Ha giocato anche con il Genoa (B), il Lecce (C), il Torino (A), il Varese (A), il Catanzaro (B), la Ternana (A), la Roma (A), il Verona (A), il Cesena (B), il Bologna (A), il Savona (C2), il Rapallo (D), il Cuneo 80 (D).
Ha preso parte ad un Torneo amichevole da due partite disputato in Algeria con il Milan nel giugno 1972 come prestito dal Varese.
Discreto centravanti, gran fisico, tiro potente. Nel gennaio 2000 è stata pubblicata una sua autobiografia dal titolo "Nel fango del dio pallone" (Kaos Edizioni Milano, Lire 25.000) sulla cui copertina compare con la maglia del Milan 1968-69 su cui campeggia lo scudetto, dove descrive la sua vita, fatta di eccessi sessuali, pratica del doping, partite vendute e truccate, oltre alla perdita di un figlio, Diego, colpito da un tumore al cervello e non potuto vedere prima di morire perché nascostosi in Francia per paura di essere arrestato o peggio ancora, ucciso dalla malavita causa una storia fatta di evasioni fiscali e fallimenti. Nell'anno in rossonero comunque vince una Coppa dei Campioni ma non va molto d'accordo con Rivera, Rocco e Rosato, praticamente il gotha rossonero dell'epoca, così viene dirottato al Torino." (Nota di Colombo Labate)
Dal web
Ha vissuto quasi vent'anni da globetrotter del pallone per finire, a 50 anni, solo, in un sottoscala, dentro la monocamera di un amico di gioventu' che non chiede nulla. Qui parla, pregando il cronista d'evitare particolari: una citta' qualsiasi, uno scenario avvilente, un alloggio provvisorio che deve restare sconosciuto ai creditori; forse gli stessi che lo braccavano quando suo figlio Diego era ricoverato agonizzante all'ospedale Galliera di Genova. Lui sa tante cose. Lui dice che, rispetto ai suoi tempi, "e' roba da ridere l'abuso contemporaneo dei farmaci nello sport". E che s' e' ridotto cosi' praticamente senza accorgersene "perche' ad un tratto diventarono normali certe pratiche nelle mie squadre d'appartenenza". Quali sono i motivi di questa ritardata denuncia? "Ho cambiato pelle dalla morte di Diego. Tumore al cervello. Porto dentro il rimorso di non averlo visto vivo: ero fuggito in Francia nel 1989, spaventato dalle minacce di gente pericolosa, dopo il fallimento di alcune finanziarie che si sono mangiate anche i risparmi della mia attivita' professionistica". Quanto? "Miliardi. Un pacco di quattrini buttati via, poi una villa a Catanzaro e altri immobili sacrificati nella voragine del dissesto. Fossi arrivato accanto a Diego, avrei rischiato la pelle e, soprattutto, messo a repentaglio l'incolumità della moglie e degli altri due figli. Oggi me ne pento e i guai servono paradossalmente ad alleggerire gli incubi. Sto diventando cieco a causa di due glaucomi. Prima sono stato rovinato dalle donne? Prima cercavo l'impossibile, sicuro di non sbagliare mai, di poter vivere impunito, al di fuori d'ogni regola. Centravanti nato, avevo talento e avrò realizzato un centinaio di gol, fra A e B, senza fare un sacrificio lecito per il football". Cominciamo dal Genoa, la società che lancia Petrini. "Sono figlio d'un muratore e d'una casalinga. Mio padre è morto a quarant'anni, tetano. Anche l'unica sorella morì sedicenne di diabete. Sembrava andare meglio a me: proveniente dal vivaio, entrai in prima squadra il 6 gennaio 1965, Genoa - Pro Patria di serie B. Tuttavia i fatti strani arrivano nella stagione successiva, allenatore G.G. e, vice, mister V. Perdevamo spesso e occorreva qualche soluzione per risalire in classifica. Allora qualcuno in società prepara le punture "rigeneranti". Sono iniezioni di non so quali sostanze associate; il liquido prevalente, all'interno della siringa, è rosso acceso. Noi accettiamo le siringate durante la settimana e prima d'ogni partita. E' per il bene del Genoa. Ricordo che nel ritiro di Ronco Scrivia le dosi aumentarono, ci iniettavano queste sostanze una volta al giorno. Ricordo Giuliano Taccola, bianco come un cencio e poi paonazzo al termine d'una partita di quel tormentato campionato. Era adagiato sul lettino dello spogliatoio e, tutt'intorno, noi compagni avevamo paura. Respirava a fatica. Giuliano, passato alla Roma, morì circa due anni dopo. Noi eravamo paurosamente bombati: al confronto, creatina e ormoni della crescita diventano caramelle". E i controlli antidoping? "I medici preposti alle pipì avevano zero possibilità di scoprire i nostri imbrogli. Avevamo pronti tre accappatoi con doppia tasca e facevano pipì in una provetta da clistere quelli che non giocavano. Chi doveva presentarsi, nascondeva la provetta sotto l'accappatoio e ne spremeva il contenuto nel barattolo federale. Nessun medico, finchè sono rimasto in attività, avvertì l'obbligo d'accertare, da vicino, cosa cavolo combinassimo nel ripostiglio, davanti al rubinetto dell'acqua. Nessuno controllava gli accappatoi e, spesso, allungavo la pipì con l'acqua per sbrigarmi. Come gli altri. E la buffonata dura da decenni, mi risulta che poco o niente sia cambiato". Poi la stagione degli spareggi per evitare la C. Giusto? "Sì, il Genoa s'affida prima a F. e poi quindi a C., senza fortuna. L'annata disastrosa ci porta agli spareggi: quattro squadre che hanno due posti per salvarsi dal baratro. E' giugno inoltrato: tornano a somministrarci un cocktail di farmaci, tenuto dentro bottigliette rotonde di vetro, con tappi adatti per l'aspirazione della siringa. Era già successo durante il campionato, sul neutro di Ferrara, dove disputammo Verona - Genoa. In quell'occasione, avevano scelto cinque di noi, cinque cavie. Il liquido era chiaro, filature gialle e rosse. Ci siringarono un'ora prima dell'inizio della partita e ci raccomandarono di fare un riscaldamento lento, senza scatti. Dopo venti minuti mi scoppiò il fuoco in corpo, ero un assatanato che, saltando, arrivava al soffitto dell'androne dello stadio ferrarrese, alto quasi tre metri. In campo ci ritrovammo trasformati, saltavamo addosso agli avversari con la lingua gonfia e una bava verdognola attaccata alla bocca. Credo non cambiassero nemmeno gli aghi delle siringhe. Di certo, le "bottigliette miracolose" non erano sterilizzate. Passavano il batuffolo di cotone, imbevuto in un pò d' alcool e ci facevano la puntura. Così, pieni di propellenti, arrivavamo pure dove non si poteva, ignorando la soglia della fatica. Scatenati, inesausti e insonni fino alle quattro - cinque del mattimo. Infine stremati, dentro a un bagno di sudore". Il primo spareggio è Genoa - Venezia, 36 gradi dentro lo stadio di Bergamo. Qualche retroscena inquietante? "In quell'occasione un mio compagno volle esagerare: una siringata prima del via e un'altra, identica, durante l'intervallo. Beh, schierato accanto a me, prendeva botte, si proponeva e reagiva senza un attimo di respiro. Pareva Pelè, un drago. Il suo cuore arrivava a un livello pazzesco di battiti e accelerava sempre. Restammo in B, ma per fortuna saltai gli ultimi tre spareggi per infortunio. Fu un bene, mi venne risparmiato l'avvelenamento totale subito dagli altri. Più tardi, li mandarono a San Pellegrino per disintossicarsi; successivamente, ritenuti cotti e inservibili, vennero ceduti nelle categorie inferiori. A me toccò il Milan, collocazione prestigiosa". Petrini, a quel punto lei era a un passo dalla gloria. O no? "Purtroppo no, la partenza fu difficoltosa. Bloccato da uno strappo alla gamba destra, mi sottoposi ad interminabili sedute di Rontgen terapia. La stessa di cui parla Saltutti, quando accenna alle radiazioni che avrebbero provocato la leucemia di Beatrice. Mi sono venuti i brividi. Terapie a parte, nel Milan ho avuto la sensazione di recuperare un pò di normalità. Certo, realizzai appena due reti per dieci presenze, ma partecipai alla vittoria rossonera in Coppa Campioni. Nereo Rocco mi stimava, mi ripeteva che cambiando testa avrei sfondato. Giocai a Malmö, contro gli svedesi. E nella domenica seguente non ci fu nessun controllo antidoping per il