Nils Erik LIEDHOLM (I)
"Barone"

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(Archivio Magliarossonera.it)



Scheda statistiche giocatore
  Nils Erik LIEDHOLM (I)

Nato l'08.10.1922 a Valdemarsvik (SVE), † il 05.11.2007 a Cuccaro Monferrato (AL)

Centrocampista (C) e Allenatore, m 1.83, kg 82

DA GIOCATORE:

Stagioni al Milan: 12, dal 1949-50 al 1960-61

Soprannomi: “Barone”, “Zatopek” (datogli da Gianni Brera), “Liddas”, “Nisse”, “Pel di Carota”

Proveniente dall'IFK Norrkoeping

Esordio nel Milan in gare ufficiali e in Campionato (Serie A) l'11.09.1949: Sampdoria vs Milan 1-3

Ultima partita ufficiale giocata con il Milan il 18.06.1961: Nimes Olympique vs Milan 2-0 (Coppa dell'Amicizia)

Totale presenze in gare ufficiali: 394

Reti segnate: 89

Totale presenze in gare amichevoli: 150 (dato approssimativo, non essendo rintracciabili i risultati e le formazioni di tutte le gare giocate)

Reti segnate in gare amichevoli: 61 (dato approssimativo, non essendo rintracciabili i risultati e le formazioni di tutte le gare giocate)

Palmares rossonero: 4 Scudetti (1950-51, 1954-55, 1956-57, 1958-59), 2 Coppe Latine (1951, 1956), 4 Coppe di Disciplina “A” (1950, 1951, 1956, 1957), 1 Campionato "Cadetti" (1956-57)

Palmares personale: 2 Campionati Nazionali (1947 e 1948, Norrkoping), 1 Coppa di Scandinavia (1948, Norrkoping), 1 Medaglia d’Oro (Olimpiadi del 1948 di Londra, Nazionale Svedese), 1 finale di Coppa del Mondo contro il Brasile (1958, Nazionale Svedese)

Esordio in Nazionale Svedese il 15.06.1947: Danimarca vs Svezia 1-4

Ultima partita giocata in Nazionale Svedese il 29.06.1958: Svezia vs Brasile 2-5 (Finale Mondiale)

Totale presenze in Nazionale Svedese: 23

Reti segnate in Nazionale Svedese: 11

Nelle 359 partite giocate col Milan in Serie A non è mai stato ammonito

DA ALLENATORE:

Stagioni al Milan: 8, dal 1963-64 (subentrato a Luis Carniglia nel marzo 1964) al 1965-66 (causa epatite, sostituito da Giovanni Cattozzo in marzo 1966), dal 1977-78 al 1978-79 e dal 1984-85 al 1986-87 (esonerato il 5 aprile 1987)

Esordio sulla panchina del Milan in gare ufficiali il 08.03
.1964: Catania vs Milan 0-1 (*)

Ultima partita sulla panchina del Milan il 05.04
.1987: Avellino vs Milan 2-1 (Campionato)

Totale panchine in gare ufficiali: 280

Palmares rossonero: 1 Scudetto (1978-79), 1 Coppa Lanza di Trabia (1964), 1 Torneo “Villa de Madrid” (1977), 1 Torneo “Città di Milano” (1978), 1 “Guerin d’Oro” (1979)

Palmares personale: 1 Scudetto (1982-83, Roma), 3 Coppe Italia (1980, 1981, 1984, Roma), 1 finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool (1984, Roma), 2 volte “Seminatore d’Oro” (1975 e 1983, Roma), 1 Coppa di Disciplina “A” (1980, Roma), 1 “Guerin d’Oro” (1983, Roma), 1 Coppa di Disciplina “A” (1973, Fiorentina), 1 Promozione in Serie A (1967-68, Verona), 1 Promozione in Serie A (1969-70, Varese)



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Ha giocato anche con lo Jarnvagsgatan (Dil.) (1938), l'IK Sleipner (B) (1944-46), il Waldemarsvik (C) (1939-43) e l'IFK Norrkoeping (A) (1946-48).

Ha allenato il Verona (B e A), il Monza (B), il Varese (B), la Fiorentina (A) e la Roma (A).

Era sposato con la signora Maria Lucia Gabotto, scomparsa nel marzo del 2004.





Liedholm sull'Album Panini 1961-62









Nils Liedholm con il figlio Carlo

"Nonostante abbia cambiato varie squadre è rimasto sempre fedele a quel suo italiano forzatissimo, anche dopo anni e anni di residenza nel nostro Paese. Oltre che nella pronuncia la Svezia ce l'ha, dunque, sempre nel cuore. Amante della zona pura sul campo di gioco e delle coltivazioni di vigneti fuori, Liedholm ha vissuto con il Milan e per il Milan i momenti più significativi dell'intera carriera." (Da Figurine Masters Card Edizione 1992-93")

"Forma con Gren una mirabile coppia di interni. Lui a sinistra, il «professore» a destra. È il più longevo del GRE-NO-LI il che gli consente di passare alla storia come lo straniero con più presenze in rossonero (394 in 12 stagioni con 5 scudetti conquistati di cui uno da allenatore). Tenace." (Luigi La Rocca, Milano, 2001)

"E' uno dei milanisti più amati di tutti i tempi, avendo legato a Milano ricordi memorabili, sia da giocatore (vinse 5 scudetti, vi giunse nel '49 con Gren, con Nordahl composero un trio delle meraviglie), che da allenatore (diresse la società rossonera, stagione '78-79, allo scudetto della stella, ne conquistò un altro storico, con la Roma, stagione '82-83).
Ma il successo arrivò dopo molta fatica. Con un diploma di ragioniere in tasca il giovane Liddas di giorno lavorava in uno studio di consulenza fiscale, la sera si allenava. Arrivò al Milan dal Norrkoping, nel '48, era regista della Svezia, sfortunata finalista con il primo Brasile di Pelè.
Era il cervello della squadra, sorretto da straordinarie doti atletiche e da una classe cristallina: sposò una baronessa piemontese, guadagnandosi l'appellativo di Barone. Giostrava alle spalle dei suoi connazionali Gren e Nordahl. Con il Diavolo giocò 359 partite incorniciate da 81 gol. Storico un aneddoto che lo riguarda: dopo un paio di stagioni con la maglia del Milan, a causa di un passaggio sbagliato, San Siro gli tributò cinque minuti di applausi: "Era tale la novità che il mio errore fu sottolineato da un'ovazione".
Oggi vive in Piemonte con la moglie Maria Lucia (che ha sposato nel '68) a Cuccaro Monferrato, nella tenuta vinicola che dirige con il figlio Carlo. In principio era soltanto un hobby, col tempo è diventata un'industria: oggi la Liedholm SAS è una delle case produttrici di vini doc del Monferrato, che esporta vini in moltissimi paesi." (Tratto dal sito www.acmilan.net)

"Il "Barone", come ribattezzato per l'eleganza del suo gioco oltre che del suo modo di comportarsi fuori dal campo. Giunse in Italia assieme ai suoi due connazionali Gren e Nordhal, già campione consacrato dalla vittoria Olimpica del 1948. Successo ottenuto da una Svezia a cui solo le remore dei dirigenti scandivano in materia di professionismo sportivo impedirono di essere protagonisti anche ai mondiali fino al 1958. Con la maglia del Milan Liedholm ha disputato dodici campionati collezionando 359 presenze e piazzandosi al terzo posto dopo Baresi e Rivera tra i campioni rossoneri di tutti i tempi. 81 gol segnati ma innumerevoli gli assist che hanno consentito ai suoi compagni di andare in gol. Si dice che quando Liedholm sbagliava un passaggio San Siro esplodeva in un applauso tanto erano rari i suoi errori. Conclusa la sua carriera di giocatore (a 39 anni), Liedholm si è trasformato in allenatore in allenatore. Uno scudetto con il Milan ('78/'79) e uno con la Roma ('82/'83)." (dal sito AC Milan.com)





Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org

Prima calciatore, poi tecnico, infine dietro la scrivania: una vita da maestro distribuendo saggezza e ironia, flemma e buon senso, battute e paradossi

Nils Liedholm è nato a Valdemarsvik, cittadina svedese che oggi conta 9000 anime, un ridente e pittoresco villaggio situato su una baia punteggiata da tipiche case di legno rosso bordeaux, con lo sfondo verde degli abeti e delle betulle. È una zona di agricoltori benestanti con fattorie attrezzate. Fare il contadino, qui, significa essere libero e ricco, avere un contatto privilegiato con la stupenda natura.
E fare il contadino era appunto il sogno del piccolo Nils, perchè pensare di vivere di solo calcio non era possibile nella Svezia di quegli anni.
Suo padre invece lo voleva impiegato nello studio di un avvocato, a occuparsi di tasse: sarebbe stato orgoglioso di poter aver in casa un futuro esperto fiscale. Il giovane Nils si dovette rompere una gamba per dimostragli che sognava l'irrealizzabile. Di sera si allenava con i campioni di Bandy, una sorta di hockey su ghiaccio violentissimo. Dagli scontri usciva pesto e sanguinante spesso e volentieri. Così si rafforza il fisico, il fiato invece lo accumula con i fondisti dello sci. E la mattina presto subito al campo: due ore di porta a porta palla al piede, a velocità sostenuta, intervallata da scatti violenti.
Tanto sport e tanti sport, ma il calcio resta al primo posto. A 16 anni gioca già titolare nella squadra del paese. Quattro anni più tardi si trasferisce all'IK Sleipner, poi il salto nel Ifk Norrkoeping. Presto la nazionale s'accorge di quel giovanotto alto e dinoccolato, che si muove instancabilmente per tutto il campo. Nel '48 Liedholm è tra i protagonisti della vittoria svedese nel torneo olimpico e il selezionatore Krek gli dedica un complimento del quale andrà sempre orgoglioso: «Se potessi disporre di undici Liedholm, batterei ogni avversario».
E' in grado di occupare qualsiasi ruolo, dalla difesa all' attacco. Infatti nel Milan giocherà da interno, da mediano e infine da libero.
La chiamata per l'Italia, la chiamata della sua vita, arriva l'8 agosto 1949. A convincerlo a tentare l'esperienza sono Nordahl e sua moglie, l'allenatore Czeizler e il direttore tecnico del Milan, Busini. Ricordava: «Accettai soprattutto per stanchezza. Parlammo per una notte intera. Era ormai l'alba quando dissi di sì».
Comincia il campionato 1949-50 e nel Milan si ricompone il trio centrale della nazionale svedese. C'è Nordahl, c'è Liedholm e cè pure Gunnar Gren. Se Nordahl è un poderoso goleador, cinque volte capocannoniere, e Gren un geniale suggeritore di gioco, lui corre molto.
Possedeva una falcata da mezzofondista, era abile nei passaggi smarcanti e aveva un tiro niente male. Nasce la leggenda del Gre-No-Li.: la sigla la inventò un giornalista, che faticava a pronunciare e scrivere i cognomi degli svedesi, e che così pensò bene di abbreviarli.
Dodici stagioni nel Milan e quattro scudetti. Liedholm ha quasi 39 anni quando smette di giocare, dopo aver fatto da balia a ragazzi come Rivera, Trapattoni e Salvadore. Alle spalle si lascia 359 partite, 81 gol ed episodi mitici, in bilico tra realtà e fantasia. Il più lungo applauso a scena aperta lo ricevette a San Siro il giorno in cui sbagliò un passaggio: non era mai successo.
E all'allenatore Viani (grandissimo tattico, anche se Liedholm sosteneva che la tecnica dovettero spiegargliela lui e Schiaffino...) che gli ordina di cambiare la propria posizione in campo, Nils replica serafico ma deciso: «Lei comanda fuori dal campo, io sono il capitano e comando in campo».
Liedholm si iscrive al corso allenatori. Fresco di diploma, diventa allenatore del settore giovanile del Milan, ma nel 1964 deve sostituire l'argentino Carniglia, guidando il Milan al terzo posto, preceduto da Bologna e Inter, protagoniste di uno storico spareggio.
La stagione successiva è quella del clamoroso sorpasso interista ai danni del Milan, che si fa rosicchiare sette punti di vantaggio. Presidente era Felice Riva, che convinse Altafini a tornare dal Brasile e suggerì a Liedholm di farlo giocare anche se poco allenato: un errore che costò lo scudetto.
L'anno seguente è un piatto di ostriche a tradirlo. Epatite virale, la malattia lo costringe 53 giorni a letto e poi a 8 mesi di convalescenza Quando guarisce, la panchina è già occupata.
A Liedholm giunge una proposta che sembra un suicidio. Lo vuole il Verona di Garonzi, che nel 1967 sta per sprofondare in serie C. Nessuno crede alla salvezza dei gialloblù, invece l'impresa riesce e l'anno dopo il Verona sale addirittura in serie A. Un'altra impresa disperata lo attende a Monza, pur esso a due passi dalla C. E' di nuovo salvezza, un'impresa che Liedholm amerà ricordare come la maggiore soddisfazione di tutta la sua carriera in panchina.
C'è un' altra stagione in B per Liedholm, che trascina il Varese alla promozione e lancia un futuro campione che si chiama Bettega. Nel 1971 Liedholm si trasferisce alla Fiorentina, due stagioni intermedie con il merito di aver fatto da chioccia ad un altro futuro campione: Giancarlo Antognoni.
Se ne va da Firenze perché lo vuole l'Inter, ma all'ultimo momento Fraizzoli non ha il coraggio di sfidare chi lo considerava troppo milanista.
Lo vorrebbe anche la Juve, ma Liedholm non s'accorda con Boniperti e regala ai cronisti uno dei suoi paradossi più felici: «Non vado a Torino per lealtà verso il campionato. La Juve e io, insieme, lo uccideremmo».
Nell'autunno del 1973 Liedholm intraprende la prima delle sue quattro esperienze romaniste, invitato da Gaetano Anzalone a sostituire il filosofo Scopigno. Sulle rive del Tevere trova ragazzi interessanti come Conti, Di Bartolomei e Rocca. Sono quattro stagioni in chiaroscuro, i cosiddetti anni della Rometta, ma nel 1977 il Milan si ricorda del Barone e lui questa volta non sa resistere.
La prima stagione (1977/78) serve a ricostruire l'ambiente, devastato nella stagione precedente dall' esperimento Marchioro con i rossoneri in zona retrocessione, e soprattutto e rimotivare Gianni Rivera, ormai dato per finito.
Il Milan infatti gioca senza punte, con il solo Stefano Chiodi attaccante di ruolo ma vera sciagura sotto rete. Liedholm si inventa quindi un tourbillon sulla tre-quarti con Bigon sugli scudi e il terzino Maldera goleador. E' una lotta fino all'ultimo sangue con il Perugia dei miracoli di Castagner (che terminerà il campionato imbattuto) a lottare fino all'ultimo.
All'indomani dello scudetto Liedholm chiede un contratto triennale, il presidente Colombo gliene offre uno di dodici mesi. Lui allora accetta di tornare a Roma, dove il presidente Viola sta per trasformare «la Rometta» in un squadrone, protagonista il brasiliano Falcao, «il più grande regista tattico che io abbia mai visto».










