Ha giocato anche con la Triestina (A), la Fiorentina (A), il Bologna (A), il Vicenza (B), la Lucchese (A), il Brescia (B) e il Piombino (B e C).
Ha allenato la Nazionale Italiana (con un bilancio complessivo di 58 partite, 31 vittorie, 21 pareggi e 6 sconfitte), subentrando ad Edmondo Fabbri, dal 1° novembre 1966 al 24 giugno 1974, il Piombino (B), il Prato (C), l'Atalanta (A), la Fiorentina (A), il Verona (A), la Roma (A), la Rappresentativa Nazionale di Serie B.
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Dal sito museocalcio.way4web.net
Ferruccio Valcareggi, mezzala, nato a Trieste il 12 febbraio 1919. Cresciuto nella Triestina esordì nella massima serie nel 1938 con la maglia alabardata e nel 1940 passò alla Fiorentina dove rimase per tre stagioni per poi passare al Bologna e ritornare alla Fiorentina. Nel corso della carriera come giocatore ha militato oltre che nella Fiorentina, nella Lucchese, nel Vicenza, nel Piombino, dove nel 1953, iniziò la carriera di allenatore.
Dopo essere stato alla guida del Prato, dove ricevette il seminatore d'oro, nel 1966 con Helenio Herrera fu nominato responsabile tecnico della squadra azzurra con la quale, nel 1968, vinse il Campionato d'Europa. E' stato vice campione del mondo nel 1970 (Città del Messico) ed ha partecipato ai campionati del mondo del 1974. Ha chiuso la carriera di allenatore nella Fiorentina, subentrando a De Sisti nel 1984/85.
Alla domanda cosa prova a visitare il Museo che nel frattempo si è modernizzato collegandosi con internet, Ferruccio Valcareggi ci ha così risposto:
"Quando entro nelle sale del Museo, dove sono appese le maglie, le foto, le scarpe, i palloni che sono stati utilizzati dai tanti campioni che hanno fatto la storia del calcio italiano, torno giovane, torno a quando ragazzo giocavo nelle giovanili della Triestina ed avevo come amico, anche se più anziano, Nereo Rocco.
Girando per il Museo rivedo tanti amici come Silvio Piola, Giovanni Ferrari, la più famosa e forte coppia di centrocampisti che abbia avuto l'Italia (Mazzola - Loik) dei quali ero riserva nella nazionale guidata da Vittorio Pozzo. Ma quello che mi inorgoglisce di più sono le foto e le maglie dei giocatori che nel 1968, sotto la mia guida, conquistarono il Campionato d'Europa.
L'emozione - prosegue Valcareggi - la provo anche quando entro nella sala dove ci sono le foto e le maglie della squadra azzurra del 1970 quando, a Città del Messico, arrivammo al secondo posto al Campionato del Mondo che fu vinto dal Brasile. Come rivedo volentieri il filmato della partita giocata in quell'occasione contro la Germania e vincemmo per 4-3 grazie ad un gol di Rivera".
Nasce a Trieste il 12 febbraio 1929. Calciatore, con al suo attivo 44 goal, il suo nome resta però legato al ruolo di allenatore ricoperto nella Nazionale Azzurra. Inizia la sua carriera calcistica in serie A nel 1938 con la maglia della Triestina per poi passare dopo due anni alla Fiorentina dove gioca per 5 campionati.
Dopo una tappa di due anni al Bologna ritorna alla Fiorentina, poi passa al Vicenza e quindi chiude la sua carriera da giocatore nel 1955 nelle fila della Lucchese. 261 in totale le sue presenze. Viene convocato in nazionale dal mitico Vittorio Pozzo. Chiusa la storia del giocatore, inizia quella di un grande allenatore. La sua prima esperienza l'effettua sulla panchina del Prato per poi passare all'Atalanta e quindi alla Fiorentina ma l'incarico di maggiore rilievo è quello rivestito sulla panchina della Nazionale Azzurra, ruolo ricoperto dal 1966 fino al 1974 nel quale periodo porta la squadra alla conquista del titolo europeo a Roma ed alla finale di coppa del mondo ai mondiali del Messico del 1970 contro il Brasile.
Sono due gli episodi fondamentali della sua gestione. L'essere ancora oggi, per milioni di italiani, "l'allenatore della Corea" (del Nord), quando un goal del dentista Pak Doo Yik sconfisse ed eliminò gli azzurri dai mondiali inglesi. Prima della partita valcareggi li aveva definiti "ridolini del calcio". La seconda "saga" valcareggiana riguarda la ormai stra-citata staffetta Rivera-Mazzola in Messico '70, dove condusse una delle formazioni più amate, se non la più amata in assoluto, del calcio italiano.