Milan. Era una prassi sottintesa per le formazioni italiane impegnate in Europa durante la settimana". Il declino parte da Varese? "Ero stato operato di menisco al ginocchio destro e nel nuovo ambiente trovai un dottore, medico di fiducia d'uno straordinario campione. Arrivò a praticarmi tre infiltrazioni quotidiane nella caviglia, visto che mi ero anche procurato una grossa distorsione nel ritiro precampionato. E poichè il ginocchio sotto sforzo si gonfiava, le infiltrazioni diventarono quattro per due settimane consecutive. Non so quale mistura mi rifilasse; so che ora quando cambia il tempo mi riprendono dolori lancinanti alle caviglie e alle gambe. E che in Francia mi è stato diagnosticato un glaucoma che s'è divorato l'occhio sinistro. Anche l'altro bulbo oculare è pressochè distrutto per lo stesso motivo. L'ho appreso nel 1989, a 41 anni. Ora non posso guidare, nè attraversare una strada al tramonto. I medici francesi mi riferirono che questa malattia, causata dall'incremento della pressione interna, colpisce in genere i vecchi, gli ultrasettantenni. Possibile che le numerose visite d'idoneità professionale non abbiamo riscontrato niente? Squalificato per colpa del Totonero, ripresi dopo quarantadue mesi fra Rapallo, Cuneo e Savona. E, probabilmente, i miei problemi dipendono da tutte le porcherie ingurgitate, compresi chili di Micoren, ora proibito dai regolamenti. A Varese si erano inventati una ricetta contro il freddo invernale. Prima della gara, prendevamo due o tre palline di Micoren più un caffè con dentro due aspirine tritate. Il dottore ripeteva che in questo modo portavamo a temperatura giusta i muscoli e avremmo stracciato gli avversari intirizziti". I romanisti apprezzarono il bomber Petrini. Fuggì presto la stagione 1975-76. "Nella Roma funzionai abbastanza. Ma anche lì, se volevi una probabilità di trovare posto in squadra, dovevi sottoporti alla rituale flebo del sabato. Il massaggiatore m'avvertì in fretta: "Guarda che è nelle nostre abitudini e non puoi sottrarti alla regola...". A Roma conobbi tante donne e spesso, a poche ore dall'impegno, mi accadeva di fare l'amore in qualche albergo. A Roma basta indossare la maglia giallorossa e tutti s'inginocchiano". Fu a Cesena il suo primo turbamento. "Ero agli sgoccioli, vado all'ospedale civile per il chek-up di prassi e l'onestà d'un sanitario mi toglie il sonno. Mette a confronto due lastre e mi fa vedere come dovrebbe essere il ginocchio d'un trentenne. Accanto c'è la radiografia del ginocchio d'un ottuagenario; proprio il mio ginocchio scassato. Ormai sono nel giro e tiro avanti a infiltrazioni, pillole, flebo. Raschio dal barile quanto resta, le ultime energie. Il calcio è una roulette pazza, chi va in disgrazia non rimedia soccorritori". Ecco perchè Petrini affonda senza gridare aiuto. Fonte: Intervista di Gianni Melli La Scheda Carlo Petrini, nato a Monticiano (Siena) il 29 marzo 1948, morto a Lucca il 16 aprile 2012 Dalle giovanili del Genoa, l'avventura professionistica ai vertici del calcio italiano come centravanti: al Milan di Nereo Rocco (1968-69), al Torino (1969-71), al Varese (1971-72), al Catanzaro (1972-74), alla Ternana (1974-75), alla Roma di Nils Liedholm (1975-76), al Verona (1976-77), al Cesena (1977-79), e approdò infine al Bologna (1979-80). Nella primavera del 1980 risultò coinvolto nello scandalo del calcio-scommesse: a Petrini venne inflitta una pesante squalifica che in pratica mise fine alla sua carriera
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(da pagina Album figurine - facebook) |
Stagione 1968-69 |
Carlo Petrini in una formazione del 1968-69 |
13 ottobre 1968, Milan vs Pisa 2-1: Carlo Petrini e Gianni Rivera (Foto Farabola, per gentile concessione di Renato Orsingher) |
Con Gianni Morandi, ai tempi del Bologna |
Ai tempi del Torino |
Roma vs Milan 1975-76, Petrini (Roma) soccorre Prati (a terra) assieme ad Albertosi. Bet (di spalle) e Turone osservano |
Dal sito www.kaosedizioni.it
CARLO PETRINI
Nato a Monticiano (Siena) nel 1948, Carlo Petrini è stato uno dei più noti calciatori degli anni Settanta. Dalle giovanili del Genoa, passò al Lecce (serie C, 1965-66), tornò al Genoa (serie B, 1966-68), quindi cominciò l'avventura professionistica ai vertici del calcio italiano come centravanti: al Milan di Nereo Rocco (1968-69), al Torino (1969-70), al Varese (1971-72), al Catanzaro (1972-74), alla Ternana (1974-75), alla Roma di Nils Liedholm (1975-76), al Verona (1976-77), al Cesena (1977-79), e approdò infine al Bologna (1979-80). Nella primavera del 1980 risultò coinvolto nello scandalo del calcio-scommesse: a Petrini venne inflitta una pesante squalifica che in pratica mise fine alla sua carriera. In questa autobiografia, sincera fino a essere spietata, Petrini racconta quello che «nel calcio si fa ma non si deve dire». Tutte le miserie che ha conosciuto e vissuto in prima persona - come protagonista, o come testimone - all'interno di un mondo dorato ma permeato di ipocrisia: i pareggi "concordati" e le partite "vendute", il doping e l'espediente per eludere i controlli, i soldi "in nero" e le sfrenatezze sessuali. Non manca il racconto di alcuni retroscena inediti dell'epocale scandalo del calcio-scommesse. Una coraggiosa auto-confessione nella quale Carlo Petrini ripercorre inoltre le sue peripezie extra-calcistiche successive: le amicizie "pericolose" e un crac finanziario, la fuga all'estero e i lunghi anni di solitudine e di paura, l'indigenza e le malattie, fino alla drammatica morte di un figlio diciannovenne. |
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Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org
settembre 1979
CARLO PETRINI, PEDATORE DI VENTURA
ANTEFATTO: Settembre 1979: Carlo Petrini dopo mille traversie raggiunge Bologna, che, a causa dello scandalo scommesse, sara' anche la sua ultima destinazione...
QUATTORDICI campionati, la bellezza di undici maglie cambiate, un grosso grappolo di gol (esattamente sessantatré), un po' di gloria, qualche baldoria, qualche fragoroso casino. Ecco Carlo Petrini, trentuno anni, pedatore di ventura. Ecco le sue gioie, le sue rabbie, la sua storia.
«Monticciano di Siena, un paesino di contadini e cacciatori. Io sono nato lì, mio padre era muratore, mia madre andava a servizio. Eravamo poveri da morire e peggio ancora restammo quando mio padre e mia sorella se ne andarono all'altro mondo. Eravamo già in Liguria, a Ruta di Camogli. Speravamo di mettere insieme qualche lira e invece io e mia madre ci ritrovammo completamente squattrinati. Come fare? Io studiavo in collegio, il preside mi diede una mano, mantenne me agli studi e fece fare a mia madre la cameriera. In quel modo tirammo avanti finché non mi feci largo nel calcio».
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- Il calcio, i primi calci...
«Ti ho detto del collegio. A dodici anni mi chiama il Genoa, mi fanno vedere a Bonilauri, mi dicono che ho dei numeri. A quattordici anni sono convocato da Lievore, mi danno centomila al mese più l'affitto di una casa. Favoloso, erano soldi veri, soldi santi. Faccio la primavera del Genoa per due anni e poi finalmente l'esordio in prima squadra, in Serie B, Pro Patria-Genoa, il sei gennaio del sessantacinque. Mi ricordo chi c'era in squadra: Rivara, Pantaleoni, Baveni, Dal Pozzo e Giacomini, sì, il Giacomini che adesso è al Milan».
- Però l'anno dopo vai in C.
«Giusto, vado in C e ti spiego come. Gipo Viani arriva al Genoa, mi prende da parte e mi fa: bel giovanotto, posso darti alla Triestina o al Lecce, scegli tu. Io grido Trieste e finisco al Lecce. Dovevo dire di no? Vado al Lecce e sto zitto perché inseguivo sempre il denaro. Duecentocinquantamila al mese, a Lecce... una stagione meravigliosa, finisco in Nazionale juniores con Turone, Santarini e Fedele e sono capocannoniere in quel torneo, ti rendi conto?».
- Bene, suppongo che il Genoa ti rivoglia...