Il Valdemarsvik del 1942:
Liedholm è il terzo in piedi da sinistra














In cinque stagioni un gioco che incanta, tre Coppe Italia, lo splndido scudetto della stagione 1982/83 e una finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori contro il Liverpool: tanto, tantissimo per il pubblico romanista rassegnato da 40 anni a una Roma mediocre.
Nell' estate successiva Liedholm sbarca nuovamente al Milan, dove la burrascosa gestione Farina sta per fare posto a Silvio Berlusconi, che nell' 87 lo sostituisce con Capello, relegandolo al ruolo di direttore tecnico.
L' anno dopo Liedholm intraprende la sua terza avventura alla Roma, che però si conclude male. Esonerato e poi richiamato da Viola, lo svedese verrà infine rimpiazzato da Radice. È il 1988. Liedholm resta senza panchina per due anni, durante i quali provvede a sviluppare la propria azienda vinicola, assistito dal figlio.
Un' altra stagione poco felice al Verona è il prologo a un nuovo e lungo periodo di inattività calcistica, dalla quale nel '97 lo schioda Sensi per affidargli la Roma dopo l'esonero dell'argentino Carlos Bianchi. Liedholm ha già 75 anni, viene affiancato da Ezio Sella, allenatore della Primavera giallorossa, e combina poco: una sola vittoria in otto partite e appena quattro punti di margine sulla retrocessione. Sostituito da Zeman, Liedholm diventa il consigliere tecnico del presidente romanista, incarico svolto fino al 2002 per poi dedicarsi anima e corpo ad una serena vecchiaia ed alla sua azienda vinicola, attorniato dalla natura, dal buon vino e dall'allegria dei nipoti.
Nils Liedholm ci ha lasciato il 5 novembre 2007 a 85 anni, ma resterà sempre un esempio irripetibile di un calcio e un di mondo che non c'è più. Maestro non solo di calcio e pieno di qualità impareggiabili: sicuramente sapienza e arguzia, aggiunte alla capacità di sdrammatizzare anche le situazioni più delicate.







(dal "Corriere dello Sport")



Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org - agosto 1979

LIEDHOLM: "MI GODO LA GIOVINEZZA ADESSO CHE SONO VECCHIO..."
ANTEFATTO: Agosto 1979, dopo lo scudetto vinto alla guida del Milan, Liedholm passa alla Roma. Eccolo in un intervista...di mezza estate
BRUNICO. «Mi godo la giovinezza, adesso che sono vecchio...». Nils Liedholm resta impassibile; lascia che la frase faccia ridere gli altri. Capita spesso. Il suo humour contiene brividi di follia alla Woody Alien o chissà cos'altro. Ad ottobre avrà 57 anni: vive in Italia dal 1949 e giura che quando ritorna in Svezia si sente un estraneo. Stasera ha voglia di piovere. Si aggira intorno all'albergo della Roma un vento appuntito e a singulti. Insieme, guardiamo muovere brandelli di tendoni sui terrazzi, andiamo al bar quasi per rientrare in un cavo domestico. «Quando ero giovane dicevo che dovevo vivere da vecchio e ci sono perfettamente riuscito. Non era però vita umana e sarebbe pazzesco pretenderla dai giocatori d'oggi. Se avevo voglia di fare all'amore mi dedicavo a letture di psicologia e i desideri passavano. Dopo aver lavorato cinque giorni la settimana, al sabato non andavo neppure a ballare. Mi sembrava peccato, ritenevo fossero ore sprecate. Avevo il calcio, sempre il calcio nel cervello. Una malattia. Da casa a scuola erano sette chilometri. Ebbene, da ragazzino, li. percorrevo a piedi, dietro un sasso che colpivo ripetutamente coi due piedi. Sempre quello per sette chilometri. Lo sapevi?».

Ascolto e penso che si è appesantito, a dispetto delle saune, del tennis giocato solo con quelli che non lo obbligano a scendere sotto rete, dello sfavillante passato da «Renna» del Gre-No-Li, nel Milan di dodici stagioni. Vorrei intenerirlo, assicurargli che è stato il fondista idolo della mia infanzia. Cito particolari che dovrebbero riguardarlo, e lui: «Ma come fai ad avere tanta memoria. Perché non ti presenti a Lascia o raddoppia, sulla preistoria?».

E' tardi, domani si ricomincia, Liddas mi chiede cosa bevo. Arrivano due birre, chi era con noi è andato a dormire, quasi avesse l'obbligo di rispettare vita d'atleta. Beve avidamente e davanti al bicchierone dimezzato mi confessa serafico: «Se penso a quando ero nella Lega Antialcolica quasi quasi arrossisco. Fu il dottore a costringermi a bere vino e birra. Poi, in Italia sono diventato amante della pastasciutta e di vermicelli più d'un napoletano. Conosci i vini che produco? Ho barolo, barbera, moscato; ma io preferisco il grignolino. Va giù che è un piacere. E' bello sognare calcio d'antologia, davanti ad una bottiglia come Cristo comanda. Non credi?».

Si va a birra, dice che è diuretica, dice che è la bevanda giusta quando il caldo appiccica. E' quasi mezzanotte. In tuta è elegantissimo, sembra un abito dal taglio impeccabile, uno dei suoi abiti fatti su misura, scelto a caso dal guardaroba di «Barone». Invece si lamenta: «Devo reclamizzare il marchio del Lupetto. Almeno potessi reclamizzare il mio vino... Ma il presidente Viola mi ha comunicato che tra tre mesi le divise sociali cambieranno. La Roma torna alla Lupa. La Roma cambia pure l'abito, rispetto al passato...».

Comincia a piovere. Gli chiedo se è vero che Rivera ha pianto, apprendendo il suo addio. Gli chiedo se è vero che ha lasciato il Milan, prendendo in contropiede Vitali, cercatore di allenatori-alternativa in gran segreto. Mi risponde: «Cosa dovrei rispondere? Che è vero? Ogni divertimento ha un limite. Restiamo seri due minuti...».

Restiamo in effetti in silenzio due minuti, il tempo di pensare a quando, mischiando il sacro al profano, rispose ad un cronista sportivo, alla ricerca di valutazioni specifiche: «Io a Cordova preferisco sempre un Mirò. Ha più stile, più genio. Vuole mettere?... Solo quadri di Mirò accetto in casa mia...».
Sono passati mesi e mesi, ha rifatto il Milan, ha buttato via scudetto e stella, ha preteso 160 milioni alfine di rifondare la Roma. Riuscirà?
«Ho davanti un triennio, dunque un bel ciclo. Intanto, cominciamo a giocare a zona, col doppio libero. Turone e Santarini faranno quello che riusciva a me vecchio e a Maldini giovane in coppia. Il Brasile nel '58, con due liberi, incantò e vinse i mondiali. Nel nostro piccolo ci proviamo. Nel calcio, inventare cose nuove, significa riesumare mode tattiche antiche... Questi allenatori giovani sono bravi: programmati, pieni di tabelle. Sono bravi perché, lentamente, giorno per giorno, si stanno avvicinando al tipo di preparazione che io svolgevo negli anni Quaranta. Non ci credi?».