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Profilo di Ferruccio Valcareggi (da "La Domenica Sportiva" del 4 marzo 1938) |
Formazione della Fiorentina con autografi ripresa all'Arena di Milano, 1941-42 (by Silvio Brognara - facebook) |
Ferruccio Valcareggi e Romano Penzo nel 1943-44 |
Profilo di Ferruccio Valcareggi
(dalla "Gazzetta dello Sport" del 12 febbraio 1944) |
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Ferruccio Valcareggi al Bologna (da "Il Calcio Illustrato", 1945-46) |
(Archivio Magliarossonera.it) |
(Archivio Magliarossonera.it) |
Permesso di soggiorno in Brasile di Ferruccio Valcareggi, anno 1962 (by Luigi La Rocca) |
Dal sito www.figc.it
Roma, 02 novembre 2005
E' MORTO VALCAREGGI: CAMPIONE EUROPEO NEL '68, PORTO' L'ITALIA IN FINALE AI MONDIALI DEL MESSICO
Lutto nel mondo del calcio: all'età di 86 anni, è deceduto questa mattina alle 10.30 a Firenze Ferruccio Valcareggi, ex ct della Nazionale italiana. Malato da tempo, l'ex commissario tecnico azzurro ereditò la panchina azzurra da Edmondo Fabbri, insieme con Helenio Herrera, all'indomani della sconfitta con la Corea del Nord. Nel 1968 guidò l'Italia alla vittoria del suo primo e unico titolo di Campione d'Europa; nel 1970 ai Mondiali in Messico portò la Nazionale alla finale, dopo aver eliminato, in semifinale, la Germania Ovest in una delle più memorabili partite d'ogni epoca. Restò al timone degli azzurri fino ai mondiali successivi.
Il presidente Franco Carraro ha ricordato così Valcareggi: "Tutto il mondo del calcio piange la scomparsa di Ferruccio Valcareggi con il quale ho avuto la fortuna di collaborare.
Non è stato soltanto un tecnico capace e intelligente, sotto la cui guida la Nazionale italiana è tornata al successo con la vittoria nei Campionati europei del 1968 e con il secondo posto ai Mondiali del 1970, dopo la storica semifinale del 4-3 con la Germania; con i suoi comportamenti sempre pacati e sereni, ispirati a solidi principi morali, Valcareggi è stato un esempio di stile e di sana passione sportiva per tutto l'ambiente del calcio".
Su decisione del presidente della FIGC Carraro, che ha sentito in mattinata i familiari, la salma di Ferruccio Valcareggi verrà esposta nella camera ardente che da domani alle ore 11 verrà allestita all'interno del Centro Tecnico Federale di Coverciano. I funerali si terranno nella giornata di venerdì prossimo, 4 novembre.
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Dal sito www.larepubblicasport.it
02 novembre 2005 - di Mauro Basile
L'allenatore, che si è spento a Firenze, aveva 86 anni
Fu criticatissimo per la staffetta Mazzola-Rivera a Mexico '70
E' MORTO FERRUCCIO VALCAREGGI, IL CT DI ITALIA-GERMANIA 4-3
FIRENZE - E' morto questa mattina, alle 10.30 a Firenze, l'ex ct della Nazionale italiana, Ferruccio Valcareggi. Aveva 86 anni. Ereditò la panchina azzurra da Edmondo Fabbri, insieme con Helenio Herrera, all'indomani della sconfitta con la Corea del Nord. Divenne Ct l'anno dopo e nel 1968 vinse gli Europei a Roma. Nel 1970, in Messico, guidò la Nazionale alla finale, dopo aver eliminato, in semifinale, la Germania Ovest in una delle più memorabili partite della storia del calcio. La partita si chiuse 4-3 ai supplementari.
Fu un allenatore vincente, ma restò celebre per due episodi. Il primo rimanda al gol del dentista coreano Pak Doo Yik che sconfisse ed eliminò gli azzurri dai mondiali inglesi del 1966. Prima della partita Valcareggi, allora vice ct, disse al selezionatore Edmondo Fabbri: "Questi coreani sono i Ridolini del calcio". Valcareggi fece uno splendido Mondiale in Messico, ma si trovò a dover gestire la staffetta Rivera-Mazzola nella finale contro Pelè. Finì con Rivera che giocò solo 7 minuti, il Brasile che vinse il trofeo e un uragano di critiche che si abbattè sul ct azzurro. La squadra fu accolta dai pomodori all'aeroporto di Roma: atteggiamento ingeneroso, visto che l'avversario era imbattibile.
Dalla finale di Città del Messico iniziò la parabola discendente del Valcareggi. Nel '72 gli azzurri non si qualificarono per la fase finale degli Europei. Malissimo anche ai Mondiali del '74 in Germania dove gli azzurri uscirono alla prima fase dopo aver battuto Haiti, pareggiato con l'Argentina ed essere stati battuti con la Polonia, ultima gara di Valcareggi alla guida della Nazionale.
Da calciatore, Valcareggi iniziò la sua carriera da centrocampista in serie A nel 1938 con la maglia della Triestina. Nella città giuliana "Uccio", come lo chiamavano tutti, era l'idolo, il profeta in patria. In quella squadra incontrò tre azzurri: Nereo Rocco, Gino Colaussi e Piero Pasinati. Due anni dopo passò alla Fiorentina dove giocò per 5 campionati. Dopo due anni al Bologna ritornò alla Fiorentina, poi passò al Vicenza e quindi chiuse la sua carriera da giocatore nel 1955 nelle Lucchese. A fine carriera totalizzò 261 presenze in serie A con 44 reti segnate. In tutta la sua carriera. una sola espulsione.
Chiusa la storia del giocatore, iniziò quella da allenatore. La sua prima esperienza la fece sulla panchina del Prato, poi passò all'Atalanta e quindi alla Fiorentina. Poi arrivo la Nazionale. Chiuse la carriera come allenatore nella Fiorentina, subentrando a De Sisti nella stagione 1984/85.