«E naturalmente il Genoa mi ripiglia, mi faccio una esperienza fondamentale con Giorgio Ghezzi, un uomo di valore che purtroppo a un certo momento viene cacciato. Vado avanti con Tabanelli, poi l'anno dopo con Fongaro prima e con Campatelli poi. Faccio sette gol, mica pochi. E allora ecco il Milan che si fa avanti. Oh, il Milan! oh Rocco, eccetera. E invece lì faccio il buco. Ero appena sposato, ero militare. Mia moglie era ed è genovese, appena potevo scappavo da Milanello per stare con lei. E dire che Rocco mi faceva tutte le prediche di questo mondo. Bruto mona, ti ga una gran machina, ma mi te la bruso quela machina da diveto de sti cojoni... beh, un'annata così: dieci partite e due gol. Ma tieni presente che avevo davanti tre uccelloni come Prati, Sormani e Hamrin. Feci comunque l'esordio in Coppa Campioni contro il Malmoe, meglio di niente. Dal Milan al Toro: Combin a Milano, io a Torino. Un disastro, purtroppo. A ottobre mi rompo due menischi. Cinque partite in tutto e mi dispiace per quel brav'uomo di Cade, Eppure il Toro mi tiene e mi dà ancora fiducia. Stagione non male, sei gol in Coppa Italia. Il Toro prende Bui e io vado a Varese. Tre allenatori in un anno, Brighenti, Maroso e Cade, retrocediamo, ma io sei gol li faccio. E mi prende il Catanzaro. Nota che ero ancora un po' del Milan e speravo, chissà. Però a Catanzaro c'era Renatone Lucchi, a Catanzaro mi presi centomila rivincite».
- Ventidue gol in due stagioni, se non sbaglio.
«Ventidue gol, proprio così. Ma anche quattro allenatori che si avvicendano, Lucchi, Leotta, Seghedoni e Di Bella. Il Catanzaro poi fiuta l'affare con la Ternana. Mi mandano là, tre gol in tutto, retrocessione con Riccomini. Sono giù di morale, ma sento dire che mi vogliono alla Roma. Bene, andiamo pure anche a Roma, non si sa mai.
Ti dico: gioco l'Uefa e la Coppa Italia; faccio sette gol in campionato, dovevo essere la spalla di Prati e invece la spalla sono gli altri che la fanno a me. Grande annata con il grande Liedholm, ecco».
- D'accordo, ma allora perché ti mandano subito via?
«La guerra al clan Cordova, io Ciccio, Morini e Batistoni fatti fuori tutti insieme. Eccomi a Verona con Valcareggi. Preferirei dimenticare. Brutta parentesi, solo qualche piccolo lampo e nient'altro. Dopodiché devo rassegnarmi a restare in B, al Cesena. E' storia recentissima...».
- La storia della rissa con Marchioro...
«Si, una brutta storia. Un bel giorno Marchioro addirittura tenta di mettermi le mani addosso e becca male perché comincio a suonargliele e fortuna che poi la cosa si arresta a mezza strada. Manuzzi mi vuole mollare due schiaffetti, ma non ci arriva, Manuzzi è la metà di me... Sei gol con Marchioro, quattro l'anno dopo con Cade. Se mi ritengo soddisfatto di Cesena? No, soddisfatto no, ma Lucchi mi dice che c'è il Cagliari che mi vuole, io mi tengo pronto e invece mi telefonano per dirmi di andare subito al Bologna dal momento che sono entrato nella trattativa Bordon. Ti serve altro? Sono a Bologna, mi sento forte come un ragazzino, fai conto che io abbia venticinque anni reali. Qui a Bologna voglio fare molti gol, l'ambiente è stupendo, i tifosi e i giornalisti mi hanno subito preso in simpatia e la società mi darà un piccolo premio se farò sette gol. Tu dici che io sette gol non li faccio? Guarda, mi bastano quindici partite e vedrai...».
- Hai avuto più di venti allenatori. Suppongo che ne ricorderai con piacere parecchi...
«Sì, certo, ti dico Giorgio Ghezzi, Renato Lucchi, Di Bella, Liedholm e poi i presidenti Ceravolo, Taddei e Manuzzi...».
- Propositi per gli anni che vengono...
«Mi piacerebbe restare nel calcio, ma a che fare? I direttori sportivi sono persone insincere, tutti zucchero e miele con i giocatori che contano e sempre indisponibili o prepotenti con i giocatori qualunque. Andrà a finire che in Liguria metterò su una palestra oppure un qualcosa con piscine e campi da tennis, stiamo a vedere. Però per altri tre anni voglio giocare perché penso di avere qualcosa di interessante da dire. Purtroppo la testa giusta ce l'ho solo adesso. Non ho mai avuto concentrazione e professionalità. Ora ho tutto, so come deve comportarsi sempre uno sportivo militante, ma ho anche trentuno anni, per la miseria!...».
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Dal sito www.tifo-e-amicizia.it
"NEL FANGO DEL DIO PALLONE", Kaos Edizioni
Per prima cose devo confessare il grandissimo disagio che ci ha accompagnato durante la lettura di questo libro, disagio che non ci abbandona nemmeno mentre scriviamo queste righe di commento. Il motivo è semplice: dalle pagine del libro, da ogni pagina, forse da ogni frase, esce una tale quantità di brutture, di bassezze, di squallore, di degenerazioni dell'animo umano, che risulta impossibile non provare un senso di disagio o addirittura di nausea.
Carlo Petrini è stato calciatore in moltissime squadre di serie A e B negli anni 70; ha chiuso la sua carriera professionistica nel 1980, nel Bologna, travolto dallo scandalo del calcio scommesse. E' stato un giocatore corrotto, dopato (e i suoi occhi quasi ciechi sono ora la conseguenza di quel doping), dallo spessore umano pari a zero; una persona squallida che nelle pagine del libro non fa assolutamente niente per apparire meglio di quel poco che è, anzi sembra che accentui i suoi sforzi per convincere tutti noi della sua pochezza (riuscendoci peraltro benissimo). Chiusa la carriera di calciatore, Petrini si infilò in un giro di finanziarie e di usurai che finì per travolgerlo, scappò all'estero, inseguito da debiti e da personaggi senza scrupoli, rimanendo nascosto per anni. |
Tornò indirettamente alla ribalta pochi anni fa, quando uno dei suoi figli, malato terminale di cancro, fece un pubblico appello televisivo al padre affinché andasse almeno una volta a trovarlo. Petrini preferì rimanere nascosto e il figlio morì senza rivedere il padre (per la serie: quando la realtà supera, e di molto, la fantasia). Il libro è come il suo autore: duro, spietato, volgare, un pugno nello stomaco che ti prende ogni volta che cominci una pagina. Il mondo del calcio che esce da queste pagine è una specie di giungla, in cui nessuno si può permettere di dare le spalle a nessuno. I calciatori, quando va bene, sono ragazzotti ricchi ed immaturi, privi di ogni regola morale, capaci di parlare solo delle proprie avventure erotiche, quasi sempre extra coniugali, e di automobili; per non parlare degli allenatori, dei dirigenti, degli arbitri... Le pagine che parlano delle partite truccate sono quelle più sconvolgenti: negli anni 70 (ma come non si può non ricordare il caso di Venezia-Bari dell'anno scorso, con il gol 'indesiderato' di Tuta, che, guarda che coincidenza, non gioca più in Italia) l'accordo tra dirigenti o tra giocatori per guidare il risultato di una partita era la regola. Lo si faceva o per convenienza reciproca ("un punto fa comodo a tutti due..."), o per motivi ancora più loschi legati alle scommesse clandestine. I giocatori scommettevano abitualmente, e fa veramente male, da tifoso del Bologna, leggere che nella squadra rossoblù nel 1980, i soli giocatori che non facevano mai scommesse erano Sali (il terzino con i baffoni e i capelli da guerrigliero, che portava Eneas a comprare i giornali di estrema sinistra) e Castronaro. Dal presidente Febbretti in giù, erano le uniche eccezioni...Intendiamoci: non sappiamo fino a che punto l'autore del libro sia attendibile, e non sappiamo se il suo scopo sia quello di una sorta di 'catarsi interiore', o sia qualcosa di più basso e sordido. Quello che ci fa specie è che, per quanto se ne sappia, nessuno dei personaggi citati, con tanto di nomi (solo i protagonisti della scappatelle erotiche vengono celati dietro una sigla), legati ad episodi di doping e corruzione, abbiano non dico sporto querela (tanto, per quello che servono le querele...), ma almeno convocato una conferenza stampa per dire: "Fermi tutti, io non c'entro!". Perché Colomba, Dossena, Savoldi, Zinetti, Perani, non sono insorti per dire che Petrini ha detto bugie? Perché Trapattoni, che a giudizio di Petrini, insieme ai dirigenti della Juve e del Bologna di allora, avrebbe concordato un pareggio di comodo tra bianconeri e rossoblù, tanto che ad un'imprevedibile papera di Zinetti si dovette porre rimedio con un autogol di Brio, non convoca i suoi amici giornalisti e dice loro di essere stato e di essere una persona pulita? Sono domande che per il momento restano senza risposta, e noi ci teniamo, insieme alla nostra incertezza, anche il nostro disagio e la nostra nausea, che vengono accentuate dall'ultima e più importante delle domande che possiamo porci: perché nonostante le persone e gli episodi descritti in quel libro continuiamo a spendere soldi, fatica e passione per il dio pallone? by Piero
