Albino BUTICCHI
"Lo Squalo"

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(Archivio Magliarossonera.it)
  Albino BUTICCHI

Nato il 21.05.1926 a Cadimare (SP), † il 13.10.2003 a La Spezia (Ospedale Sant'Andrea)

Presidente

Stagioni al Milan: 4, da luglio 1972 al 21 dicembre 1975

Soprannomi: “Lo Squalo”

Palmares rossonero: 1 Coppa Italia (1972-73), 1 Coppa delle Coppe (1972-73)




"Subentrò all'Avvocato Federico Sordillo dopo la vittoria in Coppa Italia del 1972, accrescendo l'entusiasmo nell'ambiente (oltre al capitale sociale, essendo un armatore dai mezzi imponenti). Personaggio molto intraprendente, nel suo primo anno di gestione esordì con un acquisto che fece epoca, quello di Luciano Chiarugi, che soffiò all'Inter di Ivanoe Fraizzoli, così come allo stesso modo destò clamore la cessione di Pierino Prati alla Roma, per 725 milioni, l'anno successivo. Memorabile la sua prima stagione rossonera, quella del 1972-73, quando la squadra, dopo un intero campionato (o quasi) condotto in testa alla classifica, perse lo scudetto della "Stella" nella "Fatal Verona" all'ultima giornata, dopo aver vinto, tre giorni prima, la Coppa delle Coppe a Salonicco contro il Leeds.
La sua parabola discendente in seno al Milan ebbe inizio nel 1975, quando confessò a dei giornalisti di poter fare anche a meno di Gianni Rivera, il quale, dopo una lunga ed estenuante battaglia contro il petroliere spezzino, lo estromise, di fatto, dal vertice societario affidando, nel novembre dello stesso anno, la presidenza all'Ingegner Bruno Pardi. Nel 1983, in preda ad una crisi depressiva, tentò il suicidio sparandosi un colpo di pistola alla testa, sfuggendo alla morte ma perdendo purtroppo la vista. Rimase comunque molto legato al Milan e talvolta si fece persino accompagnare a S.Siro, facendosi raccontare la partita dal vivo." (Nota di Colombo Labate)



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Albino Buticchi, presidente del Milan dal 1972 al 1975



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Albino Buticchi su "Il Calcio Illustrato", 1972-73



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(da "Intrepido", agosto 1973)



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8 aprile 1973, Sampdoria vs Milan 1-4: Benetti e Lodetti
premiati prima della partita, Buticchi saluta Colantuoni
(da "La nostra Serie A negli Anni '70")
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27 aprile 1973, conferenza stampa di Albino Buticchi sul caso Rivera
(per gentile concessione di Antonella Bellocchio)



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Lettera autografa di Albino Buticchi datata 8 marzo 1975
(by Luigi La Rocca)



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(foto "Guerin Sportivo", grazie a Guido Santini)
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(foto "Guerin Sportivo", grazie a Guido Santini)



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(foto "Guerin Sportivo", grazie a Guido Santini)
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(foto "Guerin Sportivo", grazie a Guido Santini)



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(foto "Guerin Sportivo", grazie a Guido Santini)
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(foto "Guerin Sportivo", grazie a Guido Santini)



La guerra tra Buticchi e Rivera
(1^ parte - stagione 1974-75)
>
La guerra tra Buticchi e Rivera
(2^ parte - stagione 1975-76)



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Il presidente Albino Buticchi con Toni Bellocchio
a Milanello, stagione 1974-75
(per gentile concessione di Antonella Bellocchio)
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Stagione 1974-75, Toni Bellocchio e Gustavo Giagnoni nella sede
del Milan. Dietro l'allenatore sardo si nota Domenico Morace, già Direttore del Corriere dello Sport
(per gentile concessione di Antonella Bellocchio)



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11 maggio 1975, Milan vs Lazio 1-1,
Gianni Rivera riceve fiori dai tifosi rossoneri,
che contestano Albino Buticchi
(da "L'Unità")
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La travagliata vita sentimentale di Albino Buticchi
(dal "Guerin Sportivo", 1975-76)



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25 maggio 1975, Internazionale vs Milan 0-1,
contestazione dei tifosi rossoneri al presidente
Albino Buticchi per la lite con Gianni Rivera
(by Guido Santini)
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San Siro, 1975: tifosi rossoneri pro Gianni Rivera
nella querelle con Albino Buticchi



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Buticchi tra i tifosi del Milan dopo la riunione del Consiglio Direttivo
(dalla "Gazzetta dello Sport" dell'11 settembre 1975)



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Articolo di "Forza Milan!" del marzo 1983 relativo al tentativo di suicidio dell'ex Presidente del Milan



Dal sito www.edipol.it - articolo di Enrico Crespi

GIANNI BRERA CANTAVA "LIBERO"
Amava la sua terra dell'Oltrepò e le cose semplici: memorabili le partite di "rabiosa" al Tour e i giovedì al Riccione.
Ogni volta che arrivava in tribuna stampa, Gianni Brera, giornalista e scrittore, depositava sul banchetto il suoi beauty che contenevano le celebri pipe, il tabacco preferito e i suoi sigari, vecchio stampo. Era un buongustaio: gli piacevano il vino (magari quello della sua amata terra, l'Oltrepò), gli piaceva la gastronomia e così creò i celebri giovedì del Riccione dove si mangiava e beveva sino alle 3 del mattino e parlava solo lui raccontando gustosi aneddoti di vita vissuta. Talvolta in tribuna stampa lo sorprendevo mentre cantava quella bella canzone di Modugno che si intitola "Libero". E lui, Gianni Brera, era davvero il cantore del "libero" calcistico (soprattutto di Armando Picchi e Gaetano Scirea). Fu lui che consigliò al presidente dell'Inter Angelo Moratti e al mago Helenio Herrera (che sulle prime non ne voleva sapere) di giocare catenaccio e contropiede. Fu un' ottimo consiglio perché con la difesa a prova di bomba e il contropiede di Mazzola e Jair l'Inter divenne per due volte campione d'Europa e del mondo.



Una volta venni invitato a Viareggio per tenere il discorso celebrativo su Gianni Brera che aveva vinto un importante premio giornalistico. Dissi: "Brera ha tolto le nuvole dalle panchine del calcio: ha indotto gli allenatori a pensare e a creare atleti responsabili nei loro ruoli." Era la verità. Da Viareggio, proseguimmo in auto per Napoli dove giocava il Milan (era stata in gioventù la squadra dove militava il grande giornalista) e Brera mi disse: "Stiamo andando nella città che é parte-nopea e parte-pigrona". Lui non amava i napoletani e, forse, era un precursore di Umberto Bossi, certamente un "lumbard" convinto nelle tradizioni e nella cultura del Nord anche se simpatizzava per il garofano di Bettino Craxi. Insieme abbiamo seguito molti Tour de France come quelli vinti da Anquetil e quello con Gimondi in maglia gialla. La sua auto era guidata dal Pepp che altri non era che il padre della bella moglie di Albino Buticchi, presidente del Milan. Alla sera, Brera, il Pepp, io e altri due colleghi giocavano alla "briscola chiamata" che Gianni definiva la "rabiosa" così come si usava dalle sue parti. Poi lo ricordo a Middlesbrugh ai mondiali inglesi del 1966 dove anche lui come gli azzurri di Fabbri e Bulgarelli visse la sua Corea. Infatti prima di quella partita Gianni Brera scrisse sul suo giornale che se l'Italia avesse perso con i piccoli coreani lui avrebbe smesso di fare il giornalista sportivo.Venne la sconfitta ma lui, per la fortuna dei suoi lettori e di una critica sempre acuta e tagliente, continuò nella professione. Mi capitò anche di essere in coppia con Gianni Brera durante una trasmissione di Telemontecarlo alla quale partecipava anche Michel Platini. Si registrava negli studi di Milano e Brera aveva fatto arrivare, per il suo consumo personale, addirittura una cassa di bottiglie di whisky. Beveva almeno mezza bottiglia, prima di entrare in trasmissione, ma era sempre lucido nell'esprimere concetti e opinioni. Aveva un fisico forte e non disdegnava le ore notturne sempre impegnato in dibattiti, conferenze o nella stesura dei suoi libri come quello intitolato "Il corpo della ragassa" che ebbe un notevole successo e dal quale venne anche tratto un film. Sembrava un personaggio burbero, ma questo aspetto era più semplicemente la sintesi della sua forte personalità e della tenace difesa delle proprie opinioni. Era un uomo pubblico con mille impegni ma amava le cose semplici e belle come il suo "fratino" quel prezioso tavolo sul quale scriveva nella sua abitazione di Milano. E come molti uomini pubblici amava la solitudine che lui andava a cercare nella sua villa sul lago di Pusiano ( il "dolce Eupili mio" come lo aveva battezzato il Parini) e lì in barca andava a pesca di persici. Una volta mi ha voluto con lui e mi disse: "Prendere un pesce nella rete é come sentirti Pelé quando segna un goal." Gianni Brera: razionale ma talvolta anche un po' romantico. Un grande.




