci se ci potrei stare io! Forse nell'elenco dei miti... Ma anche quello non esiste più, casomai fosse esistito un tempo. No, credo proprio che non passerò mai alla storia».
- Dunque non esistono i miti ma tu, non sei già un mito?
«No. Credo poco anche a questo. Forse c'era un certo divismo, in passato, ma i ragazzi d'oggi sono diversi. A parte qualche simpatia non ci vedono come degli esseri superiori sul piedistallo. Una volta c'era qualcuno che ancora tendeva a identificarsi coi migliori. Ma oggi è acqua passata. I giovani non sono così superficiali».
- Eppure, mai come oggi il calcio è stato così in auge, ha interessato tanto le folle.
«Sì, è vero anche questo. Oggi il calcio è Io sport principe. Ma l'interesse del pubblico è rivolto al gioco, non ai miti che potrebbero scaturirne. Oggi il calcio è spettacolo, un divertimento».
- Prima hai detto che il gioco ti diverte e ti riempie la vita. Eppure c'è stato un momento in cui hai pensato di smettere. E forse hai già preso la tua decisione ed hai fissato la data d'addio?
« Sì. c'è stato un momento in cui avrei voluto lasciar perdere tutto quanto e ritirarmi. E' stato un brutto periodo. Ero fermo da parecchio tempo, non sentivo più il fisico rispondere alle sollecitazioni come avrei voluto e in quelle condizioni ritenevo impossibile un mio reinserimento nel tessuto della squadra. Allora, ho pensato seriamente di smettere. Ma ho superato quel brutto momento. Ho ripreso a giocare ed anche fisicamente sono tornato a posto. Oddio, non voglio andare avanti fino alla vecchiaia sia chiaro! Ormai, per me non si parla più in termini di anni, ma di mesi. Saranno dieci, o dodici, o diciotto? Chissà. Mi sono ripromesso tuttavia di non smettere finché il mio fisico reggerà. Solo quando non ce la farò più fisicamente smetterò di giocare».
- Lasciare lo sport significa cominciare una nuova vita. Hai già pensato che cosa fare quando non sarai più un giocatore?
«Sì, ogni tanto ci faccio un pensierino. Ma non in maniera ossessionante. Per il momento non mi assillo con questo problema. Ho tanti amici, qualcuno mi darà una mano a intraprendere qualche attività. La regola dei grandi sogni da ragazzino per me non vale. Prima di tutto perché non ci credo, eppoi perché il mio sogno, che era di giocare, si è realizzato. Penso che il mio futuro, quello del dopo-calcio, lo penserò strada facendo».
- Ti reputi un uomo d'affari?
«No. Non credo proprio. Però non si può mai dire. Chissà che cosa ci riserva la vita. Magari un giorno mi ritrovo a fare l'industriale...».
- E da qualche mese sei anche papà...
«Sì, sono diventato padre. Beh, ogni volta che me lo sento dire mi stupisco. Ce n'è talmente tanti di papà! Uno in più non dovrebbe destare tanta sensazione».
- Diciamo che è stato il modo e che ha influito anche la notorietà dei genitori a far sì che Nicole, tua figlia, diventasse tanto importante. Comunque qual è il tuo rapporto di padre?
«Mi pare un po' presto per parlarne. Nicole è ancora troppo piccola. Aspettiamo che cresca. In ogni caso non cercherò di essere un padre ossessivo ed apprensivo. Sarà lei a impostare la sua vita. Per lei non ho fatto alcun programma».
- Si è parlato tanto anche di matrimonio. Era stato detto che tu ed Elisabetta Viviani eravate sposati segretamente; poi che non lo eravate più; infine che vi sareste sposati prestissimo...
«C'è stato un periodo in cui mi divertivo molto a leggere i giornali. Ognuno tirava a indovinare. Oppure metteva in pratica quanto la politica del giornale suggeriva. Inutilmente ho detto chiaro e tondo che io ed Elisabetta non eravamo sposati! Ed è la sola verità».
- Ma c'è, nei vostri progetti, il matrimonio?
«No. Per il momento non se ne parla. Ma debbo dire che questa situazione, creatasi da sola, si sta rivelando la migliore. Una situazione, peraltro, normalissima. Non capisco perché continui a destare tanto scalpore».
Dalla sala da pranzo giunge il richiamo di Rocco. Gli altri giocatori sono già a tavola. E' spuntato anche il sole e la nebbiolina del primo mattino se n'è andata. Rivera si alza, mi saluta e, ringraziando, se ne va nell'altra stanza. A me rimane l'aroma dell'arrosto e il brusio dei commensali.




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Ragione sociale Milan Associazione Calcio S.p.A. (A.C.M.)
Felice Colombo,
presidente rossonero
per la stagione 1977-78
Colori sociali Rosso e nero a strisce verticali
Data di fondazione 13 dicembre 1899
Sede Via Filippo Turati, 3 - MILANO
Centro Sportivo Milanello - Carbonolo di Carnago (VA)
AREA DIRETTIVA
Presidente Felice Colombo
AREA TECNICA
Direttore Sportivo Alessandro Vitali
Allenatore Nils Liedholm
Allenatore in Seconda Alvaro Gasparini
Preparatore Atletico Aristide Facchini
Allenatore Primavera Carlo Annovazzi
AREA SANITARIA
Medico Sociale Giovanni Battista Monti
Massaggiatore Carlo Tresoldi
SQUADRA
Capitano Gianni Rivera
Campo sportivo Stadio San Siro - MILANO
Giocatori di partite ufficiali Enrico Albertosi, Roberto Antonelli, Franco Baresi II, Aldo Bet, Giorgio Biasiolo I, Albertino Bigon I, Simone Boldini, Ruben Buriani, Egidio Calloni, Fabio Capello, Gabriello Carotti, Fulvio Collovati, Luciano Gaudino, Aldo Maldera III, Giorgio Morini, Antonio Rigamonti, Gianni Rivera (cap.), Giuseppe Sabadini, Giovanni Sartori, Ugo Tosetto I, Maurizio Turone, Sergio Valentinuzzi I
Palmares Trofeo "Villa de Madrid"
La Squadra "Allievi Nazionali" vince il Trofeo "Ottorino Barassi"
La Squadra "Giovanissimi" vince il Torneo "Città di Valenza"