Nato a Monticiano (Siena) nel 1948, Carlo Petrini è stato uno dei più noti calciatori degli anni Settanta. Dalle giovanili del Genoa, passò al Lecce (serie C, 1965-66), tornò al Genoa (serie B, 1966-68), quindi cominciò l'avventura professionistica ai vertici del calcio italiano come centravanti: al Milan di Nereo Rocco (1968-69), al Torino (1969-70), al Varese (1971-72), al Catanzaro (1972-74), alla Ternana (1974-75), alla Roma di Nils Liedholm (1975-76), al Verona (1976-77), al Cesena (1977-79), e approdò infine al Bologna (1979-80). Nella primavera del 1980 risultò coinvolto nello scandalo del calcio-scommesse: a Petrini venne inflitta una pesante squalifica che in pratica mise fine alla sua carriera. In questa autobiografia, sincera fino a essere spietata, Petrini racconta quello che «nel calcio si fa ma non si deve dire». Tutte le miserie che ha conosciuto e vissuto in prima persona - come protagonista, o come testimone - all'interno di un mondo dorato ma permeato di ipocrisia: i pareggi "concordati" e le partite "vendute", il doping e l'espediente per eludere i controlli, i soldi "in nero" e le sfrenatezze sessuali. Non manca il racconto di alcuni retroscena inediti dell'epocale scandalo del calcio-scommesse. Una coraggiosa auto-confessione nella quale Carlo Petrini ripercorre inoltre le sue peripezie extra-calcistiche successive: le amicizie "pericolose" e un crac finanziario, la fuga all'estero e i lunghi anni di solitudine e di paura, l'indigenza e le malattie, fino alla drammatica morte di un figlio diciannovenne. |
Dal sito www.andreascanzi.it
IL FANGO DEL CALCIO
Carlo Petrini è stato uno degli attaccanti più noti degli anni Settanta. Nell'80 fu coinvolto nello scandalo del calcio-scommesse. Oggi, con i suoi libri, ha raccontato che doping, partite combinate e falsi in bilancio non sono l'eccezione ma la norma nel calcio. Ha spiegato perché nell'80 la Juve non andò in B. Ha indagato sulla morte di Donato Bergamini. Ed è stato isolato.
La sua autobiografia, Nel fango del dio pallone, ha fatto molto discutere.
C'è la mia vita e tutto quello che nel calcio si fa ma non si deve dire. Il doping, le partite combinate, le scommesse, il falso in bilancio. E le sole cose che i calciatori hanno in testa: sesso e macchine. Mi sono sposato a 19 anni e da calciatore ho avuto almeno un rapporto extra-coniugale a settimana. Come quasi tutti i calciatori. Sono stato una pecora nera in mezzo a pecore nere. Di pecore grigie ne ho conosciuta qualcuna, di pecore bianche nessuna. Le partite aggiustate si sono sempre fatte e si continuano a fare. Ne ricordo una, Padova-Genoa del '66, avevo 18 anni. Anche il doping. Già nei Sessanta ci facevano "iniezioni ricostituenti", usando la stessa siringa per più persone. Testavano su di noi strane alchimie. Non sapevamo cosa ci davano, ma non dicevamo di no: doparsi significava giocare. Per Verona-Genoa, il 2 giugno '68, io e altri quattro fummo dopati con un liquido chiaro contenuto in una bottiglia dell'Orangina. In campo correvamo il triplo degli altri, poi però continuavamo a essere "carichi" anche molte ore dopo. Occhi sbarrati, bava verde alla bocca, battito a mille. Nessuno si lamentava e all'antidoping non c'erano problemi, avevamo bottigliette di urina pulita nascosta sotto gli accappatoi.
Oggi la situazione è migliorata?
Non migliorerà mai fino a quando ci saranno Moggi, Galliani e Carraro. Ne I pallonari (2003) e Senza maglia e senza bandiera (2004) ho raccontato combine, doping e truffe finanziarie dagli Ottanta ai giorni nostri. Ho anche pubblicato le deposizioni dei giocatori juventini al processo doping, fossi in loro sarei terrorizzato. Il rischio è che tra 20 anni i calciatori di oggi si ammalino gravemente, come è successo a tanti miei amici. Penso a Taccola, Beatrice, Rognoni, alle molte morti di leucemia e sindrome laterale amiotrofica. E' dimostrato che l'incidenza di queste malattie sui calciatori è maggiore. Ogni giorno temo di svegliarmi e non sentire più le gambe. Quando arrivai al Milan mi fecero le visite e mi dissero: "Ma cosa le hanno dato a Genova? Stia attento alla vista". Nel '91, a 43 anni, un glaucoma mi ha portato via l'occhio sinistro, e dal destro vedo pochissimo.
I suoi libri circolano molto, ma sono stati recensiti pochissimo.
Hanno venduto decine di migliaia di copie, specie Nel fango del dio pallone (2000). Se Kaos continua a pubblicarmi è anche perché funziono. I giornalisti non mi hanno appoggiato, ma lo sapevo. "La Gazzetta dello Sport" ha recensito la mia autobiografia giusto per darmi del poveraccio. Rai Educational voleva farne un film. Poi è arrivato il direttore, Minoli, juventino e amico di Moggi. Il film non è mai andato in onda.
Lei è nato a Monticiano, a trenta chilometri da Siena. E' anche il paese di Moggi.
Kaos ha pubblicato una sua biografia, Lucky Luciano. Gli autori, un gruppo di giornalisti, si sono celati dietro pseudonimo altrimenti perdevano il lavoro. E' un altro libro che nessuno ha recensito. Nel '79 Moggi, ex ferroviere, era alla Roma e fu sorpreso a cena con l'arbitro prima di Roma-Ascoli. Nell'80 era direttore generale alla Lazio, in pieno calcio-scommesse, e lui "non ne ha mai saputo niente". Nell'82, quando era al Torino, fu condannato a quattro mesi per omicidio colposo, probabilmente un incidente d'auto mortale. Dall'87 al '91 era nel Napoli di Maradona, nello spogliatoio gravitavano droga e camorra ma lui "non ha visto niente". Torna al Torino di Borsano. Il 5 maggio '91 è sorpreso a cena con l'arbitro D'Elia. Nell'estate del '92 compra tre sedicenni ghanesi: l'operazione è vietata perché minorenni, lui li fa assumere come fattorini della holding di Borsano. Poi c'è il crac societario e la magistratura scopre che Moggi in almeno tre casi ha regalato tre prostitute alle terne arbitrali che avrebbero diretto il Torino in Coppa Uefa. Lui replica che le prostitute in realtà erano "interpreti". E' indagato per favoreggiamento della prostituzione e illecito sportivo. Non solo: rinviato a giudizio per frode fiscale, Moggi patteggia per evitare il processo e se la cava con 5 milioni di multa. Qualsiasi paese avrebbe cacciato una persona simile. Invece in Italia lo hanno premiato, e dal '94 Moggi è alla Juventus.
Nella sua autobiografia c'è il racconto di Bologna-Juventus del 13 gennaio 1980.
Ero arrivato a Bologna nel '79. Il giovedì prima della partita il ds del Bologna, Riccardo Sogliano, ci avvertì che le due società si erano accordate per il pareggio. Tutto lo spogliatoio era d'accordo, e tutti del Bologna - tranne Sali e Castronaro - decisero di scommettere 50 milioni sul pareggio. I giocatori della Juventus ci dissero di non avere scommesso perché "il colpo l'abbiamo fatto già due settimane fa con l'Ascoli". Chiesi a Trapattoni nel sottopassaggio di rispettare i fatti, avevamo giocato insieme con Milan e Varese: mi disse di stare tranquillo. Il primo tempo fu indecente, il pubblico ci fischiò. Nel secondo Causio fece un tiraccio e il nostro portiere Zinetti si impaperò: 1-0. Non esultò nessuno, neanche Causio, crebbe il nervosismo. Entrai dalla panchina. Prima di un corner per noi, Bettega disse che ci avrebbe pensato lui a farci pareggiare. Subito dopo Brio deviò di testa nella sua porta il calcio d'angolo. La combine fu palese. L'11 febbraio 1980 si giocava Bologna-Avellino. Io, Dossena, Colomba, Paris, Zinetti e Savoldi scommettemmo sul pari senza avvertire la squadra. Non funzionò, Savoldi segnò e non ci fu tempo per pareggiare. Su quella partita avevano scommesso in tanti, il banco del totoscommesse saltò. Massimo Cruciani e Alvaro Trinca, che gestivano le scommesse da Roma, denunciarono tutto. Furono i grandi accusatori del calcio-scommesse dell'80, che portò Lazio e Milan in B e costò giorni di carcere ad alcuni colleghi (Giordano della Lazio, ad esempio) e anni di squalifica a personaggi famosi, tra cui Paolo Rossi.