Un altro al posto suo potrebbe risultare dissacrante o invidioso dei «Giovani Leoni» della nuova frontiera, dei Castagner, dei Giacomini. Zio Liddas, invece, racconta e non disturba, racconta e non annoia. I giovani leoni capiranno. La Fiaba di zio Liddas è a colori, interminabile, sempre nuova. Vado coi pensieri a Valdermarsvick, cerco il suo paese mentalmente sulla cartina geografica, non sono neppure sicuro di pronunciarlo a dovere e di poterlo scrivere esattamente. Una volta mi ha raccontato che resta un ritrovo di tremila anime, perso tra i boschi e le montagne a strapiombo sulla Costa. Ha aggiunto che al sabato i pescatori salgono lungo i crinali portando casse di stromming, il pesce che gli svedesi mangiano due volte la settimana. Racconta senza particolari emozioni, senza mai dire: «Svezia mon amour». Stasera, su quei posti ci riplana e parla ad occhi socchiusi, quasi distinguesse le sagome delle persone che cita, i contorni di quelle case, estratti da angoli remoti di memoria.
«Impiegato nello studio di un avvocato, mi occupavo di tasse. Mio padre era orgoglioso di poter aver in casa un futuro esperto fiscale. Dovetti rompermi una gamba per dimostragli che sognava l'irrealizzabile. Di sera mi allenavo coi campioni di Bandy, una sorta di hockey su ghiaccio violentissimo. Dagli scontri uscivo pesto e sanguinante spesso e volentieri. Mi sono rafforzato così. Il fiato l'ho accumulato coi fondisti dello sci. E la mattina presto andavo al campo: due ore di porta a porta palla al piede, a velocità sostenuta, intervallata da scatti violenti».

Gli dico che ha fama di allenatore morbido, mi preoccupo di riportarlo ai giorni nostri, in vista del prossimo anno di grazia negli stadi. Lo provoco citando i metodi e le proibizioni di Castagner e Giacomini. Aggiungo che i vecchi campioni del Milan tradiscono sempre più nostalgia nei suoi confronti. Non fa una piega e replica: «Io mi fido sempre della mia truppa. Non ho mai cambiato metodo, non ho mai avuto motivo per cambiarlo. Questo non significa che sbaglino gli altri, ci mancherebbe altro. Ho sentito che Giacomini ha proibito il caffè dopo cena, le carte, il vino a tavola. So anche che nei mesi cruciali non concederà libertà a nessuno la domenica sera. Bene, benissimo. Era ora che arrivasse al Milan il giro di vite. Così difenderanno meglio lo scudetto e la stella. Per me, infatti, il Milan ha sempre il miglior organico e rivincerà il campionato. Mi contenterei di batterlo all'Olimpico nella giornata di avvio. Una battuta d'arresto subito non guasta: non mortifica le loro ambizioni...».

- E in Coppa Campioni? Si può giocare in campo internazionale ad una punta, se la punta è Chiodi?
«Si può, si può... Chiaro che al Milan, per arrivare alla semifinale o alla finale, servirebbero un paio di stranieri. Io sono favorevole al ritorno dello straniero. Solo con gli stranieri potremo tornar grandi nelle Coppe, come all'epoca dell'Inter di Herrera».

Divagazioni notturne, passano come ombre gli ultimi clienti assonnati. Zio Liddas punta i discorsi sulla Roma, non ha misteri. Spiega: «Sono bravi ragazzi e seguono i miei consigli senza sgarrare. Sanno che chi sbaglia paga. Io non ho bisogno di spie o 007, io mi accorgo sul campo, nell'addestramento calcistico, degli eventuali "traditori". Mi preoccupano un po' solo quelli innamorati o fidanzati. Chi ha già famiglia non ha sbandamenti, non ha alti e bassi di rendimento. Per fortuna, gli innamorati della Roma sono tre o quattro. Ancelotti, per esempio, non ha ancora la ragazza fissa, e si è già ambientato con noi. Penso che al via del campionato sarà pronto al salto di categoria. E' un talento naturale: è lento a mettersi in movimento, però recupera e sfreccia in progressione. Con lui Pruzzo dovrebbe decollare. Ancelotti è il partner ideale per un bomber soprattutto capace di testa o a chiudere il triangolo in area...».

Non ho il coraggio di fermarlo. Liddas è un parlatore instancabile, straripante di aneddoti, ricordi, previsioni. Mi confida:
«Su Ancelotti si sentiranno grosse cose. Ho controllato l'influsso degli astri che lo riguardano e non escludo che diventi un campione. Io credo all'influsso degli astri; anche Di Bartolomei e Benetti hanno segni zodiacali ottimi. Di Bartolomei può diventare il più grande libero italiano, un regista alla Beckenbauer, visto che col pressing adottato ormai da tutti, la figura del regista di centrocampo è destinata a scomparire. Purtroppo, nella Roma ho già Turone e Santarini nel ruolo; tre liberi, francamente, sono troppi. Ma più avanti, chissà...».

Liedholm continua: «Il calcio è sempre eguale. Io da trent'anni mi scrivo tutto su un diario, e ho scoperto che è sempre eguale. Ai miei tempi ti posso assicurare che i grandi svedesi degli Anni Cinquanta hanno imparato tutto dai tecnici magiari d'allora, soprattutto da Laios Czeizler. E così, quando ho cominciato ad istruire ragazzi nel vivaio del Milan, conoscevo il mestiere come adesso o forse di più. Con la squadra giovanile del Milan superammo la Romania di Kovacs 2-0 e Kovacs s'ispirò ai miei sistemi di preparazione, dove la palla c'entra il più possibile, e diventò famoso. Mi scrive ancora, mi scrive sempre, ovunque si trovi. Dal vivaio di quel Milan uscirono Maddè, Lodetti, Prati e tanti altri. Prati mi fu "regalato" da suo zio, che era stato un mio accanito tifoso. Maddè e Lodetti costarono 50.000 lire. A Lodetti facevo fare un tipo d'addestramento "svedese", non senza rimorso. Dopo un po', infatti, diventò un imbattibile cursore. Però fu un'eccezione. Io preferisco addestrare gente che sappia tenere la palla e cavarsela alla meglio in ogni ruolo. Con una buona tecnica di gruppo, si può dar la paga a squadre anche blasonate».

Basta così. La sua carriera, attraverso scorci fulminei, l'ho rivista in retrospettiva quasi interamente. Cosa manca? E lui: «Puoi raccontare che quando, 15 anni fa, presi l'epatite virale, ero convinto di non poter allenare più. Ero stanco, sfinito. Sono stato 53 giorni a letto eppoi 8 mesi in convalescenza. Ho ricominciato grazie al Monza, eppoi grazie al Verona di quel simpaticone, bizzarro di Garonzi».

Il resto lo conosciamo tutti. E abbiamo inquadrato finalmente appieno la poliedrica dimensione umana di nostro zio Liddas, questo napoletano di Valdermarsvick. Tra quadri e grignolino, i suoi metodi calcistici sono ormai apprezzati e strapagati come quelli di nessuno. Trent'anni di calcio italiano gli sono serviti a diventare il vero Barnard del pallone. Ora è la Roma che si affida ai suoi trapianti, sperando di non soffrire delle crisi di rigetto. Buon lavoro, zio Liddas!




La nuova Roma 1979/80: Turone, Benetti, Liedholm, Amenta, Conti e Ancelotti






Nordahl e Liedholm, amici per la pelle ('81)

Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org - luglio 1981

NILS LIEDHOLM: LE VACANZE DEL BARONE
ANTEFATTO: Luglio 1981, un viaggio insieme a Liedholm nella sua bellissima terra di origine, passato presente e futuro si intrecciano in questa intervista d'annata...
Un viaggio lampo al paese natale di Valdemarsvik per respirare l'aria di casa prima di riprendere l'attività, l'incontro con Nordhal, che gioca ancora a sessant'anni e i ricordi di un'infanzia semplice, quando sognava di fare il contadino. Un «barone» inedito, in questo reportage esclusivo.