Biografia a cura di Bruno Mincarini

ALBINO BUTICCHI: I SOGNI FINISCONO ALL'ALBA (PURTROPPO)
Orfano di madre, con la passione per il gioco e per la Formula Uno, due mogli e cinque figli, ma solo tre riconosciuti. É questo il "quadro di vita" di Albino Buticchi quando ai mondiali di Messico 70 conobbe Gianni Rivera. I due divennero amici e negli anni a seguire non era raro vedere il Golden Boy passare le vacanze estive sullo barca del futuro presidente del Milan. Aveva accumulato una discreta fortuna come Broker della BP per il Nord Italia quando nel 1972 subentrò a Federico Sordillo come presidente della società rossonera. Di carattere emotivo e decisionista, gli piaceva il calcio pur capendone poco. Per lui il Milan era un ritorno all'infanzia e alla giovinezza, quando giocava come terzino nello Spezia. L'acquisto di Chiarugi, l'amicizia sempre più stretta con Rivera, le vittorie con il Milan capolista, proiettato verso la conquista dell'agognata stella e la conquista della Coppa delle Coppe, sembravano l'inizio di un sogno felice tra lui e il Milan. Purtroppo i sogni finiscono all'alba e quello tra Albino e il Milan finì domenica 20 Maggio 1973 con la "fatal Verona", con la complicità di "discutibili decisioni della FGC "; per il mancato rinvio della partita il Milan perse a Verona uno scudetto che sembrava già vinto e l'idillio tra lui e il Milan finì lì. Cominciò a fare di testa sua indebolendo la squadra cedendo Prati, Belli e Rosato senza adeguati rimpiazzi. Ed infatti la stagione 1973-74 che doveva essere quella del riscatto si rivelò invece un "flop" di cui ne fece le spese il "buon Paron", esonerato dal presidente. Gli subentra nel 1975 Giagnoni ma i risultati latitano e allora l'incauto Albino si lascia andare ad uno sfogo in cui dice che potrebbe cedere Rivera in cambio di Claudio Sala. Non so se ne fosse veramente convinto (anche perché Pianelli non ne voleva sapere), ma sta di fatto che cominciò una guerra con Rivera, spalleggiato dai tifosi, che lo portò alle dimissioni nel 1975. Vanamente cercò altre "avventure calcistiche", nel Torino e nella Roma, ma le ingenti perdite al tavolo verde e le delusioni amorose lo spinsero verso la depressione fino a spararsi un colpo alla testa nel 1983. Si salvò ma rimase cieco e durante la convalescenza fece pace con Rivera. Ma il vizio del gioco lo perseguitava e una sera dopo aver perso 400 milioni si gettò da un balcone. Si salvò anche questa volta fratturandosi "solo" il femore ma i figli lo fecero interdire. Cieco e paralitico prima di morire il 13 Ottobre del 2003, si faceva accompagnare a San Siro da un amico per farsi raccontare il suo Milan che ovviamente non poteva "vedere". Ma forse voleva sentire solo "il profumo" dei suoi anni migliori.




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Dal sito www.acmilan.com
14 ottobre 2003

IL CORDOGLIO DELL'A.C.MILAN PER LA SCOMPARSA DI ALBINO BUTICCHI
MILANO - La società rossonera esprime il suo dolore per la scomparsa di Albino Buticchi, presidente del Milan negli in cui la squadra ha vinto la coppa delle coppe a Salonicco contro il Leeds, la coppa Italia a Roma contro la Juventus e ha stabilmente lottato ai vertici nazionali e internazionali. Al cordoglio della società si uniscono il sito ufficiale rossonero e Milan Channel.




Dal sito www.gazzetta.it
14 ottobre 2003

IL MILAN CHE FU, ADDIO ALBINO
Albino Buticchi, aveva 77 anni. Fu presidente del Milan dal 1972 al '75. Si scontrò con Rivera e fu costretto a lasciare la società. Restò cieco dopo un tentato suicidio
E' morto ieri sera, all'ospedale di La Spezia, Albino Buticchi ex presidente del Milan. Aveva 77 anni e negli ultimi tempi lottava contro un male incurabile. In un certo senso la vita di Buticchi è stata sempre una battaglia, specialmente durante gli anni passati alla guida della società rossonera.
Era il 1972 quando si aprì l'era Buticchi (che subentrò a Franco Sordillo). L'inizio fu folgorante e la squadra conquistò subito la coppa Italia. Il Milan di allora voleva dire Nereo Rocco come allenatore, mentre in campo si identificava con il suo capitano: Gianni Rivera. Ma per il nuovo "Paròn" l'abatino dai piedi buoni non era il giocatore giusto per trascinare i rossoneri al successo in campionato. Una frattura che poco alla volta diventò sempre più profonda. Forse la storia sarebbe cambiata se il 20 maggio del 1973 i rossoneri, reduci dalla vittoria in coppa delle Coppe a Salonicco contro il Leeds, non fossero incappati nella "fatal" Verona. Una sconfitta per 5-3 che costò lo scudetto, finito guarda caso alla Juventus (un audace colpo della solita Signora che poi 29 anni dopo riservò lo stesso trattamento all'Inter).
Quel maggio infuocato fu anche lo spartiacque della presidenza Buticchi: i rapporti con il golden boy iniziarono a deteriorarsi, il presidente cercò un sostituto e Rivera pubblicamente lo accusò di volerlo vendere al Torino. La sconfitta nella finale di coppa delle Coppe (contro il Magdeburgo) del 1974 fece il resto. I tifosi rossoneri presero le parti del fantasista e per Buticchi iniziò la lenta parabola discendente con tanto di giallo finale: davanti alla sua villa qualcuno esplose diversi colpi di pistola che però mancarono il bersaglio. In ogni caso il presidente mollò tutto nel 1975, lasciando la società non certo in modo cordiale. Lui, ex terzino dello Spezia, cercò subito una rivincita: divenne assistente tecnico del presidente granata Orfeo Pianelli che lo portò proprio al Torino nell'anno dello scudetto dei 51 punti (la Juve, per una volta seconda, si fermò a 50). Poi tentò di rilevare la Roma, ma l'operazione non riuscì. Anche il suo matrimonio con Franca Dedè finì in fumo.
Troppe sconfitte anche per un combattente come Buticchi che nel 1983 tentò il suicidio: si sparò alla testa e perse la vista. Durante la convalescenza si riconciliò con Rivera, ma nel '92 provò nuovamente a togliersi la vita (dopo aver perso diverse centinaia di millioni alle carte), anche quella volta - beffardamente - senza riuscirvi. Negli ultimi anni era sempre più solo (i figli avevano richiesto la sua interdizione). Fino a ieri sera, quando all'ospedale di La Spezia ha forse ritrovato un po' di serenità.




Dal sito www.ilgiorno.it
14 ottobre 2003

RIVERA LO COSTRINSE A DIMETTERSI
LA SPEZIA - Si è spento, poco dopo le 20 di ieri sera, all'ospedale civile Sant'Andrea della Spezia, all'età di 77 anni, l'imprenditore Albino Buticchi, salito alla ribalta per essere stato presidente del Milan con Nereo Rocco e Gianni Rivera. Le condizioni di Albino Buticchi, già gravemente malato, si sono aggravate improvvisamente un paio di giorni fa, tanto che è stato necessario il suo urgente ricovero. Al suo capezzale è subito accorso il figlio Marco, noto scrittore e la notizia della scomparsa, ha subito suscitato grande scalpore alla Spezia e a Lerici, dove Buticchi abitava.
Da Cadimare, sobborgo della Spezia sulla strada che conduce a Porto Venere, Albino Buticchi aveva scalato il mondo dell'imprenditoria (al tempo del petrolio) e da sempre si era interessato di sport, anche come praticante.
Negli anni Cinquanta partecipò, da pilota, alle Mille Miglia, quindi divenne presidente dello Spezia, la maggiore società calcistica purtroppo in tempi bui, per poi dedicarsi all'Arsenalspezia, che condusse in D con un campionato senza sconfitte. Ma il suo colpo grosso fu la scalata alla presidenza del Milan alla quale arrivò nel 1972 subentrando a Franco Carraro.
Ai quei tempi fece scalpore che un «provinciale» potesse arrivare così in alto. E una anno dopo fece anche scalpore la clamorosa perdita dello scudetto all'ultima giornata di campionato a favore della Juve. Una debacle che resta indelebile nella storia del Milan.
Quel 20 maggio 1973 il Milan era reduce dall'aver conquistato la Coppa delle Coppe nella finale di Salonicco battendo 1-0 il Leeds con un gol di Chiarugi. Una fatica che la squadra pagò quattro giorni dopo a Verona dove fu sconfitto 5-3. Nel '75 Buticchi fu costretto a dimettersi per insanabili divergenze con Rivera, beniamino degli sportivi.
Successivamente Albino Buticchi, ritiratosi nella villa di Lerici, fu protagonista di un drammatico episodio, quando, rientrando da una puntata a Montecarllo si disse che tentò il suicidio sparandosi un colpo di pistola alla testa. Rimasto cieco, non aveva perso la sua verve e il suo attaccamento allo sport, continuando anche a ricevere la visita di personaggi che erano stati al suo fianco, anche avversari nello sport. Buticchi era rimasto grande amico del compianto Artemio Franchi. (di Marco Magi)

