< STAGIONE 2010-11
 


31 dicembre 2010, l'uccisione dell'alpino Matteo Miotto in Afghanistan


Dal sito www.corriere.it
di Marco Nese

SOLO, NELLA TORRETTA DEL FORTE. COSI' E' MORTO L'ALPINO MIOTTO
Il cecchino ha sparato nascosto dietro a una roccia traiettoria. Probabile che il cecchino abbia mirato al volto

2 gennaio 2011 - La condizione agghiacciante in cui è morto il giovane alpino Matteo Miotto è la solitudine. Era solo, in cima a una torretta di sorveglianza in mezzo a una valle polverosa, a 450 chilometri da Herat. Doveva segnalare eventuali pericoli ai compagni, una cinquantina di alpini arroccati con lui in una piccola base chiamata «Snow», neve, in mezzo al Gulistan, una valle fiancheggiata da montagne spaventosamente spoglie, senza alberi e nemmeno un filo d'erba. La base Snow ha una forma triangolare, ad ognuno dei tre angoli spunta una torretta di controllo. In cima a una delle torrette il cecchino ha inquadrato Miotto. L'unico posto dal quale poteva osservare l'alpino senza essere visto era dietro una roccia. Altri possibili nascondigli non ce ne sono. Miotto era ben protetto, con spalle e torace fasciati dai 14 chili del giubbotto antiproiettile. Di sicuro il cecchino lo sapeva. E vedeva che anche la testa dell'alpino era difficilmente vulnerabile sotto l'elmetto. Probabile che abbia mirato al volto col suo vecchio fucile Enfield. Invece il proiettile ha seguito una traiettoria micidiale e s'è infilato nell'angolino sotto la spalla che il giubbotto lascia scoperto.
La stessa dinamica fatale che a Nassiriya, in Iraq, provocò la morte del mitragliere dell'Esercito Simone Cola. Ma che ci faceva Miotto in quella valle, in mezzo al nulla? La base Snow è uno degli avamposti creati a settembre scorso con l'intento di prendere il controllo totale di un'area ad alto rischio. I talebani l'hanno invasa in due occasioni, nel 2005 e nel 2007. La prima volta piombarono in forze e spararono sulla gente dei villaggi. Per farli sloggiare le forze internazionali, di cui facevano parte 200 italiani, ingaggiarono una lunga e sanguinosa battaglia. Ora, spiega il comandante della missione italiana, il generale degli alpini Marcello Bellacicco, «guadagniamo terreno e mi aspettavo una reazione, forse ci attaccheranno ancora». La strategia del generale Bellacicco è avanzare spargendo in tutta l'area varie postazioni, un po'come i forti che i pionieri americani creavano spingendosi verso il West. Oltre alla base Snow, in un'area ancora più interna del Gulistan, gli alpini presidiano una «Fob» (Forward base: base avanzata) denominata «Ice», ghiaccio. Questa offensiva degli italiani sta dando i suoi frutti. A Bakwa, cittadina all'ingresso della valle, stanno tornando nelle loro case seicento famiglie che erano fuggite sotto l'incalzare dei talebani. Per conquistare la fiducia della popolazione afghana, gli alpini compiono interventi che possono anche apparire modesti, ma che risultano molto utili e quindi graditi. Per esempio, in un villaggio del Gulistan, chiamato Golestan come il fiume che solca la valle, gli uomini del Genio hanno trasportato ghiaia per pavimentare tutto il bazar locale. D'estate il bazar era avvolto in nuvole di polvere e d'inverno diventava un acquitrino. Purtroppo garantire la sicurezza alla gente comporta molti rischi. L'alpino Miotto ci ha rimesso la vita. Oggi torna in una bara avvolta nel tricolore.