VALDEMARSVIK. Nils Liedholm è tornato al Nord a respirare l'aria del suo paese natale per trascorrere una breve ma intensa vacanza in famiglia. Qui, novemila abitanti, un ridente e pittoresco villaggio sulla costa orientale svedese il «barone» ha trascorso la sua infanzia e avviato la sua lunga e prestigiosa carriera di calciatore trasferendosi al Norkòepping e poi al Milan. I suoi ricordi volano spesso qui; sulla baia punteggiata dalle tipiche case di legno rosso bordeaux, con lo sfondo verde degli abeti e delle betulle. È una zona di agricoltori benestanti con fattorie attrezzate. Fare il contadino, qui, significa essere libero e ricco, avere un contatto privilegiato con la stupenda natura. Le barche nel porto denotano che Valdemarsvik è un posto preferito dagli appassionati degli sport dell'acqua. Un tempo vi era un'industria trainante: una conceria che ha dato lavoro a molti compaesani di Liddas per generazioni, da quanto sulla fine dello scorso secolo sorse e si trasformò da artigianale in industriale, risultando prima, per grandezza, in Scandinavia, e seconda in Europa. Poi, con la diversificazione economica e la crisi, la conceria ha dovuto chiudere dopo la guerra e al suo posto c'è ora una fabbrica di mobili. La ferrovia è stata sostituita a una linea di autobus ma si ferma ancora alla vecchia stazione. In via della ferrovia, Jàrnavàgsvagen, si trova appunto casa Liedholm dove, primo a comparire e dare il benvenuto, è il cane battezzato «il mago».

NORDHAL. Il trainer della Roma ci accoglie con la ben nota cordialità. Sul finire dell'intervista appare sulla soglia Gunnar Nordhal che viene a salutare l'antico compagno e gli racconta d'un suo recente incontro di football a sessantanni suonati. A Valdemarsvik si vede, appena può, Bjorn Borg, al «System Bolaget», il negozio di Stato per gli alcolici, ad acquistare personalmente le bottiglie di vino prima d'imbarcarsi per raggiungere la sua isola di Kattilo. Questo piccolo paese di pescatori è quindi regno di persone importanti, come il barone Nils. Da oltre trent'anni vive in Italia, da quando nel 1949 cominciò a giocare nel Milan. Quale effetto prova nel ritornare in Svezia e al suo borgo natio? «Penso che noi tutti abbiamo il bisogno di "sentire" la terra dove siamo nati, anche se io quando sono in Italia non ho nostalgia, non l'ho mai avuta. Confesso, però, che quando vengo qui a Valdemarsvik mi ritorna tutta la mia gioventù. E questo è molto importante. Per esempio sono tornato sullo stesso campo dove cominciai la mia attività. Mi sono allenato li e subito mi sono sentito benissimo. Qui ritrovo i miei vecchi amici che a volte non riconosco dopo tanti anni di assenza. Qui riscopro gli affetti famigliari di mio fratello Karl e di mia sorella Margareta».
Da bambino, quale professione sognava da abbracciare?
«Da bambino, sognavo sempre di fare il contadino. Dopo, invece, quando andavo a scuola sognavo di diventare calciatore anche se non esistevano possibilità di professionista».
- I fattori decisivi per cui ha scelto la carriera di calciatore?
«A dieci-dodici anni io e i miei compagni avevamo formato una squadretta, dove noi stessi fungevamo anche da presidente, consiglieri, segretario. Eravamo così forti da riuscire a battere anche gli juniores. lo e un mio compagno, Lundqvist, a sedici anni giocavamo già in prima squadra.»
- Con quale frequenza torna in Svezia?
«Di solito torno ogni anno, se possibile. Non sempre, perché ci sono state a volte pause di tre anni. Qui mi attendono per la tradizionale intervista sul calcio internazionale».
- Sente forte il richiamo del Nord, della sua stupenda natura, dei boschi, e dei laghi, dei lunghi silenzi, dei paesaggi incantati?
«Si, certo. E vero si fanno qui passeggiate tonificanti, apprezzate specialmente quando si svolge un lavoro stressante come il mio. È indispensabile godere tranquillità, seppure per una visita così breve come questa. Serenità e relax riesco, tuttavia, a raggiungerli anche in Italia, nella mia campagna di Cuccaro Monferrato, in Piemonte».
- Dove produce anche un pregevole vino D.O.C.?
«Si, ero alla ricerca di un podere e ho trovato dei vigneti».
- Vivendo in Italia avrà certamente assorbito regole mediterranee, quali?
«Le abitudini del mangiare, l'alimentazione, gli orari. La tavola diventa quasi un rito, il principale del giorno. Lì, in Italia, si lavora per mangiare, per andare a tavola e poter parlare, per restare insieme. A me piace e fa bene il cibo italiano. Noto subito la differenza tornando a casa: aringhe marinate, patate svedesi, "surstromming" (aringa del Baltico fermentata). In Svezia al mangiare non si dà troppo peso, si mangia in velocità per sopravvivere. Con gli allenamenti si è costretti ad avere un ordine nei pasti».
- Della mentalità, usi e tradizioni svedesi che cosa apprezza di più e cosa ha conservato?
«È difficile dire, perché in me c'è una mescolanza di svedese-italiano. Spero di aver assorbito i pregi dei due paesi, e non solo i difetti».
- Chi è stato il primo a definirla «barone»?
«Non so. È strano, perché come giocatore a Milano mi chiamavano "il Conte". Quando sono arrivato a Roma mi hanno ribattezzato "Barone". Comunque sono stati i tifosi a chiamarmi così».
- Lontano dall'Italia e fuori dal ribollente ambiente calcistico quali sono le sue riflessioni sul campionato che l'ha portata a un soffio dallo scudetto?
«Diciamo che ho archiviato il campionato 80-81 per non rimpiangere niente. Abbiamo buttato alle ortiche un'occasione unica. Si doveva e poteva vincere. Si deve considerare che la Roma, come società, è giovane di tradizioni. Se questo è stato un peso e se - tecnico e giocatori - siamo stati ingenui, può darsi. Bisogna tuttavia riflettere che siamo stati battuti dalla Juventus, un club nobile con giocatori d'esperienza, quasi una Nazionale. Non c'è da rimpiangere tanto, perché abbiamo fatto il nostro dovere fino in fondo. E poi, si deve guardare al futuro».