POI SI SPARÒ ALLA TEMPIA E RIMASE CIECO
LERICI (La Spezia) - Il calvario di Albino Buticchi durava da anni, da quando in una triste notte si sparò alla tempia rimanendo in vita ma completamente cieco. Da allora il petroliere di Cadimare ha lottato per sopravvivere, ma senza mai battersi con decisione. Anzi vi fu un secondo tentativo di suicidio quando cadde dalla finestra della sua bella villa a Lerici ma il destino lo salvò ancora una volta: venne operato all'anca destra.
Di Albino Buticchi ci piace ricordare più che la sua vita da petroliere, che lo portò a fondare una società con Artemio Franchi, l'imprenditore senese che fu anche presidente della Federcalcio, i tanti episodi che hanno contraddistinto i suoi 77 anni (lui per civetteria se ne dava di più): presidente dello Spezia calcio in giovane età, un titolo a 9 colonne, sulla Nazione: «Dal Cadimare a presidente del Milan». Ma nell'interregno di decine di anni, Albino visse periodi di autentica avventura, di gloria e di ricchezza: fu uno dei pochi che riuscì a fuggire dalla legione straniera. Albino è stato un grande pilota d'auto, corse persino a Monza in Formula 1, per poi diventare campione italiano nelle gare di montagna. Quando prese in mano il timone del Milan, subentrando all'allora presidente Carraro, padre dell'attuale numero uno della Federcalcio, la Milano bene storse il naso, tanto che i più maligni gli ricordarono quel malizioso articolo sul Giorno, dove una matita arrogante ricordò ai lettori che il motoscafo di Buticchi andava più veloce di quello della Finanza. Ma l'Albino fu grande in quei tre anni che guidò il Milan: tre volte dietro la Juventus, una coppa delle coppe vinta contro il Leeds, e tante giornate di gloria. Poi l'altro re di Milano, Gianni Rivera, gli fece la guerra, alleato con Padre Eligio, e Buticchi dovette lasciare la poltrona. Ma abbandonò soltanto quando un paio di auto con a bordo i tifosi del Milan scaricarono contro la sua vettura, all'interno della villa di Lerici, alcuni colpi di arma da fuoco. Albino allora si arrese e confessò che se fosse rimasto altro tempo nel club rossonero, avrebbe vinto lo scudetto e magari una Coppa dei Campioni. Ma da uomo forte e testardo la sua rivincita la ebbe subito, quando aiutò l'allora presidente del Torino Pianelli a battere la Juventus. Ma anche con il presidente torinista Albino si sentì tradito per un clamoroso episodio che gli costò una decina di miliardi e il suo nome finito illegittimamente sul bollettino dei protesti di Lucca. (di Rino Capellazzi)




Dal sito www.parrini.clarence.com
14 ottobre 2003

ADDIO A...ALBINO BUTICCHI, PRESIDENTE DELLA FATAL VERONA
L'ex presidente del Milan Albino Buticchi è morto ieri sera all'ospedale di La Spezia. Nato a Cadimare (La Spezia) il 21 maggio 1926, da ragazzino faceva il pescatore. Deportato in Germania durante la seconda guerra mondiale, rientrò in Italia dopo un'evasione.
Nel dopoguerra partì per l'America in cerca di fortuna, entrò nella legione straniera, si diede all'automobilismo, infine fece i soldi col petrolio. Ex terzino dello Spezia, il 31 ottobre 1972 diventò presidente del Milan di Rocco e Rivera. Tra le sue vittorie la Coppa Coppe del 1973 (finale a Salonicco con il Leeds) e la Coppa Italia dello stesso anno, ma sarà ricordato per la "fatal Verona" (sorpasso della Juventus all'ultima giornata del campionato 1972/1973). Dopo gli scontri con Rivera (che lo accusava di volerlo vendere al Torino) e la sconfitta nella finale di coppa Coppe 1974 (contro il Magdeburgo), il 15 settembre 1975 lasciò i rossoneri per diventare assistente tecnico del presidente del Torino Pianelli che vinse quella stagione il suo ultimo scudetto. Coinvolto in un crack finanziario, il 16 febbraio 1983 tentò il suicidio sparandosi alla tempia: primo colpo a vuoto, il secondo lo rese cieco (nel 1992 ci riprovò).




Dal sito www.calcioflash.com - 14 ottobre 2003

MORTO ALBINO BUTICCHI
E' venuto a mancare l'ex presidente del Milan, Albino Buticchi, dopo anni di solitudine ed una vita difficile. Se ne andò dopo una spaccatura con Rivera
Presidente dal '72 al '75, quando rilevò la squadra da Sordillo, Buticchi seppe portare il Milan alla conquista della Coppa delle Coppe contro il Leeds. Purtroppo per gli anni che seguirono non furono così felici alla guida della società rossonera. Si ricordi per questo anche lo scudetto perso a Verona in favore della Juventus. In seguito vennero gli scontri e le divergenze con Gianni Rivera. Buticchi tento di vendere Rivera al Torino scontrandosi con la tifoseria. Questi fatti lo portarono all'abbandono della Presidenza. Negli anni che seguirono, Buticchi, in preda a forti depressioni, tentò due volte il suicidio. Per questo rimase cieco.
Abbandonato dai figli, é morto in solitudine all'ospedale di La Spezia.




Dal sito www.milanclubfemminilestella.it - 13 ottobre 2003

E' MANCATO IL NOSTRO EX PRESIDENTE ALBINO BUTICCHI
Tutte noi stelline di vecchia data lo ricordiamo con grande affetto.
E' stato un Presidente molto vicino sia a noi che a tutti i tifosi rossoneri.
E' grazie a lui che alcune stelline Tina, Alberta, Maria Luigia, Giovanna e Debhora hanno potuto assistere all'incontro di Coppa a Liverpool contro l'Everton.
Di lui ricordiamo la grande disponibilità e il contatto che amava avere coi i tifosi: Durante la sua presidenza invitò tutti i Presidenti dei Milan Club a Lerici sulla sua nave: fu una giornata indimenticabile.
Lo ricorderemo sempre, nonostante la sua breve presidenza per come riuscì ad entrare nel cuore di tutti noi.
E col passare del tempo, imparammo ad apprezzarlo ancora di più.



Lerici, 2 settembre 1973
Foto fatta in occasione del raduno dei Milan Club con Tina ed Adele


IL RINGRAZIAMENTO INVIATO A MAGLIA ROSSONERA DA MARCO BUTICCHI:
"Stavo cercando alcune notizie in rete e mi sono imbattuto nella vostra bella pagina per onorare la memoria di mio padre, Albino Buticchi, recentemente scomparso. Ricordo bene la giornata in cui, al Lido di Lerici, venne scattata la seconda delle due fotografie.
Fu una giornata indimenticabile. Grazie per le vostre belle parole e per il vostro caro ricordo. Con tutto il mio affetto. Marco Buticchi"




Dal sito www.datasport.it - 14 ottobre 2003

SABADINI: "BUTICCHI, UN UOMO CHE AMAVA LA VITA"
Il difensore del Milan anni '70 a Datasport ricorda il suo ex-presidente scomparso
La morte di Albino Buticchi porta con sé un pezzo di storia del Milan. Un Milan preberlusconiano, senza lustrini o canali tematici, ma forse più impregnato di quella ''popolarità'' che della squadra rossonera è sempre stata caratteristica. Una Coppa delle Coppe e due Coppe Italia, con un'altra finale di Coppa Coppe persa e la ''fatal Verona'' nel cassetto dei dolori. Per parlare di quello che fu il presidente del Milan dal 1972 al 1975 Datasport ha scelto Giuseppe ''Tato'' Sabadini, storico difensore rossonero, protagonista nel Milan della prima metà degli anni '70.


"Era più di un anno che ormai non lo sentivo più, ogni tanto però mi telefonava e si metteva a piangere. Capitava quando riviveva certi momenti passati. Mi diceva sempre ''Io non ci vedo più (Buticchi era non vedente), ma dentro la mia testa ti ricordo mentre facevi quelle meravigliose discese e facevi quei bei gol di testa...''. Qualche anno fa gli avevo pure accennato, vista la sua grande passione per il calcio, al fatto di prendere una piccola società e a fare qualcosa insieme. Lui però aveva risposto che non gli pareva il caso, vista la sua condizione".

Che Milan era, ma soprattutto che tipo di presidente era Buticchi?

"Erano altri tempi, ma lui era un bonaccione. Spesso stava con noi, gli piaceva stare con la squadra. Me lo ricordo quando d'estate ci invitava a Lerici sul suo yacht e ci faceva spaventare perché si immergeva con le bombole rimanendo sotto un'eternità. Un'altra volta arrivava con il suo motoscafo e ci portava i frutti di mare freschi. Era molto legato ai giocatori, forse perché, per quello che ne so io, veniva dal niente, e quindi si trovava bene in mezzo alla gente tranquilla e semplice".

Il momento più bello e quello più brutto vissuto assieme?