"Mio padre era un uomo per bene. Al di là dei suoi meriti professionali sarà ricordato da tutti sempre così; ha vissuto una vita di qualità" è il commento di Furio, figlio primogenito di Valcareggi.
La salma dell'ex ct sarà esposta al centro tecnico di Coverciano a partire dalle 10 di domani mattina, mentre i funerali si svolgeranno venerdì, alle 15, a Firenze, nella chiesa dei Santi Fiorentini, in via Centostelle, a pochi passi dall' abitazione dell' ex ct della nazionale.
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Dal sito www.olivierobeha.it
Roma, 02 novembre 2005
Caro Direttore,
immagino che Valcareggi, scomparso ieri, nel giorno dei morti, a 86 anni, avrebbe sorriso profondamente nel leggere sul telefono mobile il primo "messaggino" di una famosa agenzia di stampa americana: "E' morto Ferruccio Valcareggi, famoso per il trionfo della Nazionale in Messico.".
Quel sorriso speciale era "lavorato". L'uomo aveva infatti sposato negli anni i modi bruschi triestini dell'origine con l'ironia a volte fine a volte gaglioffa dei fiorentini, di Firenze, del tempio rotondolatrico di Coverciano. Era un uomo diritto, e si faceva voler bene. Era al di sopra di ogni sospetto in un calcio già allora tutt'altro che innocente, ma assai più adatto alla nostra innocenza di allora. Aveva una bonomia di facciata, specchio di una serenità di fondo che increspava con folate trasgressive e imprevedibili.
Se vi dicessi che nutriva una autentica passione calcistica e umana per quel folle inarrivabile di Gianfranco Zigoni, Zigo-gol, il calciatore con la pelliccia, il principe degli irrealizzati, il classico figliol prodigo da riportare nel suo ovile, lui Valcareggi apparentemente così piano, e abituato a trattare(non insieme.)con Mazzola e Rivera? Lui mandato a quel paese urbi et orbi televisivi da Giorgione Chinaglia, durante i Mondiali di Germania, perché il "chinaglione" del paterno Ct almeno in quel momento proprio non sapeva che farsene?
Sì, lo so, sto divagando, sto prendendo il tempo e la distanza da quella notte fantastica, quella per cui la Reuter travisa il messaggino, quella per cui i padri raccontano ai figli l'epopea del pallone tricolore, quella che ancora fa da cassa di risonanza (devo dire da spot? )per la grandezza del calcio nell'immaginario italiano almeno quanto la finale vinta nell'82, a Madrid. E sto metabolizzando quel 4-3 messicano con la Germania, cantato nella sua nenia magica da Fausto Cigliano, perché è quello il cuore della nostra memoria a quei tempi.
Valcareggi vuol dire le notti messicane in cui si rispettava ancora il fuso orario(16 anni dopo Nostra Signora Tv pretese le dirette a mezzogiorno per Maradona & company), in una escalation strozzata solo al momento della batosta con il Brasile, quella dei 7 minuti di Rivera e dei pomodori a Fiumicino, mentre ora, a babbo Ferruccio morto, si definisce la sua "la nazionale più amata". E probabilmente e contraddittoriamente, oltre i pomodori, è vero.
Valcareggi in quell'estate del '70 è stato per la mia generazione la parentesi/pretesto per un brindisi continuo, uno scacciapensieri suonato senza soluzione di continuità, il tuffo di una generazione "finalmente" politica o anche solo politicizzata nel mondo fiabesco di un gol nei supplementari.
Il calcio, quel calcio, offriva occasioni credibili di evasione in un'Italia che, già scossa dal '68 studentesco e poi "sbucciata" dall'autunno caldo sindacale, era finita nell'imbuto delle stragi, da Piazza Fontana in avanti. Il pack democristiano apriva suo malgrado sempre più buchi sulla sua onnivora superficie ventennale, il divorzio cambiava le carte in tavola sbaraccando ipocrisie e cupezze, al cinema vedevamo "Il conformista" e "Indagine su un cittadino". E per i teneri di cuore c'era "Anonimo veneziano".
Quell'estate messicana ricolma di tutti questi "riflessi filmati" è stata sintetizzata in quella notte di Riva, Mazzola, Rivera. E Valcareggi, in panchina, con Zoff. Davvero è curioso che l'erede-o quasi-del mitico Pozzo vincente, il predecessore del burbero Bearzot trionfante, sia forse presente più di loro nella nostra corolla di immagini pur avendo perso (anche se dopo aver vinto un rocambolesco campionato europeo a base di monetine fortunate e pirotecnici cambi di formazione, nella finale ripetuta contro la Jugoslavia, a Roma).
Gli abbiamo affidato, a Valcareggi, l'incarico di custodire come in una teca mnemonica e visiva la partita delle partite, oltre il contesto sociale e quello calcistico dei numeri e della vittoria finale. E' questo il dono sorprendente che l'epica ha fatto a un signore schivo e apparentemente qualunque, sulla carta lontanissimo dal sogno, un dono che lui si è meritato con una vita in campo, in panchina, nei nostri riflessi condizionati, al di sopra di ogni sospetto. (Oliviero Beha) |
Articolo a cura di Luigi La Rocca
GLI UOMINI CHE HANNO FATTO GRANDE IL MILAN. RICORDO DI FERRUCCIO VALCAREGGI
È scomparso lo scorso 2 novembre a Firenze FERRUCCIO VALCAREGGI
La piena ed profonda verità sui famosi 6 minuti giocati nella finale mondiale del 1970 da Gianni Rivera, s'è l'è portata con sé in cielo. Lo scorso due novembre (quasi un segno del destino) è scomparso, all'età di 86 anni, a Firenze, sua città d'adozione, Ferruccio Valcareggi ex Commissario Tecnico della Nazionale Italiana.