Finiste sotto inchiesta.
La nostra "fortuna" era che avevamo pareggiato con la Juventus, per questo non finimmo in carcere. Cruciani lo conoscevo dai tempi di Roma, era un venditore di frutta e verdura amico dei calciatori e del clero, ci portava in Vaticano a fare spese per risparmiare quando giocavo a Roma. Trinca era un ristoratore rifornito da Cruciani, nel suo ristorante c'erano sempre calciatori di serie A. I rapporti con Cruciani li tenevo io al telefono, ho raccontato tutto nel libro. Nessuno mi ha querelato perché quello che ho scritto è tutto vero. Cruciani depose alle prime udienze e fu lui a inchiodare Rossi. I giocatori del Bologna mi stavano isolando, ero il più vecchio del gruppo, avevo 32 anni e gli altri 5 della combine fallita con l'Avellino mi chiesero, in cambio di denaro, di assumermi tutte le colpe. Non accettai. Poi arrivò il nostro turno. Dal confronto con Trinca uscii malissimo. Sapevamo che, se Cruciani si presentava, noi e la Juve eravamo spacciati. Il presidente bianconero Boniperti e l'avvocato Chiusano, venerdì 23 maggio 1980, mi avvicinarono dopo un'udienza del processo di Milano e mi dissero di trovare Cruciani per convincerlo, in cambio di "qualsiasi cifra", a non presentarsi l'indomani in aula. Ci trovammo con gli altri indagati del Bologna a casa della mamma di Dossena, che abitava a due passi da San Siro, e con Cruciani ci accordammo per le ore 23 davanti al cancello 5 dello stadio di San Siro. Arrivai all'appuntamento travestito da vecchio, con gli occhiali e la gobba, se mi trovavano era finita, ma convinsi Cruciani a non presentarsi in aula. Ecco perché la Juventus non è andata in B. In un certo senso è "merito" mio.
Quale fu la sentenza?
Pene blande per me, Savoldi e Colomba per Bologna-Juve, nulla ai bianconeri e alle due società. Il contrario per Bologna-Avellino: squalifica di un anno al presidente rossoblu Fabretti, cinque punti di penalità al Bologna, tre anni di squalifica a me e Savoldi. Assolti gli altri.
Perché ha raccontato tutto questo?
Per troppa fame di soldi, dopo avere smesso di giocare, avevo perso tutto. Mi cercavano gli usurai, mi sono nascosto per anni in Portogallo e Francia. Mentre ero all'estero, il mio terzo figlio Diego è morto a 19 anni e io, per paura della malavita, non ho neanche avuto il coraggio di salutarlo un'ultima volta. Era il 18 giugno '95, da allora vivo con un rimorso indicibile. A novembre '98 ho incontrato Moggi a Monticiano, mi ha proposto di fare l'osservatore alla Juventus. Avevo appena iniziato l'autobiografia, i soldi di Moggi mi avrebbero fatto comodo, ma accettare significava diventare uno dei tanti suoi zerbini.
C'è un libro particolare, nella sua produzione: Il calciatore suicidato (2001).
E' la cosa a cui tengo di più, spero sempre che un magistrato lo legga e riapra l'inchiesta. Donato Bergamini era un calciatore del Cosenza, serie B. E' morto il 18 novembre 1989 a 27 anni. Si sarebbe buttato volontariamente sotto un camion sulla Statale Ionica, in realtà venne ucciso. Probabilmente dalla 'ndrangheta locale. Nel libro, un'inchiesta giornalistica puntigliosa e rischiosa, ho ricostruito tutto. Qui mi limito a dire che qualche anno fa il Cosenza Calcio è stato messo sotto inchiesta per associazione a delinquere, ed era la stessa gente che c'era ai tempi di Bergamini. Il pullman del Cosenza era usato per portare la droga dal sud al nord e anche la Maserati di Bergamini, conosciuta e "autorizzata" anche dalle forze dell'ordine, serviva come tramite. La mia idea è che alcuni giocatori più smaliziati, come Marino e Padovano, poi a Napoli e Juve grazie a Moggi, sapevano che quella sera Denis sarebbe stato punito, ma non sapevano che sarebbe stato ucciso. Probabilmente Bergamini, l'ingenuo del gruppo, voleva uscire da quel giro.
Sta scrivendo altre cose?
Il mio quinto libro, sempre per Kaos, uscirà a giugno. Parla anche del misterioso superfischietto che frequentava il Viva Lain, il centro di "massaggi" torinese dove andavano giocatori di Juve e Torino. La stampa non ha mai fatto il suo nome. Io sì: Pairetto, l'attuale designatore degli arbitri. Ognuno della sua vita privata fa quello che vuole e io sono l'ultimo che può parlare, ma non è singolare che il designatore degli arbitri di serie A e B frequentasse proprio lo stesso centro "caro" alla Juventus?
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Dal sito www.disinformazione.it
La massoneria e lo scandalo del calcio scommesse del 1980 nell'autobiografia di Petrini, di Giuseppe Ardagna
Lo scandalo delle scommesse legate alle partite di calcio scoppia agli inizi del 1980. Quella che, all'opinione pubblica, sembra un fulmine a ciel sereno, risulta però essere per gli addetti ai lavori la risultante di un percorso partito parecchi anni addietro e che ha trovato il suo periodo di maggior fulgore negli anni settanta. D'altronde non c'è da stupirsene. Soldi e pallone sono sempre andati a braccetto. Ma questa volta è diverso: questa volta indaga la magistratura che porta davanti ai giudici dirigenti, giocatori, scommettitori. In Italia ( paese in cui da sempre puoi toccare tutto tranne il sacro giocattolo) scoppia un putiferio senza pari. Si capisce sin da subito che non sarà possibile venirne fuori con una sentenza che permetta una frettolosa ripulita in superficie, ma che bisognerà dare una "punizione esemplare".
Tutte le squadre coinvolte, chi più chi meno, tutti i giocatori implicati subiranno la loro brava condanna, ma di calcio scommesse si tornerà già a parlare pochissimo tempo dopo l'emissione della sentenza. Bisogna che tutto cambi perché nulla cambi.
Ma non è precisamente del calcio scommesse che vogliamo occuparci in queste pagine, il calcio scommesse è un'altra storia.
Vogliamo occuparci di alcuni lati connessi ad esso.
Vent'anni dopo i fatti testé menzionati, l'ex calciatore Carlo Petrini da alle stampe la sua autobiografia all'interno della quale spiega ( senza risparmiare dettagli) l'odissea del suo coinvolgimento nello scandalo delle partite truccate. In queste pagine si parla del suo grande accusatore ed ex amico, l'allibratore Massimo Cruciali.
Ufficialmente Cruciani, stando alle parole di Petrini, gestisce un ingrosso di orto frutta, ma gode di agganci ed "entrature" notevoli. L'ex giocatore racconta dei rapporti del commerciante romano con il Vaticano arrivando ad aggiungere che un giorno avrebbe anche potuto fargli conoscere il Papa: "Cruciani veniva spesso a Grottaferrata, era in confidenza con tutti i giocatori. Anche perché, grazie a lui, riuscivamo a fare lo shopping nello spaccio del Vaticano . Nella cittadella del Papa c'era ogni ben di Dio e costava tutto la metà. Non so se Cruciani fosse parente di qualche prelato, o se avesse qualche lasciapassare speciale:so che ci faceva entrare in Vaticano con i nostri macchinoni perfino a fare il pieno di benzina ad un prezzo divino. Un giorno, mentre mi accompagnava nella città santa a fare lo shopping scontato , Cruciani mi disse: -posso farti avere un udienza privata dal Papa[.]"
Cruciani, che all'apparenza sembra essere un agiato commerciante di generi alimentari, pare in realtà una persona potente, uno che sa cosa chiedere e sa a chi chiederla.