"Due momenti ravvicinati: la vittoria contro il Leeds United in Coppa delle Coppe e la sconfitta di Verona. La cosa più strana è che mentre lui la partita di Verona voleva rinviarla, tutti i giocatori invece volevano giocarla. Due i motivi: eravamo sicuri di farcela e non volevamo perdere giorni di vacanza..."

Chi erano i suoi giocatori prediletti?

"Chiaramente Rosato, me, Chiarugi, Bigon, e poi c'era ovviamente l'amore per Gianni (Rivera, ndr), anche se con lui ci sono state delle incomprensioni, per via delle dichiarazioni di Pianelli, anche se erano per la maggior parte battute. I suoi anni sono stati i migliori di quel tempo, ma purtroppo c'erano troppe guerre interne, e anche la squadra ne ha risentito. Ci fosse stata un'organizzazione come quella del Milan di oggi, avremmo vinto tranquillamente due o tre scudetti. Anche gli ingaggi non erano alti. Mi ricordo il primo anno, ai tempi di Sordillo, arrivavo dalla Sampdoria dove guadagnavo 14 milioni e mezzo. Al Milan me ne offrivano soltanto 12...In compenso si prendevano più premi partita al Milan".

Chiudiamo con un ricordo di Buticchi...

"Ogni tanto arrivava con la sua Rolls Royce. Una volta mi ricordo che andammo in autostrada con la mia auto. Era una Dino 2004 Fiat, in Italia ce l'avevamo io, Riva e Bedin. Guidava lui e toccò i 230 all'ora. Aveva fatto il pilota. Io puntavo i piedi e intanto lui si divertiva a frenare all'improvviso per farmi vedere come sapeva governare la macchina. Era un uomo che amava vivere..."




Dal sito www.ilgiorno.it - articolo di Gino Menicucci

Carraro non può cadere dalle nuvole. E Nizzola, poverino, non ne sapeva niente? Macchè, i vertici del calcio erano perfettamente a conoscenza di questi regali, visto che erano stati gli stessi arbitri ad avvisarli. Lo hanno detto al segretario della Lega, non a un Pincopallino qualunque. Arbitri e regali, una vecchia storia. E non vi parlo neppure di pasta e fagioli o di vini tipici, presenti che sotto Natale sono sempre arrivati a casa degli arbitri e non mi pare che ci sia nulla di scandaloso dietro.
Voglio invece parlare di Rolex e Baume & Mercier, marche prestigiose di orologi da polso. Bisogna rendere sì o no questi orologi regalati dalla Roma agli arbitri? Nizzola dice sì, io non lo so e non mi interessa più di tanto. Io so solo che anche quand'ero in attività - e non è la prima volta che lo scrivo: mai ricevuto una smentita al proposito - viaggiavano orologi di lusso: non Rolex, ma Baume & Mercier. Questo capitava fra l'altro non a Natale, ma prima delle gare e forse la faccenda è un po' più pericolosetta.
Mi riferisco a un lontano 1974, quando il Foggia, prima di una partita casalinga con il Milan, mi portò nello spogliatoio un magnifico orologio. Appunto un Baume & Mercier, in oro. Ai miei due guardalinee, come al solito, un «pasto» più povero: due orologi, ma di acciaio. Premetto che non accettai il regalo e lasciai quegli orologi in bella vista sul tavolo dello spogliatoio. Prima della partita entrò a salutarci il povero Albino Buticchi - allora presidente del Milan (visto? Anche allora c'erano le visite negli spogliatoi dei dirigenti...). Buticchi guardò gli orologi e fissandomi negli occhi abbozzò un sorrisetto. Io gli dissi che non avrei mai accettato quei regali un po' troppo grossi e anzi lo pregai di prendere testimonianza di quanto andavo dicendo. Dopo un'indagine e un processo, i giudici sportivi ritennero che quello del Foggia fu un tentativo di corruzione a tutti gli effetti. I pugliesi furono retrocessi d'ufficio in serie B. In quel 1974 il Foggia regalò altri orologi, a miei colleghi. Loro, però, rimasero zitti. Il Foggia, naturalmente, non aveva alcun interesse a divulgare quei nomi, altrimenti la pena sarebbe stata assai più grave.
Non ho mai saputo i nomi dei miei colleghi, ma so per certo che almeno altri sei orologi, dopo il passaggio degli arbitri, non erano più nello spogliatoio. Posso affermare invece che alcuni di loro (gli ex colleghi) sono stati e forse sono tuttora grandi esponenti del settore arbitrale con incarichi di grande responsabilità e ad altissimo livello. Sapere con certezza i nomi? Bisognerebbe chiederlo al vice commissario Can dell'epoca, Renzo Righetti, visto che il commissario Ferrari Aggradi purtroppo è deceduto. Oppure chiederlo all'allora presidente del Foggia o al suo segretario. Tranquilli, qualcuno che sa la verità c'è sempre. E anche in questo caso Carraro, per cortesia, non può cadere dalle nuvole.




Dal sito www.graziagiordani.it

"Profezia" di Marco Buticchi, Longanesi
UN NUOVO TRAVOLGENTE ROMANZO DEL MAESTRO ITALIANO DELL'AVVENTURA
Ex manager, votato al mare, attualmente bagnino e scrittore: questo, in poche parole, potrebbe essere il profilo di Marco Buticchi, un aitante quarantatreenne (figlio di Albino, noto presidente del Milan) che si autodescrive affermando: "sei anni fa mi sono messo la maglietta rossa con la scritta "salvataggio", il fischietto al collo e ho cominciato a vivere all'aria aperta".
Laureato in economia, questo irrequieto ligure, si è sentito imprigionato dentro le regole del mondo degli affari (trader petrolifero), non ne ha potuto più delle corse frenetiche , dei voli continui in aereo, della vita artificiosa che lo ha fatto tornare alla sua Lerici, al mare, al contatto con la gente, mettendogli in mano una penna "avventurosa", atta a scrivere romanzi, sulle orme di un Wilbur Smith , però di vena più calda e mediterranea.
La strada che da "Le pietre di luna" (1997) a "Memoriali" (1998), lo ha portato ora a "Profezia" (Longanesi), fresco di stampa, è stata rapida e vincente, visto che critica e lettori hanno dato segno di apprezzare le capacità del nostro ligure di creare una trama composita, fatta di molteplici storie dove il vero e il verosimile si rincorrono incessantemente, in cui personaggi positivi e negativi - il classico buono e cattivo - occupano un grande arco temporale che va dal 1300, con il segreto dei Templari in Francia (da dove avevano tratto la loro prodigiosa ricchezza?), al 1999 con la crociera della maestosa "Queen of Atlantic nei porti più importanti del mondo. A Venezia vi si imbarcano quattro amici americani; a essi si aggiungono Geraldo di Valmure, uno studioso di storia medievale che vanta illustri antenati tra i Templari, e Josif Drostin, il più potente mercante di armi russo. La grande nave, insidiata da progetti di distruzione e morte, quali segreti nasconde?
Partendo dalla sanguinosa disputa tra i Templari ed il Re di Francia (conclusasi con la distruzione dell'ordine stesso), dentro la trama fitta, Buticchi riesce a far posto anche ad un periglioso viaggio dei Templari in America - precursori di Colombo - all'eccidio (1918) della famiglia regale russa a Ekaterimburg, con la scomparsa del tesoro degli Zar e all'attentato di Papa Giovanni Paolo II, in Piazza San Pietro.
Non mancano, per la risoluzione dei misteri, prodigiose deità "ex machina" quali Oswald Breil, già capo dei Mossad e ora vice ministro della difesa israeliano e la geniale scienziata Sara Terracini che ci aiuteranno a illuminare gli aggrovigliati legami che uniscono gli eventi storici così difformi e lontani nel tempo.
Fatto di voli pindarici in un tempo che si frange e si ricompone, con la volubilità del mare, tanto caro all'autore, in un esagitato andirivieni, questo ultimo romanzo di avventura - pur essendo opera di fantasia - ha richiesto uno studio minuzioso che ci è attestato dalla bibliografia che va dalla "Storia dei Templari" di Malcom Barber a "La fine degli Zar" di Anthony Summers - Tom Mangold, passando attraverso una quindicina di altri seri volumi di studio.
Brioso e incalzante, lo stile di Buticchi piace perché non è pretenzioso, ma vuole soprattutto regalare ore di svago al lettore. E ci riescegiungono Geraldo di Valmure, uno studioso di storia medievale che vanta illustri antenati tra i Templari, e Josif Drostin, il più potente mercante di armi russo. La grande nave, insidiata da progetti di distruzione e morte, quali segreti nasconde?
Partendo dalla sanguinosa disputa tra i Templari ed il Re di Francia (conclusasi con la distruzione dell'ordine stesso), dentro la trama fitta, Buticchi riesce a far posto anche ad un periglioso viaggio dei Templari in America - precursori di Colombo - all'eccidio (1918) della famiglia regale russa a Ekaterimburg, con la scomparsa del tesoro degli Zar e all'attentato di Papa Giovanni Paolo II, in Piazza San Pietro.
Non mancano, per la risoluzione dei misteri, prodigiose deità "ex machina" quali Oswald Breil, già capo dei Mossad e ora vice ministro della difesa israeliano e la geniale scienziata Sara Terracini che ci aiuteranno a illuminare gli aggrovigliati legami che uniscono gli eventi storici così difformi e lontani nel tempo.
Fatto di voli pindarici in un tempo che si frange e si ricompone, con la volubilità del mare, tanto caro all'autore, in un esagitato andirivieni, questo ultimo romanzo di avventura - pur essendo opera di fantasia - ha richiesto uno studio minuzioso che ci è attestato dalla bibliografia che va dalla "Storia dei Templari" di Malcom Barber a "La fine degli Zar" di Anthony Summers - Tom Mangold, passando attraverso una quindicina di altri seri volumi di studio. Brioso e incalzante, lo stile di Buticchi piace perché non è pretenzioso, ma vuole soprattutto regalare ore di svago al lettore. E ci riesce.