Fino alla fine dei suoi giorni, Valcareggi è rimasto fedele alla sua prima versione affermando di non essersi reso conto che mancavano solo sei minuti al termine della partita, altrimenti non avrebbe mai "umiliato" Rivera in quel modo, lasciando costernati ed increduli milioni di italiani, vittime di una collettiva sindrome di impotenza.
Questa giustificazione appare alquanto banale e semplicistica. In realtà lotte intestine di natura geopolitica, al limite dell'autolesionismo, minarono il delicato equilibrio di quel team azzurro. Anche correnti giornalistiche, tese a difendere il proprio bacino d'utenza, influenzarono non poco le scelte tecniche di quella spedizione che avrebbe potuto avere un epilogo differente.
Valcareggi, come altri Commissari Tecnici della Nazionale (da Camperio, a Pozzo, da Meazza a Czeizler, da Viani a Sacchi, per finire con la coppia Maldini - Trapattoni) ha trascorsi in rossonero, ma questo dato è ignorato dai più, avendovi giocato, non in un campionato tradizionale bensì in un torneo Bellico.
Correva l'anno 1944, e l'Italia, dopo l'8 settembre 1943, era ormai spaccata in due. Al Nord la Repubblica Sociale ed al Centro Sud la monarchia retta dalle forze alleate. Al tempo i calciatori, pur essendo già dei "privilegiati" rispetto alla gente comune, avevano anch'essi, per età e volontà del regime fascista (che vaticinava la mobilitazione totale), degli "irrevocabili" obblighi militari.
Certo, tranne che in rarissimi casi (tra questi proprio il "campionissimo" Fausto Coppi, che proprio perché era Coppi venne, addirittura, spedito al fronte nel deserto Nord-africano) le "Stelle" del tempo (sportivi, cantanti ed attori) venivano impiegate nelle retrovie dove avrebbero ugualmente potuto continuare a svolgere la propria attività professionale, al fine di allietare e sollevare dagli incubi della guerra quegli spettatori che avevano il coraggio di assistere alle loro rappresentazioni.
Durante l'estate del 1943, al termine dell'ultimo campionato "regolarmente" disputato a livello nazionale, quasi tutti i calciatori vennero "richiamati" alle armi per corsi di addestramento nelle sedi più disparate. L'armistizio ed il devastante propagarsi della guerra, che aveva prodotto l'interruzione di molte vie di collegamento, vedeva molti sportivi "stanziati" lontano dalle rispettive società di appartenenza.
La Federazione, desiderosa di mantenere viva, anche in circostanze così drammatiche, un'attività ufficiale varò ugualmente un sorta di campionato da disputarsi tra squadre di città non ancora cadute in mano agli alleati. Nel gennaio 1944 prendeva il via quello che sarebbe passato alla storia come il Campionato di Guerra Alta Italia, vinto dai Vigili del Fuoco di La Spezia.
Ai club, falcidiati nei ranghi per le assenze dei militari, fu consentito di utilizzare anche calciatori tesserati per altre formazioni a condizione che fossero dislocati nelle vicinanze delle rispettive sedi sociali. Anche i rossoneri, che per ragioni autarchiche avevano visto mutare l'inglesismo Milan in Milano, dovettero adeguarsi alla nuova realtà. La funambolica mezzala milanista Gino Cappello si ritrovò a giocare nel Padova, il terzino Boniforti nel Varese, mentre l'altro difensore Galimberti ritornò per la sua Novara.
In loro vece vennero "arruolati" il torinista Romeo Menti (poi, tragicamente scomparso a Superga nel 1949) ed i gigliati fiorentini Romano Penzo e Ferruccio Valcareggi.
Per i colori rossoneri, fu un torneo quasi anonimo trascorso sempre al centro classifica e concluso al quinto posto senza possibilità di accedere alle fasi finali interregionali.
Valcareggi, chiamato a sostituire, nel ruolo di mezzala destra, l'astro, genio e sregolatezza, Gino Cappello lasciò qualche rimpianto nella sparuta schiera dei tifosi del Milan. Le qualità c'erano, ma la squadra era raffazzonata e con il passare delle giornate la "malinconia" della Guerra prese il sopravvento su tutto e tutti.
Alla fine di quel torneo lombardo Valcareggi collezionò 11 presenze sulle 14 partite complessivamente disputate.
Ferruccio Valcareggi nasce il 12 febbraio 1919 a Trieste. Da pochi mesi la città è stata "legalmente" annessa all'Italia, tanto che il padre era un reduce dell'esercito asburgico che aveva combattuto contro quello italiano a difesa dello strategico sbocco sul mar Adriatico dell'impero Austro-Ungarico. Trieste, città tanto cara alle vicende rossonere, per aver dato i natali a elementi straordinari della storia del Milan come Nereo Rocco, Fabio Cudicini, Cesare Maldini e Carlo Rigotti.