Ma Cruciani gode di amicizie anche nel mondo del pallone. Più precisamente si mantiene in contatto con il presidente della Figc Artemio Franchi .
Cruciani gestisce dunque un giro di scommesse legate al mondo del calcio, è legato a filo doppio col Vaticano, di cui gode e fa godere i favori, ed è in contatto con l'esponente massone (P2) della Figc.
Ma fra le tante conoscenze di Petrini nel periodo romano, ce n'è una in particolare: quella di un certo Roberto (il cognome non lo si saprà mai): "[.]avrà avuto fra i trenta ed i quaranta anni [.]non seppi mai che lavoro facesse Roberto, ma scoprirò poi che era un uomo molto potente e soprattutto informatissimo".
Teniamolo a mente questo nome, Roberto, perché ci ritorneremo.
Calcio, personaggi ambigui, esponenti massoni, scommesse e soldi. Tanti soldi.
Di massoneria Petrini parlerà apertamente in merito alla possibilità di formare una squadra che coinvolga nel proprio organico i giocatori squalificati in seguito alla sentenza del processo per il calcio scommesse fra i quali figurano, è bene ricordarlo, giocatori che poi diverranno eroi nazionali come Dossena e Rossi campioni del mondo nel 1982: "[.] in autunno saltò fuori l'idea di mettere su una squadra di calcio formata da noi giocatori squalificati per il calcio scommesse, che facesse partite di beneficenza in giro per il mondo.[.] il primo contatto concreto fu per una partita amichevole in Svizzera, con il Basilea. Mi ricordo che mentre eravamo in un albergo milanese per definire gli ultimi accordi con i dirigenti della squadra elvetica arrivò il veto della Figc. La federazione aveva mandato a tutte le federazioni dell'Uefa un telegramma nel quale le invitava a non accogliere la nostra squadra nei loro stadi. Protestammo contro il colpo basso della Figc e provammo a non arrenderci, la nostra iniziativa stava trovando parecchi sostenitori. Mi telefonò un avvocato di Roma ( non ricordo il nome), mi parlò della possibilità di organizzare il tutto sotto il patrocinio della croce rossa internazionale e mi propose di incontrarci perché lui avrebbe potuto aiutarci. Andai a Roma nello studio dell'avvocato. Mi disse che c'era gente importante disposta a sostenerci, fece il nome della moglie dell'ambasciatore americano in Italia, dell'attore Rossano Brazzi e di altri, accennò alla possibilità di portare la nostra iniziativa alla televisione (cosa che puntualmente avvenne a -Domenica in- ndr) parlò della massoneria[.]".
Dopo la comparsata in tv, Petrini torna nello studio dell'avvocato romano e ci trova nuovamente quello strano personaggio: Roberto: "Quando tornai nello studio dell'avvocato per ringraziarlo ci trovai Roberto, il mio strano informatore. Ad un certo punto arrivò un signore che mi venne presentato come il principe Borghese".
Petrini dice di incontrare una persona che gli viene presentata come il principe Borghese. Pur non specificando di chi si tratti, sembra evidente che il nostro si riferisca al comandante della Decima Mas, altro massone (P2 ) oltretutto golpista.
La massoneria, più altri personaggi, che sembrano essersi presi a cuore le sorti dei giocatori usciti con le ossa rotte dallo scandalo scommesse. Perché? Nelle pagine seguenti Petrini racconta la sua lenta ma inesorabile discesa agli inferi ma facendo questo non dimentica di menzionare chi gli da una mano per tentare di risollevarsi su. Fra questi figura Alberto Teardo, altro massone iscritto alla P2.
Come se non bastasse la commedia data in pasto all'opinione pubblica per placarla sullo scandalo del calcio scommesse, diventa farsa nel 1982 con la vittoria dell'Italia ai campionati del mondo: "[.] dopo la vittoria della nazionale italiana ai mondiali di Spagna, ai primi di Luglio, la federcalcio decise di perdonarci tutti con un'amnistia[.]".
Tutto finito insomma. Di calcio scommesse e di sentenza esemplari non si parla più dopo il 1982.
Col senno di poi, sembra quasi che sia stato un bene che non si sia giunti alla formazione di una squadra formata dai giocatori squalificati. Sembra quasi che la Figc, col veto imposto, abbia voluto dire: state calmi e non fate niente, che le cose le sistemiamo noi".
E le hanno sistemate.
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Carlo Petrini con i propri figli (by Carlo Petrini Junior - facebook) |
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E PETRINI "SPAVENTA" IL MILAN
15 maggio 2006
"Sono giorni in cui quei molti che hanno cercato di relegarmi ai margini, etichettandomi come 'pazzo', devono ricredersi. Raccontavo il vero, lo sapevo". Dure accuse, quelle affidate alle colonne de 'La Stampa', dal calciatore 'ribelle' Carlo Petrini, che, intervenendo sulla bufera che si è abbattuta sul mondo del calcio, anticipa che sta preparando un nuovo libro.
Si chiamerà 'Le corna del diavolo'. "Parlo - spiega - del Milan di Berlusconi. Ho visto, letto, fatto indagini". Petrini, inoltre, interviene anche sull'affermazione dell'ex Premier e presidente del Milan, che ha chiesto la restituzione di due scudetti, sottolineando: "Ha fatto la solita boutade. Fossi in lui aspetterei un momento a parlare".
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LE CORNA DEL DIAVOLO
Il Milan di Berlusconi
di Carlo Petrini
«Questo libro è un'altra battaglia della mia guerra personale contro le falsità e le omertà del mondo pallonaro. Non certo da moralista, perché non lo sono mai stato, ma da uno che odia l'ipocrisia e gli piace chiamare le cose con il loro nome. Non da disgraziato ex calciatore oggi "pentito" (perché non sono pentito di niente), ma da uno che non ci sta a passare per la mela marcia e il "maledetto" in un mondo di puri e di angioletti.
Questo è un altro dei libri che avrebbero dovuto scrivere i signori giornalisti esperti di calcio, ma loro un libro così non lo hanno mai scritto né mai lo scriverebbero. Perché i signori giornalisti sportivi (come categoria, e salvo eccezioni) sono dei servi del potere impegnati a fare i ruffiani per la loro carriera, per cui più che informare censurano, e passano il tempo a leccare il culo del potere pallonaro. |
Ce ne sono certi con delle lingue così allenate che sono pronte a passare dal fondoschiena dei presidenti, a quello dei lucianimoggi, a quello dei campioni (finché lo sono...), insomma il culo di chiunque abbia un po' di potere.
Nessuno dei cronisti delle gazzette sportive avrebbe mai scritto un libro come Le corna del Diavolo, dato che il protagonista, oltre a essere il padrone del Milan e del calcio italiano, è anche il monopolista della tv privata e un capo politico. Non solo: è il più importante editore italiano di libri e giornali, è stato per anni presidente del Consiglio, è uno degli individui più ricchi del mondo. Insomma è da molti anni l'ometto più potente d'Italia, e infatti detiene il record mondiale di giornalisti-leccaculo: una metà sono suoi dipendenti, l'altra metà sbava per diventarlo. Logico che una categoria di servi del genere neanche si azzarda a raccontare come il signor Berlusconi abbia messo le mani sul Milan calcio, e come a colpi di miliardi "neri" e "grigi" lo abbia fatto diventare uno strumento per conquistare il potere politico.
Lo ripeto ancora: non sono un moralista. Ma è ora che il mondo pallonaro venga raccontato per quello che veramente è: basta con le finzioni, le ipocrisie, la retorica e l'omertà. Come ex calciatore (anche del Milan, stagione 1968-69), io posso permettermi di raccontare le cose come stanno: non ho interessi nell'ambiente, e della politica non me ne frega niente. |
Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org
CARLO PETRINI: "ECCO COME CI DROGAVANO"
Carlo Petrini, la gola profonda del calcio anni 60/70. I retroscena del doping sfrenato di quegli anni che ha portato a diverse morti "sospette"
Intervista di Gianni Melli
"Iniezioni e flebo, vent' anni fa prendevamo di tutto: al confronto ormoni e creatina sono caramelle"
"Ho cambiato pelle dalla morte di Diego. Tumore al cervello. Porto dentro il rimorso di non averlo visto vivo: ero fuggito in Francia nel 1989, spaventato dalle minacce di gente pericolosa, dopo il fallimento di alcune finanziarie che si sono mangiate anche i risparmi della mia attività professionistica".
Quanto?