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Albino Buticchi tra Razzuoli e Parmigiani per la riedizione della Mille Miglia
(grazie a Guido Santini)



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La scomparsa di Albino Buticchi su
"Il Corriere della Sera" del 14 ottobre 2003
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(dalla "Gazzetta dello Sport" del 16 settembre 2016)



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Articolo su Albino Buticchi da "Storie di Calcio"



Dal sito www.ilgiornale.it
28 agosto 2016

LA VITA È UN GIOCO D'AZZARDO. STORIA DI ALBINO BUTICCHI TRA PETROLIO, MILAN E POKER
Il figlio bestsellerista Marco fa i conti con la figura del padre: un'avventura italiana di successi e fallimenti
Nell'estate del 1969 Namar II era appena giunto a Porto Cervo, in una banchina sulla quale fervevano ancora i lavori di costruzione. Poco distante c'era l'imbarcazione sorella, posseduta da Karim Aga Kahn. I due «giganti» costruiti da Baglietto dominavano con la loro mole il porticciolo.
Anche alcune delle case del borgo stavano per essere ultimate, in quell'angolo di paradiso sorto dal nulla per volere di un gruppo di imprenditori. La Costa Smeralda era agli albori e sulle spiagge o tra i vicoli di Porto Cervo non era raro incontrare personalità di spicco del mondo della finanza e dello spettacolo.
Quel giorno, terminato l'ormeggio, mio padre scese a terra per godersi un gelato al dirimpettaio Caffè del Porto. Lungo il cammino gli si fece vicino un giovane dall'aria cordiale e dai modi gentili.
«Mi scusi, signore», gli disse il giovane in un perfetto italiano con una piacevole cadenza inglese, «lei si trova bene con i motori Carraro?»
Albino gli rispose con altrettanta cortesia e i due chiacchierarono piacevolmente di pistoni e cilindri, filtri dell'olio e asse d'elica dei motori marini. Ne sapevano parecchio, a giudicare dalle informazioni che si scambiarono nel corso di quell'incontro casuale. Alla fine si salutarono amichevolmente e Albino raggiunse gli ospiti che lo aspettavano al bar. Il proprietario del locale lo trattò con estrema deferenza e lo chiamò perfino per nome pur non avendolo mai conosciuto. Albino, lusingato da quell'accoglienza, gliene chiese il motivo.
«Gli amici di Sua Altezza vanno sempre trattati con un occhio di riguardo», rispose il gestore.
«Sua Altezza?»
«Karim Aga Kahn, signor Buticchi, il presidente del Consorzio Costa Smeralda. Vi siete appena salutati come due vecchi amici.»
«Vuol dire che quel signore era...?» disse Albino incredulo. «Accidenti, vestito così da mare non l'avevo proprio riconosciuto.»
Aveva appena stretto la mano a un principe, capo di un impero finanziario ed economico internazionale. Uno tra gli uomini più potenti al mondo. Ripensò al freddo lungo la Napoleonica, alle mattine in cui si recava in cantiere a scaldare chiodi, al carro con i bidoni del latte che tintinnavano, alle carrozze del padre Alfredo, ed ebbe un moto di comprensibile orgoglio.
Da quella volta lui e il principe si incontrarono ancora. Ma non parlarono di motori. Qualche tempo più tardi Albino acquistò la sede degli uffici del Consorzio Costa Smeralda, un gigantesco attico sulla piazzetta di Porto Cervo, una tra le case più suggestive in uno dei luoghi più esclusivi del mondo.
Caratterialmente mio padre non era un mondano, ma il mondo patinato spalancava le porte dinanzi alla sua spessa corazza di vincitore: nelle sue belle case non era raro imbattersi in personaggi del mondo della finanza e dello spettacolo. Per noi ragazzi era quasi normale cenare con star di Hollywood, attori di grido, magnati del petrolio o sportivi nel pieno della carriera. Spesso mio padre raccontava loro le sue umili origini. Non ho mai capito se facesse questo per rendere i suoi interlocutori partecipi del suo orgoglio o per giustificarsi se, in quel mondo così effimero, si sentisse a volte come un pesce fuor d'acqua.
Una sera d'estate Walter Chiari, amico di papà di vecchia data, venne ospite da noi con Ginger Rogers, la grande star del musical. Memore dei suoi volteggi al fianco di Fred Astaire, mi aspettavo d'incontrare un'avvenente bionda ancora tutta curve e agilità. La signora che mi trovai di fronte era di una simpatia strabiliante, ma aveva poco a che vedere con la ballerina capace di segnare un'epoca e tanti cuori. Riflettei su quanto veloce fosse stato il passaggio dal fiore della bellezza a quella pur splendida vecchiaia. Capii che le immagini avevano contribuito a falsare le mie aspettative, immortalando per sempre la Ginger Rogers che tutti conosciamo, mentre il tempo, inesorabile, era scorso senza sconti per nessuno.
Nel mondo dello sport, mio padre aveva stretto una sincera amicizia con Artemio Franchi, capace dirigente, da anni al vertice della Federazione italiana giuoco calcio. Fu Franchi, forse per distoglierlo dai problemi dovuti alle beghe legali con Ivana Ferri, che insistette affinché si recasse in Messico al seguito della Nazionale italiana ai mondiali del 1970. Quell'esperienza fu indimenticabile per l'Italia intera e fu proprio nel corso di quei mondiali che papà maturò una ferrea amicizia con il beniamino dei tifosi: Gianni Rivera. Appena terminato il campionato del mondo, quello della famosa semifinale Italia-Germania (4-3), molti dei calciatori azzurri arrivarono a Lerici, invitati da mio padre. Da quella volta Gianni Rivera e Roberto Rosato vi trascorsero molte altre vacanze ancora.
Al di fuori del mondo degli affari, l'ambiente del pallone era quello che più gli si confaceva. In gioventù, da presidente dello Spezia Calcio, aveva imparato che, per rivestire incarichi ai vertici di una squadra, bisognava essere competenti, impulsivi, assolutisti, appassionati, facoltosi e in possesso di una buona dose di spregiudicatezza. Di ognuna di queste caratteristiche lui ne aveva da vendere. E, prima o poi, capita il momento per far fruttare al meglio ogni esperienza vissuta.
***
L'attaccamento che lo legava all'ambiente marino era indissolubile: mio padre era un giramondo, frequentava personaggi dello sport, della finanza e dello spettacolo nei luoghi più esclusivi ma, ogni volta che si tuffava nelle acque azzurre del suo golfo, sembrava rinascere. Per questo cercava di non restare mai troppo lontano dalle sue radici. Come ogni marinaio, sapeva che il modo migliore per apprezzare il mare è solcarlo nel silenzio, spinti dalla sola forza del vento.
Fu nel corso del 1970 che commissionò al prestigioso studio londinese Laurent & Gilles il progetto di un panfilo a vela che avrebbe fatto epoca.
Si trattava di un ketch in legno di ventidue metri. L'albero di maestra era alto quasi trenta metri, diciassette la mezzana. La barca fu costruita dai Cantieri Beconcini della Spezia, famosi per annoverare tra le loro maestranze i migliori maestri d'ascia del Mediterraneo. Quando l'imbarcazione fu ultimata, tutti ebbero modo di ammirare le sue linee leggere e filanti che sembravano contrastare l'imponenza di un veliero di quelle dimensioni. Mio padre lo volle chiamare Cadamà, in onore del piccolo borgo affacciato sul golfo in cui era nato, una «casa di mare» galleggiante...
Appena varato il veliero, papà era indeciso se vendere o meno lo yacht a motore: conosceva i tempi della vela, incompatibili con quelli del suo lavoro. Il mercato, poi, per un'imbarcazione dalle dimensioni del Baglietto Minorca che possedeva, non offriva molti compratori. Forse, si disse, sarebbe stato meglio aspettare tempi migliori.
Ci pensò, tuttavia, la sua maledetta passione per il gioco a risolvere ogni dubbio. Ogni tanto quel demone riemergeva all'improvviso. Quella sera, a bordo del Namar II ormeggiato a Montecarlo, si erano riuniti attorno al tavolo alcuni facoltosi imprenditori milanesi.
«Per un pokerino tra amici», si erano detti.
Ma il gioco conosce pochi amici.
Poco dopo l'inizio le puntate erano già a livelli altissimi. Albino non era in serata e si barcamenava in un sostanziale pareggio, al prezzo però di grandi rischi.
Le mani si avvicendavano senza che avvenissero scontri di una certa consistenza.
Albino aprì lentamente le carte che gli erano appena state servite dal giocatore alla sua sinistra: doppia coppia di re con dieci.
Rilanciò sulla prima puntata, due dei quattro giocatori diedero forfait. Sia lui che lo sfidante rimasto, il mazziere, cambiarono una sola carta. Lentamente, dal ventaglio, spuntò il piede di un terzo re: Albino aveva full. Calcolò rapidamente le possibilità di vittoria. Avendo scartato un asso, era convinto che sarebbe stato imbattibile. Rilanciò e l'avversario aumentò il suo rilancio sino all'ultima fiche della posta.
Albino era certo di averlo in pugno e azzardò: «Non ho più fiches, ma se accetti mi gioco questo yacht. Vale 150 milioni di lire».
«Vedo», disse l'altro coprendo la puntata con un assegno.
«Full di re», disse Albino, praticamente certo di aver vinto.
L'altro posò sul tavolo, con movimenti studiati e una lentezza estenuante, un poker di nove.
Albino sentì l'adrenalina sciogliersi lungo gli arti, le gambe divennero di burro. Ma non fece una piega. Un giocatore deve saper perdere dignitosamente.
L'indomani scese dalla sua ex barca al mattino presto e si allontanò dal porticciolo di Montecarlo a bordo di un taxi.
Marco Buticchi



