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RIVERA CEDIBILE E SCOPPIÒ IL CAOS
Pubblicato 8 febbraio 2011 - by Sertac
Aprile 1975, clamorosa indiscrezione: il numero 10 al Torino in cambio di Claudio Sala. Fu l’inizio della guerra tra il fuoriclasse rossonero e il presidente Buticchi.
Nell’aprile del ’75, ormai fuori dal novero delle pretendenti allo scudetto, il Milan fu dilaniato dallo scontro (fu vera guerra) tra il presidente Albino Buticchi e Gianni Rivera, la bandiera rossonera, l’idolo incontrastato della stragrande maggioranza dei tifosi milanisti. Tutto partì da un’intervista, pubblicata dal Corriere della Sera, in cui il presidente si disse possibilista su uno scambio di mercato che avrebbe portato Rivera al Torino in cambio del ventottenne Claudio Sala, aggiungendo: “Naturalmente, con il consenso dell’
interessato”.
Manni, general manager dell'Inter, si fece subito avanti: “Noi ci stiamo a comperarlo. Bisognerà prima chiedere un parere al nostro tecnico”. I vertici societari milanisti diedero l’impressione di volersi sbarazzare del capitano il quale opponeva un aut-aut: rimanere in rossonero oppure chiudere col calcio. La squadra era affidata a Gustavo Giagnoni che non si sbilanciò ma non sembrò contrario all’ipotesi cessione.
Buticchi si soffermò, inoltre, su altre operazioni di mercato, mirate a costruire un Milan da scudetto per la stagione 75/76. Gli obiettivi dichiarati erano il viola Antognoni e l’attaccante Francesco Graziani. Dopo il ritiro di Schnellinger, il Milan era tornato ad essere interamente italiano. L’acquisto più importante, nel mercato dell’estate ’74, fu il portiere Albertosi, vicecampione del mondo nel 1970 e guardiapali del Cagliari che conquistò lo scudetto nello stesso anno.
Le dichiarazioni del presidente Buticchi scatenarono l’ira dei tifosi: “Rivera non si tocca”. La società, tuttavia, tirò dritto, incurante dei segnali che arrivavano dalla tifoseria, sempre più sul piede di guerra. Ad aumentare la polemica, contribuì anche il botta e risposta tra il presidente granata Pianelli e Rivera. Il massimo dirigente del Toro, al quotidiano La Stampa,
affermò: “Rivera al Toro? Non faccio l’antiquario”. La replica del Golden Boy non tardò ad arrivare: “Pianelli non potrebbe esercitare la professione di antiquario perché per farlo occorrono cultura, intelligenza e buon gusto”.
Il presidente del Milan, legato da un rapporto di amicizia con il patron granata, si disse pronto a prendere provvedimenti contro il suo numero dieci.
Intanto, dopo un’ottima prestazione contro la Lazio, Rivera veniva messo fuori rosa. L’incompatibilità con Giagnoni era arrivata al punto di non ritorno. L’
allenatore sardo non era tipo da dimenticare facilmente le offese. In barba ai comunicati rassicuranti, usciti dal quartier generale milanista, era chiaro che il fuoco covava sotto la brace. “Rivera non può permettersi anche il lusso di replicare ad una frase scherzosa di Pianelli con una battuta offensiva”, aggiunse Giagnoni.
Il capitano rossonero, sulla sua paventata cessione, fu esplicito: “Dopo tanti anni col Milan, mi sembrava naturale che la società, se fosse entrata nell'idea di cedermi, mi avrebbe dovuto comunicare la notizia personalmente e non attraverso i giornali. Ecco perché mi sono offeso per quanto avevo letto disertando cosi gli allenamenti. Dovevo prendere una decisione importante come uomo e come calciatore, anche quella, forse, di lasciare per sempre il calcio”.
Da Appiano Gentile, rimbombarono le affermazioni dell’interista Suarez, rimasto sorpreso dalle affermazioni di Buticchi circa la possibile cessione di
Rivera: “Queste parole – commentò Luisito – suonano come prova di sfiducia nei confronti del capitano rossonero. In passato, simile possibilità non sarebbe stata neppure sfiorata”.
Il durissimo scontro tra Buticchi e Rivera era appena alle battute iniziali. A fine aprile, durante una clamorosa conferenza stampa a Milanello, Gianni Rivera chiese il ritorno di Nereo Rocco e l’allontanamento di Buticchi e Giagnoni. Si parlò anche di una finanziaria disposta a spendere due miliardi (cifra indicata dal presidente per la cessione del 65% del pacchetto azionario) per rilevare il Milan.
Contestato senza sosta dai tifosi, in rotta di collisione persino con il general manager Sandro Vitali, il presidente era sempre più intenzionato a lasciare, spiazzato dalle pieghe che aveva preso la situazione. “Se Buticchi non cede, me ne andrò io”, aggiunse Rivera, consapevole che l’azionista di maggioranza non sarebbe resistito alle pressioni della tifoseria.
La stagione si concluse con il quinto posto dei rossoneri, utile per l’accesso in Coppa Uefa. Andò male, invece, la finale di Coppa Italia. Privo di Rivera, il Milan fu sconfitto 3-2 dalla Fiorentina. Era il 28 giugno ‘75. Giagnoni, confermato per la stagione successiva, venne esonerato nel settembre dello stesso anno, non riuscendo a cominciare il campionato.
Tre anni dopo, nel corso di un’intervista, Giagnoni ricordò la sua breve avventura rossonera. “Stavo lavorando bene, poi dovetti andarmene”. Immancabile la domanda su Rivera. “Credeva che fosse un giocatore finito invece gioca ancora e bene”, gli chiese il giornalista, alla vigilia della stagione 78/79 (l’
intervista fu pubblicata dalla Gazzetta dello Sport Illustrata). Secca la risposta di Giagnoni. “Per voi Rivera gioca sempre ad ottimi livelli, lo fate sempre più bravo di quello che è. Tuttavia, non l’ho mai definito un giocatore finito. Per me, non è più esistito come giocatore quando non si è presentato agli allenamenti. Ma non ho mai sobillato Buticchi contro di lui. Rivera disse che io non andavo bene per il Milan: in realtà, non andavo bene a lui. Come Trapattoni. E la Juventus lo sta ancora ringraziando”.
Lo scontro Buticchi-Rivera, conclusosi con la resa del presidente, per molti conoscitori di vicende rossonere fu l’inizio di una lunga crisi societaria che avrebbe portato la squadra, dopo la conquista della Stella, alla doppia discesa nel purgatorio della cadetteria. Un’onta che fu preceduta da una serie di gestioni all’insegna del pressapochismo e dell’improvvisazione, con alcuni personaggi piuttosto “chiacchierati” che finirono per peggiorare le cose.
Esistono pagine di mirabile giornalismo che spiegano, con ampi e dettagliati riferimenti, il regresso dirigenziale rossonero iniziato nel ’75 e che registrò il punto più negativo nel 1982. “Le vicende societarie rossonere – commentò Beppe Viola poche settimane dopo la seconda retrocessione in B del Milan – oscillano tra un film western mediocre ed una farsa di bassissimo profilo”.
Accostare la carriera di Rivera da dirigente milanista a quella dell’immenso campione ammirato con la maglia rossonera negli 60 e 70? Impossibile! Sarebbe come mettere insieme i brani dei Ricchi e Poveri con quelli dei Pink Floyd e sostenere che siano la stessa cosa.
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