Inizia giovanissimo a giocare nella Ponziana, quella che potrebbe essere definita come la seconda squadra di Trieste. Ancora quattordicenne, nel 1933-34, viene ingaggiato, assieme al fido compagno "Memo" Trevisan, dalla Triestina. Con gli alabardati compie tutta la trafila nelle giovanili fino all'esordio nella massima serie nel 1938 contro il Genova 1893. Dopo tre campionati di Serie A, la Triestina "monetizza" il prodotto del proprio vivaio cedendolo alla Fiorentina. A Firenze, Valcareggi trova la svolta della sua vita. In Toscana trova moglie stabilendovi la propria residenza che, a tempo debito, si rivelerà una scelta vincente. Dopo la mezza stagione trascorsa a Milano il ritorno a Firenze, inframezzato da due annate al Bologna (1945/1947) Poi un'esperienza a Vicenza (1948-49), due alla Lucchese (1949/1951) dove gioca per l'ultima volta nella massima serie, proprio contro il Milan in un derby tutto-rossonero (25.02.1951 - Lucchese-Milan 1-5). con un bilancio complessivo di 270 presenze e 44 reti all'attivo. Poi, la discesa in B con il Brescia (1951-52), prima di chiudere la propria attività agonistica nelle vesti di allenatore-giocatore al Piombino (1952/1955).
Agli annali del calcio passa alla storia come Valcareggi (I) avendo il fratello minore Ettore giocato, negli anni quaranta, alcune stagioni con la Fiumana. Anche suo figlio Furio proverà, senza grandi soddisfazioni, a cimentarsi nell'attività agonistica in formazioni minori toscane.
Come allenatore centra una clamorosa promozione in B con il Prato (1956-57), poi il balzo in serie A con Atalanta, Fiorentina e ancora Atalanta. Chiusa la parentesi bergamasca la sua parabola sembra oscurarsi. Gli torna utile abitare a Firenze, nelle vicinanze del centro tecnico federale di Coverciano.
Nel 1966 il C.T. della Nazionale Edmondo Fabbri, gli offre il ruolo di vice per la trasferta ai Mondiali inglesi. Il primo approccio con il mondo degli azzurri non è certo dei migliori. Resta memorabile, nella storia della ns. Nazionale, il suo rapporto sui dilettanti nordcoreani che poi ci avrebbero clamorosamente eliminato dalla rassegna iridata. Definiti una sorta di "ridolini" che non avrebbero dovuto creare problemi di sorta. Per ironia della sorte, la relazione fu tra le più azzeccate. Infatti, i "ridolini asiatici" non erano altro che degli instancabili e velocissimi "praticanti" che davano l'impressione di avere un moto accelerato come nelle comiche degli anni venti.
Ad accogliere gli azzurri al loro rientro in Patria ci sarebbero stati i pomodori lanciati dai tifosi delusi per l'incredibile eliminazione.
Senza quasi rendersi conto eredita la panchina azzurra da Fabbri, venendo affiancato nelle prime battute dal tecnico interista Helenio Herrera. Nel 1967 diventa Commissario Unico restando in carica fino al termine dei mondiali tedeschi del 1974.
Nel 1968, a trent'anni esatti di distanza dell'ultimo grande trionfo della Nazionale Italiana, vince per la prima ed unica volta i campionati europei disputati sui campi di casa. Questa volta il fato è decisamente propizio. Eliminiamo, in semifinale, l'Unione Sovietica grazie ad una "miracolosa" monetina e, nella prima finale contro la Jugoslavia, riusciamo a recuperare quasi in extremis il gol di vantaggio degli slavi anche grazie ad un arbitraggio che nega agli ospiti un "quasi" rigore per parafrasare il gergo del principe delle radiocronache del tempo Niccolò Carosio.
La finale di ripetizione, grazie ad un opportuno "turnover" sfruttando la migliore caratura della nostra rosa, si rivela una formalità e consegna all'Italia l'unico trofeo continentale della sua storia.
Lo "stellone" di Valcareggi prosegue fino ai mondiali messicani del 1970. La nazionale azzurra giunge in America centrale come una delle favorite per la vittoria finale. È campione d'Europa in carica, il Milan nel 1969-70 ha centrato l'accoppiata Coppa Campioni-Intercontinentale ed il suo capitano, Gianni Rivera, è stato insignito (1969) del Pallone d'Oro che al tempo identificava il migliore calciatore al Mondo.
Dopo un inizio stentato, dovuto a problemi di ambientamento, con diversi elementi colpiti dalla "Maledizione di Montezuma" la svolta si realizza nella gara contro i padroni di casa. Rivera subentra a Mazzola nel secondo tempo e, sfruttando la sua freschezza si riesce a vincere per 4-1. Nasce la "staffetta" (già provata contro Israele, ndr.). La semifinale contro la Germania passerà alla storia come la partita del secolo, ma a noi piace considerarla la migliore gara del Millennio scorso. A regalarci un'entusiasmante altalena di emozioni è il terzino rossonero Karl Heinz Schnellinger che al 90' realizza la rete del 1-1 mentre sta cercando di avvicinarsi il più possibile agli spogliatoi, ormai rassegnato alla sconfitta.
Nei supplementari, al 111', Rivera regala un sogno a tutti gli italiani, siglando il definitivo 4-3 con una delle reti più belle dell'intera epopea del calcio.