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(da www.ilgiornale.it)



Dal sito www.famigliacristiana.it
26 settembre 2016

VI RACCONTO LA STORIA DI MIO PADRE, ALBINO BUTICCHI
Lo scrittore Marco Buticchi, noto per i romanzi d'avventura, ha scritto l'autobiografia del padre: un uomo di origini umili che diventò ricco petroliere, campione di automobilismo, presidente del Milan, fino a disperdere il proprio patrimonio a causa del vizio del gioco
Non dev' essere stato facile per Marco Buticchi scrivere questo Casa di mare (Longanesi) e il fatto che lo abbia fatto all' età di 59 anni fa immaginare le comprensibili titubanze ed emozioni che lo hanno investito. Il libro è la biografi'a più diffi'cile che un uomo possa scrivere: quella del proprio padre. Se il proprio padre, poi, è Albino Buticchi, il quadro si complica ancora di più. 
Albino Buticchi è stato un uomo che, dal nulla, ha costruito un impero economico, dissolvendolo alla 'ne a causa di un' incontenibile passione per il gioco. Fra le umili origini e il triste epilogo, che comprende anche un tentativo di suicidio che lo rese cieco 'no alla morte, avvenuta nel 2003, Albino Buticchi visse un' esistenza incredibile, per quante imprese e avventure attraversò. Prese parte alla Resistenza, sfuggì per un sof'o alla deportazione in un lager, si arruolò nella Legione straniera, mise in piedi un' azienda petrolifera diventando uno degli uomini più ricchi e in vista dell' Italia del dopoguerra, fu campione di automobilismo e presidente del Milan, solo per citare alcune delle sue avventure... 
Il titolo evoca le origini, il luogo e il mondo da cui Albino proviene. Il sottotitolo, Una storia italiana, spiega che la vicenda di quest' uomo si staglia sullo sfondo della Storia nazionale, dalla Seconda guerra mondiale all' inizio del terzo millennio, assurgendo a storia esemplare. L' autore-figlio si accosta a questa materia incandescente affidandosi ai canoni della biografia, quasi per conquistare la necessaria distanza affi'nché il "romanzo" possa formarsi. Qualche pagina, soprattutto quelle iniziali che descrivono il momento più diffi'cile dell' esistenza del padre, tradiscono un coinvolgimento profondo. Ma è proprio questo fragile equilibrio fra sentimento e biografia a costituire la forza del libro.



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(da www.famigliacristiana.it)



Dal sito laspezia.cronaca4.it
23 agosto 2016

"CASA DI MARE - UNA STORIA ITALIANA", L'ULTIMO LIBRO DI MARCO BUTICCHI
LERICI - Giovedì 25 Agosto 2016 alle ore 18,30, a Villa Marigola, Lungomare Biaggini, 1, Lerici, presentazione dell'ultimo libro di Marco Buticchi "Casa di Mare - Una storia italiana", la storia del padre dell'autore, Albino Buticchi.
Casa di mare è il ritratto commovente, avventuroso e appassionato del padre dell'autore, il noto industriale ligure Albino Buticchi. Un'esistenza tanto eccezionale quanto fragile. La storia di Albino Buticchi è quella di un uomo che dal nulla crea un impero per poi dissolverlo sotto la spinta incontrollabile delle sue passioni. Un personaggio dell'alta società internazionale dalla vita movimentata, il cui racconto nelle pagine di questo romanzo è caratterizzato dal tono e dal ritmo tipici di Marco Buticchi, con l'aggiunta inevitabile di una forte componente emotiva. Da Casa di mare emerge un vivido affresco dell'Italia eroica dell'ultimo secolo, dal Dopoguerra alla Dolce Vita, dagli anni del boom economico a quelli del grande calcio italiano. Una finestra aperta su una Nazione capace di risorgere dalle proprie macerie, grazie alle intuizioni e al coraggio dei protagonisti di quell'epoca.
Albino Buticchi è stato petroliere, pilota d'auto e dirigente sportivo. Dopo una giovinezza nella Resistenza, contrassegnata anche da una deportazione, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta diventò responsabile della BP (British Petroleum) nel Nord Italia. Nel 1972 divenne maggiore azionista e presidente dell'Associazione Calcio Milan. Entrato in contrasto con i tifosi e con il capitano Gianni Rivera, lasciò la presidenza nel dicembre del 1975. Frequentatore assiduo delle case da gioco, nel 1983 tentò il suicidio: si sparò alla testa e perse la vista. È scomparso il 13 ottobre del 2003 alla Spezia.
«Seduto di fronte alla sua esistenza densa di avventure come un romanzo, ho ascoltato i racconti di mio padre con la devozione di un figlio che compie i primi passi stringendo la mano di chi lo guida. Senza sapere se mai avrei trovato il coraggio di aprire questo ripostiglio così intimo da diventare, paradossalmente, universale. La storia che andavo raccontando diventava sempre meno mia e sempre più parte di una Nazione meravigliosa, ricca di uomini e donne eccezionali, capaci di scrollarsi di dosso le macerie della guerra e lo spettro della fame»



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(da laspezia.cronaca4.it)


(da laspezia.cronaca4.it)



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(da illibraio.it)
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Marco Buticchi
(da illibraio.it)



Dal sito storiedicalcio.altervista.org

BUTICCHI: LA SAGA TRISTE DELL'EX PATRON DEL MILAN
Una vita passata tra polemiche, discussioni, belle donne, uomini in pantaloncini corti da comprare e da vendere, casinò e roulette, pozzi petroliferi e yacht da favola, e vent'anni terribili di cecità dopo un tentativo di suicidio.
Presidente dal '72 al '75 - Quando rilevò la squadra da Sordillo, Buticchi seppe portare il Milan alla conquista della Coppa delle Coppe contro il Leeds. Gli anni che seguirono non furono così felici alla guida della società rossonera. Si ricordi per questo anche lo scudetto perso nella Fatal Verona. In seguito vennero gli scontri e le divergenze con Gianni Rivera che lo portarono all'abbandono della Presidenza. Negli anni che seguirono, Buticchi, in preda a forti depressioni, tentò due volte il suicidio rimanendo cieco. Abbandonato dai figli, morì in solitudine nel 2003.
Nato a Cadimare, sobborgo della Spezia sulla strada che conduce a Porto Venere il 21 maggio 1926, il giovane Albino, figlio con sei fratelli di un carrozziere e di una lattaia, si distingue subito per vivacità, senso dell'azzardo e un'idea dominante: fare tanti soldi anche se la biografia parla di un passaggio nella Resistenza, d'una deportazione in Germania e d'una rapida apparizione negli Stati Uniti. Il primo affare è una fornitura di calzettoni militari rimediata in modo disinvolto su una nave da guerra.
Poi c'e' l'esperienza controversa nella legione straniera fino a quando il suo intuito lo porta verso il carburante. L'Italia della ricostruzione e del boom ha bisogno di nafta e lui, da buon spezzino, la trasporta via mare. Il mercato e la sua abilita' lo fanno crescere: acquista le prime pompe, crescono gli affari e poi, a cavallo tra gli anni 60 e 70, diventa responsabile della BP nel Nord Italia: dopo Moratti e' fra i petrolieri piu' importanti. Dal primo matrimonio, con Maria Luisa Frunzo, ha due figli: Nadia e Marco, ex assessore a Lerici ma soprattutto apprezzato scrittore.
Durante la movimentata relazione con Ivana Ferri nascono invece tre figli ma lui ne riconosce soltanto uno, Alfredo, 28 anni. In piu' fra i due nasce una bagarre giudiziaria al limite dell'assurdo: lei lo accusa d'averla fatta sterilizzare a sua insaputa durante un altro intervento. Denunce, controdenunce: non ne esce nulla. Molti guai ma anche molta fortuna. Eleganti appartamenti, uno yacht, il Cadamà, per ricordare il suo paese natale Cadimare, le scorribande negli autodromi: con l'Alfa Romeo avrebbe potuto essere un grande pilota di Formula Uno.
Ma affari e pista non si conciliano per suo disappunto. Lenisce la sua frustrazione nel 1972, coltivando ambiziosamente una sua altra grande passione: il calcio. Dove viene introdotto nell'ambiente da Gianni Rivera che lo porta direttamente in Via Turati, sede del Milan.