IL FUTURO. Guardiamolo, allora, questo futuro...
«Si affrontano nuovi problemi. Le squadre appaiono rafforzate, ma il campionato sarà un giudice impietoso. Quando hai ottenuto un successo, un secondo posto, e poi arrivi terzo o quarto, diventi un "fallito". Questo non è vero, perché può anche dipendere dal rafforzamento delle dirette avversarie. Ciò comporta, ovviamente, nuovi grattacapi per il tecnico. Si deve perciò mantenere il ritmo e lo stile del successo ed è difficile».
Soddisfatto degli acquisti? Come pensa di utilizzare i nuovi arrivati?
«Abbiamo preso Chierico e Nela, due tra i giocatori più in vista della serie B; Perrone dalla Lazio, il libero dell'avvenire; e Marangon: quattro giocatori validissimi con una carriera davanti. Sono convinto che i nuovi riusciranno e inserirsi preso nei, nuovi schemi. Non posso comunque dire con sicurezza chi sarà titolare: dispongo di una rosa che faccio girare secondo le opportunità. Con me nessuno è titolare e nessuno è riserva, in partenza».
Quale reparto giallorosso sarà più soggetto a mutamenti?
«La difesa, quasi certamente. Abbiamo acquistato tre difensori e quindi ci sarà qualche variazione rispetto al passato anche se, lo ripeto, con me nessuno parte titolare».
- E tatticamente cosa farà?
«Il fine è di giocare in senso più offensivo o credo che ciò potrà essere possibile. La Roma ha già mostrato, più delle altre, un football d'attacco e continueremo la stessa strada».
- Quali saranno, secondo lei, le squadre aspiranti allo scudetto?
«Le favorite si restringono a quattro: la Juventus, detentrice del titolo, l'Inter che si è sensibilmente rafforzata, la Fiorentina e il Milan, Poi veniamo noi e il Napoli. Ritengo queste le compagini in grado d'occupare i primi sei posti della classifica».
- E le campagne acquisti più indovinate?
«Prima del torneo è difficile dire, perché tutte sembrano azzeccate. Sulla carta, la Fiorentina con Vierchowod, che abbiamo tentato anche noi d'acquistare. Graziarli, Pecci, Anche il Napoli si è equipaggiato bene».
- Un pensiero sui suoi giocatori.
«A livello mondiale abbiamo senz'altro Falcao. Poi non dimentichiamo Pruzzo, Bruno Conti e Ancelotti che sono da Nazionale. E, inoltre, Turone e Di Bartolomei che tutti vorrebbero nella propria squadra».
- Quali giocatori vorrebbe avere in giallorosso?
«Abbiamo inseguito inutilmente Vierchowod, Antonelli e Graziani. La Roma, comunque dispone di uomini validissimi. Vedrei con piacere la possibilità di acquistare un altro straniero, specialmente di un goleador».
- Allenerebbe volentieri la Nazionale italiana o svedese?
«Alla Svezia ho già detto di no un paio di volte. Ho difficoltà a trasferirmi stabilmente nella "mia" patria, perché la mia famiglia è ormai tutta italiana. Vivo da troppi anni in Italia. Non sono neanche disposto ad allenare la nazionale italiana, perché ho bisogno di stare in contatto ogni giorno coi miei giocatori. Devo vivere con loro, andare sul campo insieme con loro e avere un rapporto umano e continuo con loro».

IERI E OGGI. La differenza tra il calciatore di ieri e oggi?
«Ogni epoca ha la sua specialità. Le scarpe si trasformano in più leggere, i sistemi d'allenamento mutano, i grandi giocatori esistono in ogni tempo. Sono dell'avviso che chi era bravo ieri, sarebbe stato anche valido oggi e viceversa».
- Quali allenatori sono vicini alle sue teorie?
«È difficile dirlo. Penso tuttavia che i tecnici che vengono fuori da Coverciano si sono avvicinati molto alle mie teorie e si è notato un miglioramento generale nelle squadre. Però ci sono quelli che ho avuto nel Milan, nel segno dello stile-Milan, che hanno fatto carriera: Radice, Trapattoni, Bagnoli, Marchioro, che sono espressione della scuola-Milan la quale trae le sue origini dal Gre-No-Li. Si fondò allora un tipo di gioco originale seguito e portato avanti da Schiaffino e continuato con Rivera. Ritengo quel modello come lo stile di gioco più elegante del calcio italiano. Questi tecnici rappresentano i seguaci di una tradizione partita da lontano trent'anni fa».
- Quale avvenire prospetta alla nazionale italiana?
«Molti sono i giovani promettenti. La nazionale non è per niente "vecchia". Purtroppo ha subito gravi perdite per le squalifiche di Rossi e Giordano. Si è trattato di un brutto colpo, in quanto i due si trovano nell'età migliore per maturare, migliorarsi, diventare più "grandi". Questi credo, sono i problemi di Bearzot, intento a recuperare pienamente i due».
- Si può dare una raccomandazione a Bearzot in vista dei mondiali '82?
«No, non ho da dar consigli, perché bisogna essere "dentro", per vedere le cose e nessuno meglio di Bearzot può conoscere le esigenze della Nazionale».
- La stampa svedese ha collegato la sua venuta in Svezia con le trattative di tre squadre italiane senza straniero per l'acquisto della prestigiosa punta Torbjorn Nilsson, del Goteborg.
«Errato. Non sono venuto per questo scopo. Ho parlato con un giornalista che ha svisato le mie affermazioni facendo sorgere una notizia infondata. Fra l'altro non conosco Nilsson non avendolo mai visto giocare».





Dal sito www.indiscreto.com - 1° febbraio 2002
di Tony Naro

Preservativi: Deschamps dice di no, Liedholm accetta con riserva
Straordinarie rivelazioni calcistiche fatte a Dagospia da Gabriele Paolini, il fastidioso personaggio riccioluto e occhialato che compare ovunque dietro ai telegiornalisti in collegamento diretto, ricevendone insulti e gesti di stizza (una volta Paolo Frajese gli rifilò un calcio). Paolini, profeta dell'uso del preservativo (perchè un suo amico è morto di Aids andando a puttane senza l'utile oggetto, è la spiegazione), ha tentato di consegnarlo a Didier Deschamps, ma l'ex mastino del centrocampo della Juventus con la grinta che gli è propria gli ha quasi spaccato una mano chiudendogliela nel finestrino della macchina. Molta più classe nella risposta di un altro obiettivo di Paolini, lo straordinario Nils Liedholm. L'ex allenatore di Roma e Milan, nonché mitico centrocampista degli anni Quaranta e Cinquanta, dopo avere preso in mano il preservativo si è lasciato sfuggire un commento amaro: "Non so se ce la farò a usarlo, vista l'età."






Nils Liedholm



Il condottiero Helenio Herrera


L'indimenticato Van Basten

Dal sito international.rai.it - Storie dello Sport
Maurizio Ruggeri

IL DERBY INTER-MILAN: Una storia infinita
L'Inter-Milan quest'anno è veramente un derby infinito. Due incontri in campionato, due nelle semifinali di Champions League, un altro possibile match per il secondo posto nella classifica finale del campionato di serie A...Ma il derby meneghino ci ha sempre restituito grandi emozioni, a partire dagli albori della storia del calcio. Senza citare gli scontri anteguerra, possiamo ricordare gli anni Cinquanta, quando il Milan presentava in attacco la famosa triade Gre-No-Li, formata da Grezar, Nordhal e Liedholm. Dall'altra parte del campo l'Internazionale rispondeva con Nyers, Lorenzi e Skoglund.
Erano derby che onoravano la Scala del calcio, il San Siro. Di quegli anni si ricorda un derby a dir poco rocambolesco, dove il Milan fu più volte sul punto di chiudere la partita che invece si concluse con il più alto punteggio mai registrato a San Siro: 6 a 5 per l'Internazionale! Era il campionato 1949-50, l'anno in cui il Grande Torino precipitò sulla collina di Superga tornando da una trasferta in Portogallo. Proprio il Milan, dopo la sciagura, ebbe il coraggio di umiliare la squadra di Valentino Mazzola per 7 a 0! Anche la ProPatria non ebbe pietà dei resti del Grande Torino, battendolo in casa 6-1, come la Triestina 3-0, il Bologna, 5-2, la Fiorentina 4-1, il Padova 4-1 e la Sampdoria 4-0!
Mai la grande squadra di Gabetto-Loik e Mazzola aveva subito simili passivi...Tornando al derby, dopo quel 6 a 5 per l'Internazionale - che peraltro vide il Milan vincere nello stesso anno 3-1 in casa e la Juventus aggiudicarsi lo scudetto con 5 punti sui rossoneri - vennero gli anni Sessanta, quelli di Nils Liedholm e Helenio Herrera sulle rispettive panchine. Nel campionato 1964-65 si ricorda un inatteso rovesciamento di fronte tra le due grandi squadre. I rossoneri erano in testa al campionato e sembravano non mollare la leadership ma, dopo aver schiantato i cugini nerazzurri nel derby di andata con un secco 3 a 0, subirono un pesante 5 a 2 nel derby di ritorno! Da lì, il Milan di Liedholm perse completamente la bussola, fino a farsi rimontare dagli eterni rivali che finirono per conquistare il nono scudetto, contro gli otto del Milan, con tre punti di vantaggio.Negli anni Settanta arrivò lo scudetto della stella per il Milan, i dieci campionati vinti quando la Juventus era ancora a portata di tiro con i suoi successi. Nel 1978-79 Walter De Vecchi riuscì a pareggiare i conti per il Milan, sotto 2-0 nel derby, regalando lo scudetto ai rossoneri che respinsero un sorprendente Perugia, staccato solo di tre punti in classifica.Poi ancora i due gol di Evaristo Beccalossi che regalarono il derby all'Inter e l'esagerato 6-0 di due anni fa per il Milan! Senza dimenticare i grandi Savicevic, Gullit e Van Basten che non più tardi di qualche stagione fa sentenziarono una supremazia dei rossoneri che ancora non vuole saperne di abdicare, Champions League permettendo...




