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LE BALLE DELLA FEDERCALCIO SULLO SCUDETTO 2006


Pubblicata da Luca Serafini il giorno martedì 19 luglio 2011 alle ore 8.51
Il presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, Abete (di nome e di fatto) che di nome fa Ponzio, ha deciso di non decidere per incompetenza. Incompetenza è l’unica verità raccontata in questi giorni dalla scimmietta che durante l’era Moggi-Carraro-Mazzini-Bergamo-Pairetto c’era eccome, ma non vedeva non parlava e non sentiva. Tutto il resto sono balle. Ma il Pino, la Conifera, l’Abete, è in buonissima compagnia, non è l’unico bugiardo: le categorie sono plurime, quella dei giornalisti è al secondo posto dietro ai politici, sul podio sgomitano presidenti di calcio, procuratori, banchieri, avvocati, preti, evasori fiscali, mariti e mogli, eccetera…
Allora, sputtaniamola un po’ la farsa dello scudetto 2006. La Federazione non può decidere? E chi ha deciso nel 2006 di creare una grottesca commissione di saggi per assegnarlo, quello scudetto di carta igienica? E chi decise di revocarlo, nel 1927 e nel 1944? Non sapete cos’è successo, in quegli anni?
Partiamo dal 1927. In base a quanto accertato da una inchiesta, il terzino della Juventus Allemandi venne avvicinato al suo domicilio in una pensione torinese da un dirigente granata, il dottor Nani, che corruppe il giocatore anticipandogli metà della somma pattuita (50.000 lire), affinché questi "addomesticasse" la partita nello scontro diretto. In quella stessa pensione vi era anche il giornalista Renato Farminelli, corrispondente da Torino della testata "Il Tifone". Il derby si chiuse con la vittoria per 2-1 del Torino, ma Allemandi secondo l'opinione del corruttore, contrariamente ai patti si segnalò tra i migliori in campo. Per questo, Nani si rifiutò di pagare le restanti 25.000 lire al calciatore: la discussione che si accese tra i due avviene nella pensione di via Lagrange alla presenza di un testimone, Gaudioso, venne udita da Farminelli che origliava da un'altra camera. Da questo episodio, a fine campionato, ne ricaverà un pepato articolo dal titolo: "C'è del marcio in Danimarca", riferendo di una lettera scritta dal difensore bianconero a reclamare il saldo del pattuito. Questo reportage provocherà le indagini della Federcalcio, il cui presidente era allora Leandro Arpinati, gerarca fascista, nonché podestà della città di Bologna. Lo scudetto restò "non assegnato", e non quindi dato al Bologna come i dirigenti della società felsinea reclamavano. La "prova schiacciante", in realtà molto fragile, erano alcuni pezzi di carta rinvenuti durante un sopralluogo nella famosa pensione il vice di Arpinati, Giuseppe Zanetti, che uniti risultavano essere una lettera nella quale Allemandi reclamava il pagamento a saldo delle 25 000 lire. Il direttorio Federale, riunito nella Casa del Fascio, revocò lo scudetto al Torino e squalificò a vita Allemandi (che nell'estate era passato dalla Juventus all'Ambrosiana). In seguito alla vittoria della Nazionale Italiana della medaglia di bronzo alle Olimpiadi del 1928 il giocatore godrà poi di un'amnistia, mentre dello scudetto revocato non se ne fece più nulla, neanche quando - durante i funerali del Grande Torino - ne venne promessa la riassegnazione.
E veniamo al 1944. Il giorno 17 luglio, proprio dopo la vittoria dello Spezia che escludeva di fatto il Torino dalla corsa per il titolo, la Federcalcio emanava un comunicato in cui dichiarava, in contraddizione con quanto predisposto all'inizio di quel torneo, che alla squadra prima classificata sarebbe stato assegnata la Coppa Federale del campionato di guerra e non il regolare scudetto. Infine l'8 agosto, a campionato finito, un ulteriore comunicato dichiarava che il titolo di campione d'Italia sarebbe rimasto al Torino (vincitore del campionato 1942-43) e al 42° Vigili del Fuoco della Spezia era assegnata la Coppa Federale (tuttora custodita dalla società).
Dai, Pino(cchio). Raccontacene un’altra.