BUTICCHI ASSIEME A NEREO ROCCO
La denominazione con la quale venne ammesso in società era «ufficiale pagatore» e gli fu concessa la carica di vicepresidente. Lo guardavano storto, quel signore venuto dalla provincia che maneggiava i soldi del petrolio e non frequentava i salotti belli di Milano. Lo guardavano storto e non gli facevano mettere becco negli affari del pallone, fino a che lui non si spazientì e disse, sempre a voce alta, perché Buticchi era uno che non amava il tono minore: «Se ci metto i soldi, voglio essere io a decidere».
E così s'impossessò della poltrona di presidente, ne scalzò Federico Sordillo e iniziò a muoversi in un universo che non conosceva per nulla. Fece fatica, studiò, usò, facendosi violenza, l'arte della diplomazia (che proprio non gli si addiceva) e cercò di regalarsi un sogno: il Milan, per lui, era un ritorno all'infanzia e alla giovinezza quando faceva il terzino nello Spezia. I primi passi da presidente furono lo specchio della sua vita: gioie immense e delusioni altrettanto grandi.
Conquistò la Coppa Italia nel 1973 e anche la Coppa delle Coppe nella sofferta finale di Salonicco contro gli inglesi del Leeds. Era il 16 maggio del 1973 e tutto sembrava potesse essere meraviglioso, come la vita del film di Frank Capra. Però, dopo la sbornia come dopo le notti vittoriose al tavolo verde, c' è sempre un' alba, e quella del presidente del Milan Albino Buticchi fu domenica 20 maggio 1973. Luogo del risveglio, lo stadio Bentegodi di Verona. I rossoneri sono in testa alla classifica, basta un punto e vincono lo scudetto e si cuciono la stella sulle maglie: ma Verona non è un buon posto per gioire, diventa addirittura «fatale», il Milan perde 5-3 mentre la Juventus vince a Roma e conquista il titolo. Buticchi distrutto, come tutti i milanisti, giocatori, tifosi, dirigenti. E quel giorno si ruppe un amore.
Buticchi, dopo la «fatal Verona», spinto forse anche da qualche consigliere poco accorto, prese in pugno la situazione e fece il decisionista. Solo che faceva fatica a decidere in un ambiente che non conosceva ancora alla perfezione, e così vennero le polemiche e le discussioni. Lui sarà sempre, nell' immaginario dei tifosi del Milan, il presidente che volle cacciare Gianni Rivera, cioè il mito.
Accadde questo: Buticchi, non si sa mosso da quali idee innovatrici, scelse per la panchina Gustavo Giagnoni e liquidò Nereo Rocco, che era praticamente un monumento in casa rossonera. Poi allontanò Pierino Prati e Roberto Rosato, altri due uomini che avevano fatto la storia della società, e si creò una frattura insanabile. I risultati non erano esaltanti, la gente non si divertiva, gli avversari vincevano e Buticchi non sapeva più che pesci pigliare. In una memorabile intervista dichiarò, forse senza rendersi conto di quello che stava realmente dicendo: «Sì, lo scambio tra Rivera e Claudio Sala si può anche fare». Come? Successe il finimondo.
La piazza rossonera si sollevò contro il presidente che osava toccare l'eroe e si schierò, ovviamente, al fianco del capitano dei capitani. Buticchi non poteva più controllare la situazione, non aveva più amici in società e le finanze cominciavano a venir meno. Rivera, arrabbiatissimo per l'onta subita, non si presentò per due giorni consecutivi agli allenamenti, venne punito da Giagnoni e, per risolvere una faccenda che era ormai bollente, s'impegnò in prima persona a eliminare Buticchi e a rilevare la società attraverso l'intervento di Jacopo Castelfranchi, all'epoca presidente della Gbc, e di altri amici. Operazione che andò a buon fine e Buticchi lasciò così il Milan.
Ma la vita gli avrebbe riservato ancora la parte peggiore. L'orgoglio lo portò a cercare delle rivincite (tentò avventure calcistiche nel Torino e nella Roma), ma nella sua vita cominciarono a sommarsi una serie di sconfitte (negli affari ed in amore) che lo spinsero verso l'isolamento e la depressione, e le ingenti perdite al gioco fecero il resto. La sua vita ormai era impossibile, e sull'orlo del crack decise di farla finita: nel 1983 si spara un colpo in testa, ma si salva e rimane cieco.
Nonostante i buoni propositi (che lo portarono anche a riconciliarsi con Rivera) non riuscì a separarsi dal gioco, ed una sera del 1992, dopo aver perso 400 milioni di lire, decise, per la seconda volta, di ammazzarsi, gettandosi dalla finestra: cade e si frattura il femore. Un tormento! L'ultimo atto fu la decisione dei figli di interdirlo: degli immobiliaristi senza scrupoli tentarono di acquistare la sua splendida villa di Lerici per una cifra dieci volte inferiore al suo effettivo valore. Era solo l'ultimo episodio di una vita incredibile, vissuta sempre al limite!
Al Milan restò sempre legato, al punto che le cronache raccontano che negli ultimi anni della sua vita (morì a La Spezia il 13 ottobre 2003), nonostante la cecità, si faceva accompagnare da qualche amico a San Siro per farsi raccontare la partita dal vivo e rivivere, in qualche modo, il clima degli "anni d'oro".
Fonti: Gazzetta dello Sport; Corriere della Sera, magliarossonera.it




Dal sito www.illibraio.it

"CASA DI MARE": BUTICCHI COMMUOVE CON IL RACCONTO DEL PADRE
Albino Buticchi è stato petroliere, pilota d'auto e dirigente sportivo. In "Casa di mare" il ritratto commovente del figlio, lo scrittore Marco Buticchi

“Seduto di fronte all’esistenza di mio padre, densa di avventure come un romanzo, cerco il coraggio di raccontarla”. Marco Buticchi ha deciso di dedicare un libro a suo padre, il noto industriale ligure Albino Buticchi. E il risulto è Casa di mare (Longanesi), un ritratto commovente.

Un’esistenza tanto eccezionale quanto fragile, quella di Albino Buticchi, un uomo che dal nulla crea un impero per poi dissolverlo sotto la spinta incontrollabile delle sue passioni. Un personaggio dell’alta società internazionale dalla vita movimentata, il cui racconto nelle pagine di questo romanzo è caratterizzato dal tono e dal ritmo tipici di Marco Buticchi, con l’aggiunta inevitabile di una forte componente emotiva.

Da Casa di mare emerge un affresco dell’Italia eroica dell’ultimo secolo, dal Dopoguerra alla Dolce Vita, dagli anni del boom economico a quelli del grande calcio italiano. Una finestra aperta su una Nazione capace di risorgere dalle proprie macerie, grazie alle intuizioni e al coraggio dei protagonisti di quell’epoca.

Albino Buticchi è stato petroliere, pilota d’auto e dirigente sportivo. Dopo una giovinezza nella Resistenza, contrassegnata anche da una deportazione, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta diventò responsabile della BP (British Petroleum) nel Nord Italia. Nel 1972 divenne maggiore azionista e presidente dell’Associazione Calcio Milan. Entrato in contrasto con i tifosi e con il capitano Gianni Rivera, lasciò la presidenza nel dicembre del 1975. Frequentatore assiduo delle case da gioco, nel 1983 tentò il suicidio: si sparò alla testa e perse la vista. È scomparso il 13 ottobre del 2003 alla Spezia.

L’autore (nella foto sopra, ndr), mastro italiano dell’avventura, ha pubblicato bestseller come Le Pietre della Luna (1997), Menorah (1998), Profezia (2000), La nave d’oro (2003), L’anello dei re (2005), Il vento dei demoni (2007), Il respiro del deserto (2009), La voce del destino (2011), La stella di pietra (2013) e Il segno dell’aquila (2015).

Su ilLibraio.it, per gentile concessione dell’editore, un capitolo da Casa di mare

Prologo

La Spezia, Ospedale Civile,

notte del 14 febbraio 1983

« È ancora vivo? »

« Sì, dottore », rispose l’infermiere. « A tratti è anche cosciente. »

Il medico abbassò gli occhiali sul naso, osservò le ferite e assunse un’aria scettica.

« Non è possibile essere coscienti, conciati in questo modo. » Immerse la garza in una soluzione disinfettante dal colore brunito e ripulì i bordi bruciacchiati attorno al foro d’entrata del proiettile. Ripeté l’operazione con quello d’uscita, sull’altra tempia e assai più grande. Dopo la disinfezione, applicò due tamponi candidi sulle lesioni. In pochi istanti le bende si macchiarono del sangue che continuava a fluire.

Nei suoi gesti non c’era la spasmodica fretta che di solito accompagna chi cerca di salvare un essere umano: per quanto aveva modo di vedere, quella vita era da considerarsi ormai irrimediabilmente compromessa.