"Miliardi. Un pacco di quattrini buttati via, poi una villa a Catanzaro e altri immobili sacrificati nella voragine del dissesto. Fossi arrivato accanto a Diego, avrei rischiato la pelle e, soprattutto, messo a repentaglio l'incolumità della moglie e degli altri due figli. Oggi me ne pento e i guai servono paradossalmente ad alleggerire gli incubi. Sto diventando cieco a causa di due glaucomi. Prima sono stato rovinato dalle donne? Prima cercavo l'impossibile, sicuro di non sbagliare mai, di poter vivere impunito, al di fuori d'ogni regola. Centravanti nato, avevo talento e avrò realizzato un centinaio di gol, fra A e B, senza fare un sacrificio lecito per il football".
Cominciamo dal Genoa, la società che lancia Petrini.
"Sono figlio d'un muratore e d'una casalinga. Mio padre è morto a quarant'anni, tetano. Anche l'unica sorella morì sedicenne di diabete. Sembrava andare meglio a me: proveniente dal vivaio, entrai in prima squadra il 6 gennaio 1965, Genoa - Pro Patria di serie B. Tuttavia i fatti strani arrivano nella stagione successiva, allenatore G.G. e, vice, mister V. Perdevamo spesso e occorreva qualche soluzione per risalire in classifica. Allora qualcuno in società prepara le punture "rigeneranti". Sono iniezioni di non so quali sostanze associate; il liquido prevalente, all'interno della siringa, è rosso acceso. Noi accettiamo le siringate durante la settimana e prima d'ogni partita. E' per il bene del Genoa. Ricordo che nel ritiro di Ronco Scrivia le dosi aumentarono, ci iniettavano queste sostanze una volta al giorno. Ricordo Giuliano Taccola, bianco come un cencio e poi paonazzo al termine d'una partita di quel tormentato campionato. Era adagiato sul lettino dello spogliatoio e, tutt'intorno, noi compagni avevamo paura. Respirava a fatica. Giuliano, passato alla Roma, morì circa due anni dopo. Noi eravamo paurosamente bombati: al confronto, creatina e ormoni della crescita diventano caramelle".
E i controlli antidoping?
"I medici preposti alle pipì avevano zero possibilità di scoprire i nostri imbrogli. Avevamo pronti tre accappatoi con doppia tasca e facevano pipì in una provetta da clistere quelli che non giocavano. Chi doveva presentarsi, nascondeva la provetta sotto l'accappatoio e ne spremeva il contenuto nel barattolo federale. Nessun medico, finchè sono rimasto in attività, avvertì l'obbligo d'accertare, da vicino, cosa cavolo combinassimo nel ripostiglio, davanti al rubinetto dell'acqua. Nessuno controllava gli accappatoi e, spesso, allungavo la pipì con l'acqua per sbrigarmi. Come gli altri. E la buffonata dura da decenni, mi risulta che poco o niente sia cambiato".
Poi la stagione degli spareggi per evitare la C. Giusto?
"Sì, il Genoa s'affida prima a F. e poi quindi a C., senza fortuna. L'annata disastrosa ci porta agli spareggi: quattro squadre che hanno due posti per salvarsi dal baratro. E' giugno inoltrato: tornano a somministrarci un cocktail di farmaci, tenuto dentro bottigliette rotonde di vetro, con tappi adatti per l'aspirazione della siringa. Era già successo durante il campionato, sul neutro di Ferrara, dove disputammo Verona - Genoa. In quell'occasione, avevano scelto cinque di noi, cinque cavie. Il liquido era chiaro, filature gialle e rosse. Ci siringarono un'ora prima dell'inizio della partita e ci raccomandarono di fare un riscaldamento lento, senza scatti. Dopo venti minuti mi scoppiò il fuoco in corpo, ero un assatanato che, saltando, arrivava al soffitto dell'androne dello stadio ferrarrese, alto quasi tre metri. In campo ci ritrovammo trasformati, saltavamo addosso agli avversari con la lingua gonfia e una bava verdognola attaccata alla bocca. Credo non cambiassero nemmeno gli aghi delle siringhe. Di certo, le "bottigliette miracolose" non erano sterilizzate. Passavano il batuffolo di cotone, imbevuto in un pò d' alcool e ci facevano la puntura. Così, pieni di propellenti, arrivavamo pure dove non si poteva, ignorando la soglia della fatica. Scatenati, inesausti e insonni fino alle quattro - cinque del mattimo. Infine stremati, dentro a un bagno di sudore".
Il primo spareggio è Genoa - Venezia, 36 gradi dentro lo stadio di Bergamo. Qualche retroscena inquietante?
"In quell'occasione un mio compagno volle esagerare: una siringata prima del via e un'altra, identica, durante l'intervallo. Beh, schierato accanto a me, prendeva botte, si proponeva e reagiva senza un attimo di respiro. Pareva Pelè, un drago. Il suo cuore arrivava a un livello pazzesco di battiti e accelerava sempre. Restammo in B, ma per fortuna saltai gli ultimi tre spareggi per infortunio. Fu un bene, mi venne risparmiato l'avvelenamento totale subito dagli altri. Più tardi, li mandarono a San Pellegrino per disintossicarsi; successivamente, ritenuti cotti e inservibili, vennero ceduti nelle categorie inferiori. A me toccò il Milan, collocazione prestigiosa".
Petrini, a quel punto lei era a un passo dalla gloria. O no?
"Purtroppo no, la partenza fu difficoltosa. Bloccato da uno strappo alla gamba destra, mi sottoposi ad interminabili sedute di Rontgen terapia. La stessa di cui parla Saltutti, quando accenna alle radiazioni che avrebbero provocato la leucemia di Beatrice. Mi sono venuti i brividi. Terapie a parte, nel Milan ho avuto la sensazione di recuperare un pò di normalità. Certo, realizzai appena due reti per dieci presenze, ma partecipai alla vittoria rossonera in Coppa Campioni. Nereo Rocco mi stimava, mi ripeteva che cambiando testa avrei sfondato. Giocai a Malmö, contro gli svedesi. E nella domenica seguente non ci fu nessun controllo antidoping per il Milan. Era una prassi sottintesa per le formazioni italiane impegnate in Europa durante la settimana".
Il declino parte da Varese?
"Ero stato operato di menisco al ginocchio destro e nel nuovo ambiente trovai un dottore, medico di fiducia d'uno straordinario campione. Arrivò a praticarmi tre infiltrazioni quotidiane nella caviglia, visto che mi ero anche procurato una grossa distorsione nel ritiro precampionato. E poichè il ginocchio sotto sforzo si gonfiava, le infiltrazioni diventarono quattro per due settimane consecutive. Non so quale mistura mi rifilasse; so che ora quando cambia il tempo mi riprendono dolori lancinanti alle caviglie e alle gambe. E che in Francia mi è stato diagnosticato un glaucoma che s'è divorato l'occhio sinistro. Anche l'altro bulbo oculare è pressochè distrutto per lo stesso motivo. L'ho appreso nel 1989, a 41 anni. Ora non posso guidare, nè attraversare una strada al tramonto. I medici francesi mi riferirono che questa malattia, causata dall'incremento della pressione interna, colpisce in genere i vecchi, gli ultrasettantenni. Possibile che le numerose visite d'idoneità professionale non abbiamo riscontrato niente? Squalificato per colpa del Totonero, ripresi dopo quarantadue mesi fra Rapallo, Cuneo e Savona. E, probabilmente, i miei problemi dipendono da tutte le porcherie ingurgitate, compresi chili di Micoren, ora proibito dai regolamenti. A Varese si erano inventati una ricetta contro il freddo invernale. Prima della gara, prendevamo due o tre palline di Micoren più un caffè con dentro due aspirine tritate. Il dottore ripeteva che in questo modo portavamo a temperatura giusta i muscoli e avremmo stracciato gli avversari intirizziti".
I romanisti apprezzarono il bomber Petrini. Fuggì presto la stagione 1975-76.
"Nella Roma funzionai abbastanza. Ma anche lì, se volevi una probabilità di trovare posto in squadra, dovevi sottoporti alla rituale flebo del sabato. Il massaggiatore m'avvertì in fretta: "Guarda che è nelle nostre abitudini e non puoi sottrarti alla regola...". A Roma conobbi tante donne e spesso, a poche ore dall'impegno, mi accadeva di fare l'amore in qualche albergo. A Roma basta indossare la maglia giallorossa e tutti s'inginocchiano".
Fu a Cesena il suo primo turbamento.
"Ero agli sgoccioli, vado all'ospedale civile per il chek-up di prassi e l'onestà d'un sanitario mi toglie il sonno. Mette a confronto due lastre e mi fa vedere come dovrebbe essere il ginocchio d'un trentenne. Accanto c'è la radiografia del ginocchio d'un ottuagenario; proprio il mio ginocchio scassato. Ormai sono nel giro e tiro avanti a infiltrazioni, pillole, flebo. Raschio dal barile quanto resta, le ultime energie. Il calcio è una roulette pazza, chi va in disgrazia non rimedia soccorritori".