Nell'atto conclusivo contro il Brasile, l'Italia intera, incollata al televisore, attende, nel secondo tempo, il "consueto" ingresso di Rivera al posto di Mazzola. La prima frazione di gioco si è conclusa in parità per 1-1 grazie ad una rocambolesca e fortunosa rete di Boninsegna. A questo punto, Valcareggi volta la faccia alla fortuna ed anche alla scaramanzia, "dimenticandosi" Rivera in panchina. Il Brasile di Pelé dilaga e l'ingresso del Golden Boy è troppo tardivo, rivelandosi un boomerang che si ritorce contro il suo stesso inventore. Forse si sarebbe perso ugualmente ma, in quei frangenti, Rivera pareva baciato dalla "Dea Bendata". Perché non sfruttarne fino in fondo, le potenzialità? L'Italia, per un certo verso, rimase vittima della propria "vocazione" difensivistica. Si può ipotizzare che durante l'intervallo si programmò una tattica di rimessa, dove la velocità di Sandro Mazzola avrebbe dovuto innescare ficcanti contropiedi in grado di stordire i compassati brasiliani. Conclusi i mondiali, divampano le polemiche e al rientro in Italia nuovi pomodori per tutti mentre Rivera viene portato in trionfo.
Sopite le polemiche di un mondiale che comunque regala all'Italia un prestigioso titolo di vice-campione del mondo, Valcareggi viene confermato alla guida tecnica degli azzurri per preparare il quadriennio che dovrà portare l'Italia alla nuova Coppa del Mondo (non più Rimet, vinta definitivamente dal Brasile) in Germania.
La formazione azzurra inciampa in un cocente incidente di percorso non riuscendo a qualificarsi per la fase finale dell'Europeo 1972 eliminata da un modesto Belgio. Ma nel 1973 è un'escalation di soddisfazioni.
A giugno l'Italia, sia pure in amichevole, batte per la prima volta nella sua storia l'Inghilterra. Risultato finale 2-0 con reti di Capello e Anastasi.
Pochi giorni dopo Valcareggi si toglie la soddisfazione di sconfiggere anche i campioni del Brasile, seppure orfani di Pelé.
Ma il risultato più importante arriva il 14 novembre del 1973. L'Italia espugna il mitico stadio di Wembley con una rete di Fabio Capello a 4' dal termine.
Punto di forza di quella squadra è la difesa dove Zoff è un baluardo insuperabile, stabilendo uno strabiliante ed ineguagliato record di imbattibilità per oltre 1.100 minuti.
Gli italiani sognano di nuovo, ma ai mondiali sarà un fiasco deprimente.
I calciatori azzurri pagano i postumi di un campionato logorante e si presentano al via della rassegna iridata in condizioni precarie.
Veniamo eliminati dalla Polonia, che corre più di noi, quando ci sarebbe bastato un pareggio per accedere alla fase successiva. Al contrario del Messico, anziché puntare sulla nostra solidità difensiva, ci votiamo ad una gara d'attacco, venendo infilzati due volte in contropiede (sic !).
È la fine della carriera azzurra di Valcareggi. Tornerà ad allenare squadre di club, come Verona e Roma e il suo ultimo incarico in A fu nel 1984-85 subentrando a Giancarlo De Sisti alla guida della Fiorentina. Prima della pensione ebbe modo di vivere anche una nuova breve parentesi in Figc per cui guidò la rappresentativa di serie B e si occupò del settore giovanile. Nel 1988 una lettera di 23 righe, firmata dall'allora presidente federale Antonio Matarrese, lo congedò.
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(Archivio Magliarossonera.it) |
Valcareggi in visita a Milanello abbracciato da Cesare Maldini, 2001 (Archivio Magliarossonera.it) |
(Archivio Magliarossonera.it) |
Dal sito www.pagine70.com
Roma, 5 novembre 2005 - di Mauro Basile
FERRUCCIO VALCAREGGI
Ferruccio Valcareggi nasce a Trieste il 12 febbraio 1929.
Inizia la sua carriera calcistica in serie A nel 1938 con la maglia della Triestina per poi passare, due anni dopo, alla Fiorentina dove gioca per 5 campionati. Dopo una tappa di due anni al Bologna ritorna alla Fiorentina, poi passa al Vicenza e quindi chiude la sua carriera da giocatore nel 1955 nelle fila della Lucchese.
Valcareggi vanta in totale ben 261 presenze in serie A con 44 reti al suo attivo. La sua carriera di giocatore è segnata anche dalle convocazioni in Nazionale, sia in quella universitaria che in quella principale allenata dal grande Vittorio Pozzo.
Chiusa la storia del giocatore, inizia quella di un grande allenatore. Dopo essere stato alla guida del Prato, dove ricevette il seminatore d'oro, nel 1966 con Helenio Herrera fu nominato responsabile tecnico della squadra azzurra con la quale, nel 1968, vinse il Campionato d'Europa. E' stato vice campione del mondo nel 1970 (Città del Messico) ed ha partecipato ai campionati del mondo del 1974. Ha chiuso la carriera di allenatore nella Fiorentina, subentrando a De Sisti nel 1984/85.