« Non possiamo fare altro », aggiunse abbassando la voce, quasi non volesse farsi sentire dal paziente. « Non credo che arrivi a domani. Lì dentro dev’esserci solo poltiglia: è questo l’effetto di un proiettile quando colpisce il cervello. Mandiamolo a Pisa, loro sono più attrezzati di noi per fare miracoli. I familiari sono stati avvertiti? »

« Li stanno rintracciando. Nessuno di loro era a Lerici, stanotte. »

« Chissà che colpo, poveracci. »

« Chissà che colpo per l’Italia intera… Questa storia finirà sulle prime pagine di tutti i giornali. Ancora non riesco a capacitarmi. Un uomo così… »

« Sono proprio uomini come questi che, quando cadono, fanno più rumore degli altri. »

« Ho freddo… » sussurrò il ferito. « Mamma, ho freddo. »

« Mi sente, Albino? » chiese l’infermiere chinandosi sulla barella.

« Sì, la sento… Lei mi conosce? » rispose.

« E chi non la conosce, presidente. »

« Ho freddo…mamma… » ripeté, prima che la mente si annebbiasse e tornasse a vagare nell’incoscienza.

Montecarlo, quella sera, gli era apparsa meno sfavillante del solito. Eppure era San Valentino, la festa degli innamorati.

Aveva deciso che per lui era finita sin da quando, nel cuore della notte, era uscito dal Casinò di Beaulieu: lì aveva lasciato l’ultimo assegno a garanzia del debito che aveva contratto. Un debito colossale, cui si andavano a sommare gli assegni circolari che aveva portato con sé e cambiato alle casse di alcuni casinò.

Beaulieu era la terza casa da gioco che aveva visitato nel corso di quella maledetta serata e in ognuna aveva perso cifre da capogiro.

Due amici lo riaccompagnarono in Liguria. Lungo la strada da Monaco a Lerici, cercarono di attenuare la tensione con qualche isolata battuta.

Lui restava in silenzio. Ormai aveva deciso, e lo aveva anche farfugliato tra le rare parole pronunciate durante il viaggio di ritorno.

Erano a poche centinaia di metri da casa quando furono fermati dai Carabinieri.

« Presidente Buticchi! È lei? » disse il graduato riconoscendolo. « Siamo abituati a vederla al volante. Non l’avevo notata seduto al posto del passeggero. Buona notte di San Valentino », augurò  il militare portando la mano alla visiera. Il maresciallo non poteva certo immaginare che, di lì a poco, lo avrebbe rivisto in tutt’altre circostanze.

« Buon San Valentino… » sussurrò Albino con quell’unico pensiero ormai padrone della sua mente.

« Vuoi che ci fermiamo a dormire da te? » chiese uno degli amici.

« Dormire da me? E per quale motivo? »

« Mi sei sembrato un po’… Insomma, un po’ giù. C’e` qualcuno dei tuoi con te? »

« Alla mia età me la cavo bene anche da solo, ti ringrazio. »

« Non ci pensare, Albino. »

« A che cosa non dovrei pensare, Angelo? »

« A quello che hai perso… al casinò… »

« Che cosa vuoi che sia, per me. Se li ho persi, in qualche modo li rifarò. I soldi vanno e vengono… » rispose senza convinzione.

Nessuno, al di fuori di una casa da gioco, può avere la cognizione esatta di quali cifre possano essere lasciate su un tavolo  verde. Spesso neppure lo stesso giocatore – che può ridursi a implorare perché gli sia concesso un nuovo prestito per rifarsi – sa con precisione quanto sta perdendo.

« Aveva ragione mio padre », mormorò Albino. « Non si arrabbiava perché giocavo d’azzardo sin da ragazzino, ma perché tentavo di rifarmi quando perdevo. »

« Non te la prendere, Albino », disse uno degli amici salutandolo davanti all’ingresso di casa.

« Non me la prendo più », rispose.

Il cancello automatico in ferro battuto della villa si richiuse alle sue spalle.

La pistola, una calibro 7,65, era nascosta dentro un secrétaire nella stanza da letto. Era un’arma semiautomatica che aveva acquistato anni prima, al tempo delle continue minacce di rapimento patite dalla famiglia, cui era seguito un misterioso attentato. Da allora era rimasta quasi sempre dentro un mobile, con il caricatore estratto dal calcio. Sedette sul letto con la rivoltella stretta in pugno.

La lucidità di chi sta per uccidersi é soltanto apparente. Nel disordine di una mente spossata, i meticolosi preliminari sono affrontati con la concentrazione che richiede ogni difficile rituale. Eppure, nella testa, aleggia una confusione assoluta che si contrappone

alla freddezza di chi ha deciso di morire.

Albino posò la pistola sulle gambe e si guardò attorno. In ogni momento della sua vita aveva avuto la piena cognizione del valore del denaro. Sempre, tranne  che al tavolo verde. Lì, ogni cifra gli era sembrata irrisoria rispetto alla sfida contro una sorte avvantaggiata in partenza dal calcolo delle probabilità. Dopo una lunga serie di ingenti perdite, del patrimonio accumulato in anni di successi non erano rimaste neppure le briciole.

Impugnò la pistola ma ebbe un attimo d’esitazione: non tutto era perduto. Forse poteva coprire i debiti smobilizzando alcune proprietà: gli sarebbe rimasto abbastanza denaro da vivere più che agiatamente sino alla vecchiaia. Ma l’incapacità di fermarsi dinanzi al richiamo del gioco lo atterriva. Gli pareva di essere una preda senza scampo in balia della sua stessa inguaribile debolezza. Davvero inguaribile. Sollevò l’arma e la puntò alla tempia.

Improvvise gli apparvero le immagini delle persone care.

Aveva sempre amato gli altri a modo suo, guardando tutti un po’ da lontano, spesso rasentando il confine dell’anaffettività. Forse ad atterrirlo non era tanto il dolore che avrebbe provocato loro, ma l’onta che avrebbe pesato sulla sua memoria: quella di chi aveva dissipato la propria ricchezza ai tavoli da gioco. Era sempre stato un giocatore, ma da qualche tempo aveva superato ogni limite sino a diventare schiavo di quel vizio. Però non lo ammetteva. Lui, uomo forte e intraprendente, imputava invece l’inizio della fine a un amico in difficoltà che lo aveva coinvolto nei suoi guai.

Prese un foglietto e scrisse con mano ferma: « Ringraziate l’amico… » e il nome di colui cui poteva attribuire la colpa dell’accaduto. Ma era soltanto un alibi, aveva mentito a se stesso persino in un momento come quello. Posò di nuovo la canna fredda sulla tempia, chiuse gli occhi, irrigidì le membra e tirò il grilletto.

Click.

L’arma fece cilecca.

Nel meticoloso rituale si era dimenticato di inserire il colpo in canna.

Riuscì anche a scuotere il capo e accennare un sorriso: era già successo che tirasse il grilletto senza caricare l’arma. E anche quella volta la sua vita era cambiata.

Posò la pistola sul tavolo da notte. Respirò a fondo e attese qualche minuto prima di riprovarci, almeno sino a smettere di tremare. Si sentiva in dovere di informare qualcuno della sua decisione.

Sollevò la cornetta e chiamò il suo più stretto collaboratore, una sorta di segretario-amico. Era notte fonda. Aveva solo voglia di sentire una voce familiare, prima di farla finita per sempre.

« Ho perso tutto. Mi ammazzo, Gianfranco. Scusami con tutti », disse con voce tremante prima di riabbassare la cornetta.

Gianfranco era la sua ombra da sempre. In paese era soprannominato « Gian Sorriso » per i suoi modi sempre gentili e accattivanti. Per lui Albino era molto più che un datore di lavoro: era l’amico più anziano, il compagno di mille avventure fuori e dentro le sale delle case da gioco. Quando si erano conosciuti, Gianfranco aveva diciotto anni, era imbarcato sulle petroliere e l’incontro con Albino gli aveva cambiato la vita. Appena ricevuta la chiamata, non perse tempo: indossò le prime cose che gli capitarono a tiro, salì in auto e si diresse a tutta velocità verso la villa.

Albino non dimenticò, stavolta, di caricare la rivoltella e, per non sbagliare, esplose un proiettile di prova contro il termosifone. L’acqua incominciò a zampillare lambendo i preziosi dipinti appesi alle pareti della stanza.

Dai piani superiori arrivarono grida e rumori: il colpo di pistola aveva svegliato le due domestiche. Chissà quale spettacolo si sarebbero trovate davanti, pensò prima di appoggiare nuovamente la canna sulla tempia. Adesso era talmente calda che non riusciva a tenerla a contatto con la pelle.

Le voci di sopra si fecero sempre più concitate.

«Mi troveranno morto con un buco in testa », pensò.

Poi tirò il grilletto.

(continua in libreria…)






Intervista di Enzo Biagi ad Enzo Buticchi



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(dalla "Gazzetta dello Sport" del 4 ottobre 2020, grazie a Luigi La Rocca)



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Tomba di Albino Buticchi presso il cimitero di Lerici (SP)
(by Gabriele Ferrero, 19 ottobre 2021)