Dal sito robertoalfattiappetiti.blogspot.com
dal "Secolo d'Italia" di martedì 29 giugno 2010
Mondiali, calciomercato, nuovi campionati e coppe europee. L’unico denominatore comune a tutto il mondo del calcio è, senza dubbio, la frenesia che, in quanto tale, non pone quasi mai le basi per una sana e auspicabile pausa di riflessione. Come quella che, in un certo senso, si dovrebbe fare anche in seno alle vicende della Nazionale. Una Nazionale di «anziani», di «bolliti», espressione, tuttavia, di un Paese calcisticamente incapace di guardarsi indietro. E di farlo con metodo, in maniera costruttiva, con capacità critica...
Sul web impazzano sempre più siti amarcord, nel tentativo di valorizzare storie di club sempre più trascurate dagli stessi: emblematico il caso, guardando ad ambiti milanisti, di www.magliarossonera.it o Amarcord Milan, memorie rossonere, curato dal giornalista Sergio Taccone – che rivolgono non a caso uno sguardo al Milan pre berlusconiano –, per non dire di tanti altri casi meritevoli di menzione, come www.archiviotoro.it. Veri e propri archivi che raccolgono materiale pressoché introvabile, nel tentativo di custodire storie sempre più ignorate dalle dinamiche del c.d. calcio moderno. Ma chi governa il calcio è capace di tutelarne la memoria?
È illuminante, il tal senso, quanto sostenuto in un suo corsivo da Matteo Marani, direttore del Guerin Sportivo, sulle pagine del giornale di critica e politica sportiva, fondato nel 1912, da qualche tempo diventato mensile. «Sono stato invitato – racconta Marani – a partecipare a un simposio al Museo del calcio di Coverciano, organizzato dallo studio Ghiretti. Tema dell’incontro: il ruolo della memoria nel pallone. Confesso che la materia mi interessa e mi appassiona da qualche anno, ma in tutto questo periodo ho trovato la solita cerchia ristretta – per non dire isolata – di fedelissimi. Gli esperti sono sempre gli stessi, a partire dall’unico storico di vaglia, Pierre Lanfranchi». Nell’attualità lo scenario è sconfortante: «Non un nuovo ricercatore di valore, non un libro davvero significativo. Con uno stile retorico, potrei interrogarmi sul perché, ma conosco bene la risposta. La storia del calcio continua a essere la Cenerentola nelle discipline di ricerca. Ignorata, sbeffeggiata, nel migliore dei casi guardata con sussiego dall’Arcadia». Impeccabile la riflessione del direttore del GS in merito al legame tra calcio e fascismo: «Renzo De Felice, il più grande biografo di Mussolini, non cita nemmeno una volta il nome di Vittorio Pozzo nelle 980 pagine dedicate al biennio 1934-36. Domanda: secondo voi – nella crescita del consenso al Regime – furono più importanti i telegrammi inviati alla figlia Edda in Cina, puntualmente riportati nell’opera, o le vittorie dell’Italia nel Mondiale’34 e nelle Olimpiadi di Berlino? Io non ho dubbi, ma uscire dal ghetto è vietato». Oltre ai celebri volumi di Brera, Ghirelli, Ormezzano sulla storia del calcio, per non rimanere in ambiti giornalistici, sarebbero menzionabili i lavori di Papa e Panico, con la loro Storia sociale del calcio, primo approccio accademico che risale al’93. Di recente anche il contemporaneista John Foot, o meglio chi si cela sotto tale pseudonimo, ha dato vita a Calcio. Storia dello sport che ha fatto l’Italia (in versione aggiornata al 2010 da maggio). Ma come spiega Marani è una questione d’approccio: «Come diceva lo storiografo Edward Carr, è la casualità che segna la differenza tra Erodoto e Tucidide. Ovvero è la spiegazione dei fenomeni, e non la semplice descrizione dei fatti, che fa la storia. Purtroppo nessuno come i giornalisti sa seminare errori e false leggende, spesso soltanto perché suonano meglio romanzate». Così il mondo della ricerca continua a ignorare il calcio: «Non esiste la formazione. Nel 2002, di 26 facoltà di Scienze motorie (ex Isef), appena 9 prevedevano l’esame di Storia dello sport e solo una, Ferrara, la inseriva nel piano di studi come materia di base.
Lasciamo poi perdere le facoltà canoniche di storia contemporanea, come quella frequentata da chi scrive. In 22 esami dati, non una pagina sul pallone». Ecco spiegate le ragioni: «L’ostracismo è culturale, forse per la forte connotazione del calcio con il fascismo e il rispondente pregiudizio delle élite storiche di sinistra nel dopoguerra. Non esiste un progetto di archiviazione delle immagini del calcio, perse in qualche scantinato o lasciate al pur lodevole collezionismo privato. Non parliamo delle voci dei protagonisti: nessuno che le abbia registrate e per i testimoni degli Anni 30 vige ormai l’impossibilità umana di recuperarle. Lasciamo infine perdere i club e coloro i quali si sono fatti portare via archivi, coppe, cimeli, tra l’incuria e il malaffare. E lasciamo infine stare la Federcalcio, che al suo interno ha un nobile ufficio marketing e nemmeno uno storico di professione».
Ci risulta che in Federcalcio sia pervenuta una copia della sollecitazione di Marani in merito alla memoria storica del calcio. C’è da scommettere che al momento, in Federazione, siano impegnati a risolvere problemi «ben più importanti». |