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(dalla "Gazzetta dello Sport" del 29 dicembre 1950)
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(dalla "Gazzetta dello Sport" del 31 gennaio 1951)



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(dalla "Gazzetta dello Sport"
del 30 marzo 1951)
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(dalla "Gazzetta dello Sport"
del 30 marzo 1951)
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(dalla "Gazzetta dello Sport"
del 27 aprile 1951)



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23 novembre 1955, Saarbrucken vs Milan 1-4 (Coppa dei Campioni):
il riconoscimento a Nils Liedholm per la partita n. 200 in rossonero
(da "Il Calcio Illustrato")



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Il decennale italiano di Nils Liedholm
(dalla "Gazzetta dello Sport", giugno 1959)



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(dalla "Gazzetta dello Sport" del 7 agosto 1961)
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(dalla "Gazzetta dello Sport" del 21 settembre 1961)



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(da "MilanInter del 4 gennaio 1965)
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Profilo di Nils Liedholm, stagione 1977-78



Da "Il Calcio Illustrato", novembre 1965

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Da "La Gazzetta dello Sport Illustrata"

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Da "Forza Milan!", maggio 1988

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Dal "Guerin Sportivo"

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Da "Forza Milan!", ottobre 2002 - Gli ottant'anni di Nils Liedholm

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Dal sito www.ilrestodelcarlino.quotidiano.net

CALCIO IN ANSIA: Ricoverato Nils Liedholm
MILANO, 25 AGOSTO 2004 - Nils Liedholm, 82 anni, e' stato ricoverato oggi in un ospedale milanese per problemi cardiaci. Anche se su tutta la vicenda viene mantenuto un rigoroso riserbo, si e' saputo che l'ex allenatore di Milan e Roma non e' in gravi condizioni. Comunque, per via della sua età avanzata, i medici hanno ritenuto opportuno trattenerlo in ospedale per effettuare alcuni accertamenti.
Liedholm, che e' stato uno dei grandi del calcio svedese, era approdato in Italia, nel Milan, con Gren e Nordhal, da cui il famoso ''trio Gre-No-Li''. Attualmente risiede a Cuccaro, in provincia di Alessandria, dove ha una tenuta in cui si e' ritirato.




Dal sito www.acmilan.com
8 ottobre 2004

TANTI AUGURI A NILS LIEDHOLM
L'8 ottobre 1922 nasceva a Waldemarsvik, in Svezia, uno dei miti della storia rossonera: Nils Liedholm, il barone che ha incantato i tifosi con i suoi gol e i suoi assist da giocatore, e che ha condotto il Milan alla vittoria di uno scudetto, nel '79, da allenatore. Lo staff di Milan Channel augura a Liedholm i più sinceri auguri di felice compleanno e si stringe con affetto intorno alla sua famiglia.




Dal sito www.cerazadeallegati.blogspot.com
6 novembre 2007 - di Claudio Cerasa

Il Foglio. "Li come Liedholm. Sapeva allenare con lo sguardo, con l'accento e con lo stile. Campione che inventava campioni"
Gre, No, Li, e poi Rivera, Ancelotti, Pruzzo, Capello, Baresi, Maldini, Conti e ora Totti. Era naturale, quasi automatico: la squadra saliva, quattro rimanevano indietro, quattro si fermavano al centro e due lì, che aspettavano davanti. Era la Roma, il Milan, la Fiorentina, il Varese, il Monza, il Verona, erano gli ottantacinque anni di Nils Liedholm, il maestro, morto ieri, con cui il Milan vinse lo scudetto della Stella: il decimo, quello con il rosso del diavolo e quello con gli occhi del Barone. Era la maglietta giallo, rosso e Barilla di Bruno Conti, quella della Roma del 1983, del primo anno dopo il Mondiale spagnolo e dell'anno della Coppa Campioni all'Olimpico persa sul dischetto con i diavoli del Liverpool; quella Roma con cui Liedholm vinse lo scudetto e che l'allenatore svedese avrebbe ritrovato nel 1996 con i vent'anni e i capelli corti di Franceso Totti. Era Nils Liedholm, era la zona disegnata senza lavagne, senza gessetti, senza uomo da seguire, era la rivoluzione con quel dribbling che non era mai un peccato, con il fantasista che doveva fare il quarto in difesa e che Liedholm invece no, prima della partita lo fermava, lo prendeva e gli diceva sì, tu giochi al centro, giochi un po' più avanti. E lo faceva con Di Bartolomei (alla Roma) e lo avrebbe fatto, oggi, anche con Andrea Pirlo, al Milan. "Lo guardavi e tremavi. Poi però sorrideva - dice Roberto Pruzzo, bomber della Roma di Liedholm dal 1980 al 1984 - Ero io che la sera lo riaccompagnavo a casa in macchina: e lui era sincero, ti difendeva sempre, aveva un grande ascendente sulla stampa, si divertiva molto con quel suo accento che sembrava sempre così poco italiano. Era il suo stile, aveva cambiato il calcio con la qualità e senza catenacci. Era anglosassone, scopriva i talenti. Scoprì Falcao, scoprì Cerezo, e ne scoprì tanti, scoprì anche me; ed era bello, perché allenava semplicemente con lo sguardo".