Ovviamente il suo nome è legato in modo indissolubile alla panchina azzurra che eredita da Edmondo Fabbri, insieme con Helenio Herrera, all'indomani della storica disfatta con la Corea del Nord nel mondiale d'Inghilterra. Il suo più grande merito è ovviamente quello di riportare la nazionale italiana ad un successo in una competizione internazionale a 30 anni di distanza dall'ultimo trionfo (il mondiale del 1938 in Francia). L'occasione è la fase finale del campionato Europeo del 1968 che si disputa appunto in Italia. L'edizione numero tre del trofeo continentale per nazionali sorride agli azzurri, allenati da Ferruccio Valcareggi, i quali conquistano quello che finora è l'unico titolo europeo nella storia del nostro paese.
Guidati da un Riva granitico nelle qualificazioni, e con un pizzico di buona sorte nella fase finale, l'Italia conquista il prestigioso trofeo davanti al pubblico di casa. Dopo aver dominato il girone 6 delle qualificazioni con Romania, Svizzera e Cipro pareggiando una sola partita e vincendo tutte le altre.
l'Italia rischia nei quarti di finale contro la Bulgaria. A Sofia, nell'andata, i bulgari s'impongono 3-2 con reti di Kotkov su rigore, Dermendjiev e Jekov; un'autorete di Penev e la rete nel finale di Prati consentono agli azzurri di limitare il passivo, poi ampiamente rimontato due settimane dopo al San Paolo grazie ancora a Pierino Prati e a Domenghini. In questa gara Valcareggi fece debuttare in porta un certo Dino Zoff.
Un successo, questo, che vale l'accesso alle Final-four, che si giocano proprio in Italia.
Oltre agli azzurri, si giocano il titolo l'Unione Sovietica, la Jugoslavia e l'Inghilterra di Bobby Charlton, capace di eliminare i campioni uscenti della Spagna.
E' nuovamente il San Paolo di Napoli, gremito in ogni ordine di posto, ad ospitare l'Italia contro i temibili sovietici. La partita, equilibrata, si chiude sullo 0-0. All'epoca i tempi supplementari non esistevano, così si ricorrere al lancio della monetina per decretare la finalista. Ad aggiudicarsi la strana contesa è l'Italia, che va in finale. L'altra semifinale si disputa al Comunale di Firenze, tra Jugoslavia e Inghilterra. Un po' a sorpresa, sono gli slavi a spuntarla, grazie a una rete di Dzajic. L'Inghilterra, campione del mondo in carica, si consolerà conquistando il terzo posto a spese dell'Urss.
La finale, giocata a Roma l'8 giugno, non vede vincitori al termine dei 90'. Ad andare vicino al successo è la Jugoslavia, che viene raggiunta a dieci minuti dal termine da Domenghini. Stavolta non è la monetina a decidere il vincitore, così la partita si rigioca, sempre allo Stadio Olimpico, due giorni più tardi. Davanti a 19.000 spettatori in meno (50.000, contro i 69.000 del primo atto), l'Italia, rinnovata per cinque undicesimi da Valcareggi, stavolta chiude la pratica già dopo mezz'ora con le reti di Riva e Anastasi.
Eccoli, in dettaglio, gli undici eroi che portarono l'Italia sul trono d'Europa: Zoff, Burgnich, Facchetti, Salvadore, Guarneri, Rosato, Domenghini, Mazzola, Anastasi, De Sisti, Riva.
Poi arriva il Messico. Rivera ha ventisette anni, i francesi, incantati dalla sua classe, gli hanno appena assegnato il "Pallone d'Oro" : è il primo italiano cui tocca questo onore e per tredici anni, vale a dire fino a Paolo Rossi, resterà anche l'unico, ma non è sicuro del posto in squadra. Ai Mondiali che si disputano in altura, Rivera si becca la dissenteria, "la maledizione di Montezuma", che "ufficialmente" lo esclude dalle prime partite che risultano deludenti nel gioco. In realtà è una scusa comoda per nascondere una scelta tecnica.
Si arriva allo scontro fra Rivera, Walter Mandelli e Ferruccio Valcareggi. Rivera vuol tornare a casa, arriva Rocco che riesce a mediare la difficile situazione ("Giani si ti parti te rovini !" - vuole la leggenda siano le parole del "Paron").
Nei quarti, contro il Messico, arriva la "staffetta", l'invenzione attribuita a Valcareggi e già provata contro Israele.
L'ingresso di Rivera trasforma la squadra, Riva, fin lì abulico e impotente, segna due reti su altrettanti assist del milanista, che fra le due reti del bomber cagliaritano segna a sua volta.
L'opinione pubblica insorge, ma contro la Germania, Rivera parte ancora dalla panchina.
Il suo amico "Carlo" Schnellinger pareggia in extremis il gol di Boninsegna e ci manda ai supplementari, nei quali, secondo il suo stile, Gianni Rivera è protagonista nel bene e nel male.
E' suo il lancio sul quale un errore di Held dà a Burgnich il pallone del 2-2, è suo il lancio che avvia l'azione conclusa da Riva con il gol del 3-2:
E' ancora Rivera che "quasi si scansa"- sono parole di Brera- "anziché battere via al volo" sul colpo di testa di Gerd Muller che lo trova appostato sul palo consegnatogli da Albertosi che, ora che il pallone è entrato, lo vuole uccidere.
Infine è lui che avanza ("mi sono detto"- racconterà-"non mi resta che prendere palla, scartarli tutti e fare gol") per raccogliere il cross di Boninsegna e segnare il gol più famoso del calcio azzurro. Un gol storico che non gli varrà la conferma nella finalissima contro il Brasile, della quale disputerà, subentrando a Boninsegna, solo gli ultimi trecentosessanta secondi che passeranno alla storia come "i sei minuti dell'Azteca". E' un fiorire di polemiche e di scontri fra giornalisti, scrittori, uomini di cultura, semplici tifosi, non si parla d'altro.
