di Corrado Izzo
17 APRILE 1988. QUANDO ARRIGO MISE LA FRECCIA
Mi perdonerete l'immagine un po' lugubre ma, alle 15:30 di quella domenica, quando i tacchetti dei giocatori di Milan e Roma cominciarono a piantarsi nell'erba dell'Olimpico, il campionato di calcio 1987-88 era clinicamente morto. Elettroencefalogramma piatto. Il Napoli di Sua Maestà Diego Armando, con ben quattro punti di vantaggio, si avviava trionfalmente a bissare il successo dell'anno prima ed a regalare alla città partenopea una doppia, ravvicinatissima festa dopo 62 anni di storia pressoché incolore. Un copione scontato, fatto di domeniche che si trascinavano stancamente in attesa del prevedibile epilogo. Fino a quel fatidico 17 aprile, la stagione 87-88 era stata monotematica, vissuta fin dagli albori sotto il segno degli azzurri di Partenope. Un complesso temibile che aveva dato ben presto la sensazione di spopolare, forte di una rosa composta da tanti ottimi calciatori italiani e da due fuoriclasse sudamericani, Maradona, a quei tempi il più forte al mondo, e Careca, talentuoso fromboliere brasiliano. Una formazione abile, in verità, anche ad approfittare di qualche favorevole risultato a tavolino che ne aveva dilatato il vantaggio in classifica. Ma questo è un dettaglio. Con l'arrivo dell'autunno era però spuntato qualcosa di nuovo all'orizzonte. Una squadra inizialmente non accreditata di poter competere ai vertici, aveva cominciato a vincere e a convincere, mostrando un gioco incisivo, accattivante, innovativo. In una parola: divertente. Roba che in Italia si era vista di rado in tanti anni di calcio. Questa squadra era il Milan di Arrigo Sacchi, un allenatore semi sconosciuto che il Presidentissimo Berlusconi aveva fortissimamente voluto alla guida della sua Formula Uno. In verità nessuno ancora sospettava che quella fosse una Ferrari, più simile com'era ad una nobile decaduta dal passato glorioso ma reduce da un recente periodo di sofferenze ed umiliazioni. Ecco perché furono molti gli espertoni di calcio, quelli che tutto capiscono ed ancora oggi ci deliziano la domenica sera, a schedare frettolosamente come "meteora" il nuovo fenomeno calcistico a tinte rossonere. Che non fosse proprio una definizione calzante lo si cominciò a capire all'alba del nuovo anno quando, sfoderando una prestazione tanto luminosa da rischiarare il gennaio milanese, quel Milan audace e spettacolare prese letteralmente a pallonate proprio il Napoli del Pibe de Oro, la squadra più forte degli ultimi due anni, stroncandolo con un risultato di 4-1 apparso finanche povero rispetto alla superiorità mostrata nei novanta minuti. L'Italia della Palla Rotonda quel giorno si era giocoforza accorta che il Milan era una splendida realtà ma, tempo qualche settimana, si ritornò alla solita routine. Il prosieguo del campionato sembrò infatti fiaccare le velleità di rimonta dei ragazzi di Sacchi, poiché il Napoli si era rialzato subito da quell'inciampo ed aveva ristabilito un vantaggio rassicurante sui rossoneri, rei a loro volta di incappare in qualche pareggio di troppo. Si disse che quella epocale lezione impartita ai partenopei ai primi di gennaio era stata un episodio e basta, un fatto che non avrebbe spostato di una virgola l'ineluttabile destino di quel campionato. Si giunse così ad una affascinante primavera, colma di profumi e di colori, con la sensazione che ormai fosse rimasto poco da dire e che, alla fine, il Milan avrebbe conquistato il Premio della Critica ed il Napoli l'Oscar per il miglior film, ossia il secondo scudetto. Nel luminoso pomeriggio romano del 17 aprile, quando ormai mancavano quattro giornate, la storia del campionato improvvisamente cambiò come quella di un professionista del poker che perde per tutta la serata dando al suo avversario l'impressione di essersi arricchito, per poi spennarlo e lasciarlo in mutande all'ultimo giro. Il fatto importante avvenne indubitabilmente a Torino. Gli azzurri di Ottavio Bianchi e di Diego Maradona, evidenziando tossine psicofisiche di un biennio trascorso sempre da primi della classe, correndo come una lepre, collassarono inopinatamente contro una Juventus non trascendentale. Fu l'applicazione di un vecchio principio che afferma che il potere logora, anche se l'Onorevole Andreotti non sarebbe stato d'accordo. Il Milan di Sacchi ebbe l'enorme merito di arrivare alle ultime domeniche in una invidiabile forma fisica, nonché in grande autostima. Cioè le condizioni ideali per chi rincorre e dunque si alimenta anche della perdita di certezze di chi è davanti e ha dato segnali di cedimento. Quel Milan stava talmente bene che avrebbe vinto anche contro una selezione di extraterrestri venuti dal futuro. Il discorso scudetto si riaprì nella modalità di un lampo a ciel sereno. Con una vittoria netta, anche se non semplice, i rossoneri saccheggiarono l'Olimpico battendo per 2-0 i giallorossi del vecchio Maestro Svedese. La testa brizzolata di Virdis, implacabile come una notifica dell'Agenzia delle Entrate, sbucò apollinea e decisiva a metà primo tempo portando avanti il Diavolo. Sul parziale di 1-0 Pruzzo mancò un gol surreale, poi il redivivo Massaro ebbe due palle invitanti; la prima la spedì fuori, sulla seconda la rete si mosse. Gioco, partita, incontro. Era un successo che faceva rinascere a nuova vita quel campionato. Capirete benissimo che passare da -4 a -2 con la prospettiva di poter andare di lì a poco a sfidare il gigante ferito nella sua tana, è come passare dal freddo di una notte polare al sole dei Caraibi. La vittoria sulla Roma fu forse il passo più denso di risvolti in quella stagione. Fu il momento in cui tutti capimmo di essere come un cacciatore agguerrito e fornito di munizioni a volontà che bracca una preda ormai allo stremo delle forze. Il finale della storia non ve lo dico, tanto lo conoscete a memoria. Però, se è vero che il cielo della Città Eterna spesso ci ha regalato momenti dolcissimi, ecco, mi piacerebbe che ciò fosse di buon auspicio per domani sera. D'accordo, il Milan di Pioli non è quello di Sacchi. Inoltre il campionato di serie A, in particolare quel campionato 87-88, era un piatto certamente più saporito della attuale Europa League. E, dulcis in fundo, va detto che anche noi siamo cambiati in tutti questi anni, in particolare il colore dei capelli, per chi ancora li ha. Però le vittorie sono sempre belle, soprattutto quando arrivano in maniera inattesa e sorprendente, e noi siamo storicamente maestri nello stupire, nel sovvertire pronostici chiusi e previsioni apocalittiche. Fa parte della nostra storia e del nostro patrimonio genetico. Quindi non mollare, Caro Vecchio Diavolo. (Corrado Izzo)
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