"Non lo vedevi ma lo sentivi"
Diceva così, diceva ancora forza Roma, forza Milan il "Li" del Gre-No-Li; era arrivato in Italia dalla Svezia, era arrivato al Milan con Gunnar Gren, Gunnar Nordahl, erano loro i Tre; tre come gli olandesi Gullit, Van Basten e Rijkaard, tre come quei capitani del Milan passati accanto al Barone Nils: quindi Rivera, Baresi e Paolo Maldini. Sembrava qualcosa di più però, Nils. "Era impressionante. Lo guardavi e aveva qualcosa di più. Era il grande capitano del Milan, era il fenomeno con quella fascia grande grande, era il campione che inventava campioni, era quello che tu guardavi e lui non parlava, ma ti dava sicurezza; non lo vedevi ma lo sentivi. E tu crescevi, e lui ti spiegava. Dolce, non duro. Sembrava un vescovo. Allenava, insegnava. Nils giocava con noi, scendeva in campo con i giocatori: si allenava, tirava in porta, poi esultava. Eravamo il Milan, eravamo una squadra: allenatore e giocatore. Tutti insieme. Era così anche a Firenze. E lui non era come qualcun altro oggi: non era uno che metteva un terzino a centrocampo, o un'ala in difesa. Lui conosceva i ruoli, e li rispettava. Al massimo li inventava, i ruoli. Perché il libero vero è quello che fu fatto da Liedholm: ed è vero, con lui c'era anche molta libertà: se c'era un dribbling si sorrideva, non ci si arrabbiava. E poi mai un errore, mai un problema, mai uno scandalo, lui. Era la zona, quella di Nils, ma sembrava la rivoluzione", dice al Foglio Nevio Scala, scoperto a Milanello nel maggio del 1963 proprio da Liedholm e suo grande allievo in quegli indimenticabili sei anni passati da Scala come allenatore del Parma.
Il vescovo. Il maestro. Entrava così, con il pallone sotto braccio, con i capelli tirati indietro, con la testa alta, gli occhi giù in basso, le gambe lunghe, il sorriso, la maglia col collo a V. Funzionava così, in campo con Nils. "Sapevano come muoverci, ma dovevamo decidere noi in campo. Perché noi eravamo diventati professionisti per scelta, non per obbligo. E Nils voleva i piedi buoni, i passaggi, le marcature non fisse, il possesso palla. Ma soprattutto, in campo, voleva allenatori", scrive Gianni Rivera nell'introduzione del libro "Nils Liedholm e la memoria lieve del calcio". Perché Liedholm ha attraversato la prima e la seconda repubblica del pallone rimanendo sempre l'allenatore più antico: quello che ha inventato un calcio quasi impossibile, con quindici tocchi a centrocampo, con i passaggi fitti fittti e con un calcio con cui - da allenatore - ha vinto in fondo solo uno scudetto a Milano e uno a Roma. Ma è questo il calcio poi ereditato da Arrigo Sacchi, da Capello, da Ancelotti. Il calcio veloce, quasi impossibile di Zeman, il calcio con la squadra che saliva, i quattro indietro, i quattro al centro e quei due lì davanti e con quella rivoluzione così antica che anche ora che è scomparso, Nils continuerà a inventare il pallone del futuro, ancora per un po'.




Dal sito www.ilpiccolo.net

Morta la moglie di Carlo Liedholm
CUCCARO, 13 GIUGNO 2008 - Un altro lutto colpisce la famiglia Liedholm, a pochi mesi di distanza dalla morte dell'indimenticato 'Barone'. Ieri mattina è scomparsa Gabriella Ganora, 49 anni da poco compiuti, moglie di Carlo Liedholm e nuora di Nils. Lascia due figli, Paolo di 20 anni e Andrea, di 15.
La morte di Gabriella Ganora è giunta al termine di una lunga malattia - che è stata affrontata con grande coraggio e riservatezza dalla famiglia - su cui si stagliano minacciose le ombre del male che affligge Casale e il Monferrato, il mesotelioma pleurico, un tumore su cui la medicina poco può fare, causato dalle micidiali fibre di amianto.
La signora Liedholm era originaria di Casale, dove vivono i genitori e il fratello, e aveva lavorato per qualche anno alla "Cerutti", prima di sposarsi con Carlo e collaborare con lui nella gestione della nota azienda vitivinicola di famiglia, che sorge a Villa Boemia, sulle splendide colline di Cuccaro.
I parenti e gli amici, attoniti dalla notizia, la ricordano come una donna allegra e piena di entusiasmo, sempre disponibile ad aiutare agli altri.
Il rosario sarà recitato oggi pomeriggio alle 18, presso la chiesa parrocchiale di Cuccaro dove, domani mattina, sabato, alle 10, si svolgeranno i funerali.




Articolo di Sergio Taccone
14 settembre 2012

CASTIGAT RIDENDO . CABALLUS
Le battute all'insegna di una garbata ironia e di un surrealismo calcistico di Nils Liedholm. L'uso sapiente del paradosso da parte dell'allenatore svedese
Tosetto, Mandressi e Antonelli erano rispettivamente "Keegan, Rensenbrink e Cruijff" in salsa brianzola, Gaudino accostato a Nordhal, per giustificare l'esclusione dall'undici titolare di Galderisi e Nuciari scomodava paragoni con dei fuoriclasse. Il barone svedese Nils Liedholm, terza sillaba dell'indimenticabile trio "Gre-No-Li" degli anni Cinquanta, ha regalato delle perle di aneddotica su cui giornalisti e cantori del calcio che fu hanno fatto ampi e continui riferimenti. Battute a metà tra il paradosso ed il surrealismo applicato nel mondo pallonaro.
A metà degli anni Settanta, poco prima di conquistare il titolo della "Stella", Liedholm punzecchiava simpaticamente alcuni giocatori, in modo da mascherare le carenze tecniche di alcuni di loro. Tosetto, arrivato con tante belle premesse, si perse per strada. Fuffa in quantità. Stesso discorso per Mandressi che stava a Rob Rensenbrink come il Paternò stava al Milan di Sacchi e Capello. Due giocatori, Tosetto e Mandressi, che hanno lasciato pochi ricordi ai tifosi rossoneri.
Discorso diverso per Roberto Antonelli, ribattezzato "il Cruijff della Brianza". Nel campionato 78/79 il suo apporto è stato notevole quanto sottovalutato, forse poco appariscente. Nella prima annata di B fu il principe dei bomber, dispensando anche giocate di classe (vedi uno dei due gol alla Lazio nella sfida dell'Olimpico).
Bearzot era lì per lì per inserirlo nel giro della Nazionale, di lui disse ottime cose Kalle Rummenigge. Poi arrivò l'annus horribilis 81/82 e per Antonelli le cose cambiarono in negativo. Non bastò il superlativo "coast to coast" di Cesena per salvare il diavolo rossonero. Per Dustin fu quella l'ultima presenza in maglia rossonera. Non era certo paragonabile al numero 14 del grande Ajax ma definire "brocco" Antonelli non è da intenditori di football.
Dopo aver portato la Roma allo scudetto e alle soglie del titolo europeo, Liedholm tornò al Milan che si avviava a mettersi alle spalle il ciclo, clamorosamente più lungo del previsto, del "Piccolo Diavolo" pendolare tra la A e la cadetteria. A metà anni '80, prima del Milan stellare di Van Basten e campioni vari, il barone doveva accontentarsi di Nanu Galderisi, giocatore che arrivò in rossonero dopo aver dato il meglio di sé come giocatore alla Juventus e, soprattutto, al Verona.





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Brochure del "Premio Nils Liedholm"
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Alla domanda: "Nils, quali sono state le tue migliori partite nel Milan?", Liedholm era solito rispondere: "Quelle in cui ho marcato Alfredo Di Stefano". E se gli facevano notare che in quelle partite "l'argentino aveva segnato tre gol", lui rispondeva, serafico: "Si, ma ha toccato solo
tre palloni!" Una delle tante "perle di saggezza", con un pizzico di ironia, che era solito regalarci l'indimenticabile "Barone"
(by Lucia Ravenda)



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Intitolazione di Piazza Cuccaro
(dalla "Gazzetta dello Sport" del 16 marzo 2022,
grazie a Luigi La Rocca)
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Intitolazione di Piazza Cuccaro
(dal "Corriere della Sera" del 16 marzo 2022, grazie a Luigi La Rocca)





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Intervista di Aldo Maldera su Nils Liedholm
(dal sito www.barforzalupi.it)


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Intervista di Sergio Santarini su Nils Liedholm
(dal sito www.barforzalupi.it)




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