Valcareggi viene attaccato violentemente e l'arrivo della comitiva azzurra a Fiumicino viene accolta da un fitto lancio di pomodori e ortaggi di ogni tipo.
Nasce lo slogan "Viva Rivera, Mandelli in galera" , che in anni di autunni particolarmente "caldi", ed essendo Walter Mandelli un importante esponente di Confindustria, assume anche connotati politici.
Sopite le polemiche di un mondiale che comunque regala all'Italia il titolo di vice-campione del mondo dietro il marziano Brasile di O Rey Pelè, Valcareggi inizia a preparare il quadriennio che porterà l'Italia la mondiale in Germania. A parte la cocente eliminazione dall'Europeo del 1972 ad opera del modesto Belgio, è un periodo ricco di soddisfazioni per Valcareggi. Il 1973 è un anno d'oro. A giugno l'Italia, sia pure in amichevole, batte per la prima volta nella sua storia l'Inghilterra. Risultato finale 2-0 con reti di Capello e Anastasi.
Nella stessa settimana Valcareggi si toglie lo sfizio di suonarle anche al Brasile campione in carica anche se orfano di Pelè. Identico risultato 2-0 con Capello ancora in rete insieme a Riva. Ma il risultato più importante arriva il 14 novembre del 1973, L'Italia espugna il mitico stadio di Wembley con una rete di Fabio Capello a 4' dal termine.
Curioso aneddoto. Nella conferenza stampa prima della partita, Alf Ramsey, l'allenatore dell'Inghilterra ad un giornalista che gli chiede quali siano i quattro più forti calciatori italiani, risponde serio: "Rivera, Rivera, Rivera e Rivera"-.
Insomma ci sono tutti i migliori auspici per Valcareggi per un mondiale da protagonista nel 1974. Tra l'altro il punto di forza della nostra squadra è la difesa dove Zoff, con la maglia azzurra, si presenta alla kermesse iridata forte di un'imbattibilità che dura da quasi due anni e oltre 1.100 minuti senza subire reti. Valcareggi convoca, tra i 22, moltissimi reduci messicani, anche se alcuni di questi ormai attraversano la parabola discendente su tutti proprio Rivera e lo stesso Riva, ma che può contare su un Giorgio Chinaglia fresco di scudetto in grandissima forma.
Il suo quarto Mondiale, nel 1974, comincia nel peggiore dei modi con lo sconosciuto Haitiano Sanon che porta in vantaggio la nazionale caraibica, facendo rivivere brutti ricordi a Valcareggi. Ci pensa Rivera, con un suo gol, che scaccia l'incubo della Corea materializzatosi. A 20' dal termine, Valcareggi decide di cambiare Chinaglia con Anastasi.
Long John non gradisce, e accompagna la sua uscita dall'Olympiastadion di Monaco con un Vaffa....accompagnato dal gesto della mano indirizzata proprio a Valcareggi.
Il gesto fa il giro del mondo.
In Italia ovviamente divampano feroci polemiche. Molti giornalisti invocano il pugno di ferro contro il ribelle Chinaglia. Ma Valcareggi tenendo fede alla sua indole di uomo mite e per nulla vendicativo, chiude un occhio (forse tutti e due) e non esclude Chinaglia dal gruppo.
Contro l'Argentina un pareggio fortunoso grazie ad un'autorete. Il Ct. azzurro capisce il momento difficile di molti senatori. Valcareggi toglie Rivera e Riva, in condizioni atletiche precarie, e li esclude dall'ultima partita con la Polonia.
Contro la formazione polacca ci basta un pari, ma Valcareggi solitamente molto prudente, schiera una squadra votata all'attacco e i polacchi (poi terzi) ci infilzano due volte. Inutile la rete di Capello. Al termine del Mondiale l'esonero. di Valcareggi è inevitabile.
Ovviamente tutta la sua carriera di Allenatore azzurro è segnato in modo indelebile dalla famosa staffetta messicana Mazzola-Rivera e dai 6' minuti della finale fatti giocare al golden Boy milanista.
Nella sua vita Valcareggi avrà sentito farsi queste domande almeno un milione di volte:
Perché la staffetta? - Perché Rivera giocò solo 6 minuti? Le sue risposte sono sempre state le stesse, ma sempre così incredibilmente ingenue da sembrare verosimili.
"La staffetta la inventai per una sorta di compromesso politico-sportivo" disse più volete zio Uccio.
Si trattava di uno stratagemma per cercare di mediare tra gli stessi giocatori più rappresentativi e per contentare la stampa favorevole ad ognuno dei due giocatori stessi.
Insomma una soluzione bipartisan si direbbe adesso. E i 6 minuti di Rivera? Valcareggi ha sempre detto la stessa cosa! "Non mi ero reso conto che mancavano solo 6 minuti alla fine della gara! Altrimenti non avrei mai umiliato Rivera in questo modo!
Si poteva credere a questa affermazione?
Chissà !
Sicuramente forse lassù dove è andato, zio Uccio Valcareggi dirà finalmente la verità!
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Cimitero di Settignano (FI) - ossario, sezione R, celletta n.201
(foto di Cristina Ferro) |
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