Ecco perchè Petrini affonda senza gridare aiuto.
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Dal sito www.ilfattoquotidiano.it
28 dicembre 2011
CARLO PETRINI NON RINUNCIA AD ATTACCARE
"SOLDI, TRUFFE E DOPING: È IL CALCIO DI SEMPRE"
L'ex centravanti di Genoa, Milan, Roma e Bologna è alle prese con una malattia difficile da sconfiggere, ma continua a denunciare i mali del calcio di casa nostra. Tra gli altri, se la prende con personaggi noti - come Mazzola, De Sisti e Borgonovo - che non dicono ciò che sanno.
Gli è rimasto qualche desiderio. "Mi piacerebbe bere un caffettino". Ottiene una brodaglia nerastra allungata con l'acqua. Un fondo in cui leggere e diluire passato e presente. Il campo adesso è un divano, la mobilità un'illusione e l'orizzonte un muro di nebbia. "Ho tumori al cervello, al rene e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e dovrei essere già morto da anni. Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di vita. E' stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare dalle labbra una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni. Ci sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche".
Ieri, abbattuto dalla leucemia se n'è andato anche Sergio Buso. Saltava da portiere nella Serie A degli anni 70. Quella raccontata da Carlo Petrini, centravanti di Genoa, Milan, Roma, Bologna e di altre stazioni passeggere: "Da mercenario che pensava solo a drogarsi, scopare, incassare assegni e alterare risultati". Vinse, perse, barò. Scrisse libri su doping e calcioscommesse. Fece nomi e cognomi. Rimase solo. Il Carlo Petrini di ieri non c'è più. Il corpo che un tempo gli serviva per conquistare amori di contrabbando e tribune esigenti tra San Siro e il Paradiso, è un quotidiano inferno che gli presenta conti con gli interessi e cambiali da scontare.
A 63 anni, con il vento che scuote Lucca e non lo accarezza più, non c'è Natale o Epifania possibile. A metà conversazione, mentre lamenta l'abbandono di chi un tempo gli fu amico: "Ciccio Cordova, Morini, non mi chiama più nessuno", un segno. Squilla il telefono. La voce di Franco Baldini. Il dirigente della Roma. Il nemico di Luciano Moggi. Petrini gli parla: "Ho fatto molta chemio. Sto cercando di superare il male. Io spero, Franco. Spero ancora". Poi lacrima. In silenzio. Rumore di rimpianto. E di irreversibile.
Petrini, come si racconterebbe a chi non la conosce?
Un presuntuoso. Un coglione. Uno che credeva di essere un semidio e morirà come un disgraziato. Ero bello, forte, ricco, invidiato. Avevo tutto e ora non ho niente.
Perché?
I miei errori iniziarono a metà dei '60, al Genoa. Siringhe. Sostanze. La chiamavano la bumba. Avevo 20 anni. Non smisi più. Il nostro allenatore, Giorgio Ghezzi, ex portiere dell'Inter, ci faceva fare strane punture prima della gara. Un liquido rossastro. Se vincevamo, si continuava. Altrimenti, nuovo preparato.
Cosa c'era dentro?
Mai saputo. L'anno dopo, disputammo a Bergamo lo spareggio per non retrocedere in C. Il tecnico Campatelli scelse cinque di noi come cavie. Stesso intruglio per tutti. Eravamo indemoniati. La punta, Petroni, sembrava Pelé. Vincemmo 2-0 e, in premio, ebbi il trasferimento al Milan.
Perché non vi ribellavate?
Venivamo da famiglie poverissime. Mio padre era morto a 40 anni, di Tetano. Rifiutare le punture, le pastiglie di Micoren o le terapie selvagge ai raggi X, significava essere eliminati. Fuori dal circo. Indietro, in cantina, senza ragazze o macchine di lusso. Nei nostri miserabili tinelli, con la puzza di aringa che mia madre metteva in tavola un giorno sì e l'altro anche.
Quindi continuò ad assumere sostanze proibite?
Ovunque andassi. A Roma il massaggiatore ce lo diceva ridendo: "A ragà, forza, fa parte der contratto". A Milano, dove mi allenava Rocco, feci invece i raggi Roengten per guarire da uno strappo muscolare. Non so se Nereo sapesse. Con me aveva un rapporto particolare: "Testa de casso, se avessi il cervello saresti un campiòn".
Di radiazioni Roengten, secondo la famiglia, morì anche Bruno Beatrice.
Fu mio compagno a Cesena, Bruno. Se ne andò a 39 anni, a causa di una rara forma di leucemia, tra agonie e sofferenze atroci. Come tanti, troppi altri.
Si muore di pallone?
Hanno sperimentato su di noi. Non ci curavano, ci uccidevano. Vorrei sapere con quali ausili gli eroi contemporanei disputano 70 incontri l'anno.
Lei insinua.
Affermo, ma non ho le prove. Nonostante l'impegno di Guariniello, hanno nascosto tutto. Ai nostri tempi le punture le faceva chiunque e un minuto dopo, sentivi un mostro che ti sollevava e ti faceva volare.
Chi ha nascosto tutto?
Allenatori, calciatori, presidenti. Il sistema che ancora foraggia con le elemosine quelli capaci di non tradire. Gente che ogni mattina si alza con la paura e che continua a tacere anche se oggi, grazie agli 'aiutini' farmacologici o è una lapide con un'incisione o recita da vegetale.
Di chi parla Petrini?
Di quel piccolo uomo di Sandro Mazzola, che ha smesso di parlare al fratello Ferruccio. Di Picchio De Sisti, che nega l'evidenza nonostante la malattia. O del commovente Stefano Borgonovo. Uno che sta molto male, aggredito dalla Sla e che continua a sostenere che il pallone non c'entri nulla. Se non mi facesse piangere, verrebbe da ridere.
E invece?
Sono triste. Vedendo come sei e come potresti essere, persino peggio di ora, ti vengono mille domande senza risposte. Parliamo di gente che non ha respirato amianto o fumi in miniera. Ha inseguito una sfera e muore nell'indifferenza in una guerra non dichiarata. Non sono un dottore, ma non può non esserci una relazione tra le mie malattie e quelle di altri calciatori.
Prova rancore?
A volte li sogno. Con i loro sorrisi falsi. Le loro bugie. Vorrei cancellarli. Non ci riesco.
Lei fu tra i protagonisti del primo calcioscommesse, quello della primavera 1980.
E oggi succede la stessa cosa. Partite combinate, risultati compromessi, soldi gestiti dalla camorra, dalla mafia, dalla 'ndrangheta.
La 'ndrangheta forse uccise Bergamini. Lei ci scrisse un libro.
Che è servito per riaprire l'inchiesta, dopo più di 20 anni. Bergamini era l'ingenuo, il ragazzo pulito, smarrito in una vicenda più grande di lui. La scoprì, provò a uscirne e lo fecero fuori. Dentro la sua squadra, il Cosenza, c'era chi organizzava traffici di droga. Bergamini era l'anello debole e fu suicidato.
Nel suo libro lei ha intervistato anche il compagno di stanza di Bergamini, Michele Padovano, appena condannato per traffico di stupefacenti. Il padre del calciatore Mark Iuliano lo ha chiamato in causa.
La sua condanna non mi stupisce. A fine intervista, Padovano si alzò di scatto, mi mandò a fare in culo e provò a distruggere la registrazione. Sono sicuro che lui sappia tutto della morte di Denis. Tutto. Bergamini ne subiva l'ascendente. Del padre di Iuliano non so cosa dire, su Mark si raccontavano tante cose, non solo sulla sua presunta tossicodipendenza. Si raccontava che mandasse baci alla panchina rivolti a Montero, un'ipotetica 'prova' della sua omosessualità.
Dica la verità. Lei ce l'ha con la Juve, fin dal 1980.
Al contrario. La salvai. Nell' 80 giocavo con il Bologna. Bettega chiamò a casa di Savoldi e ci propose l'accordo. Tutto lo spogliatoio del Bologna, tranne Sali e Castronaro, scommise 50 milioni sul pareggio. Prima della partita, nel sottopassaggio, chiesi a Trapattoni e Causio di rispettare i patti: "Stai tranquillo, Pedro, calmati", mi risposero.
Tutta la Juve sapeva?
Certo. Rivedetevi le immagini, sono su Youtube. Finì 1-1. Errore del nostro portiere, Zinetti e autogol di Brio. Bettega ce lo diceva, durante la partita: "State calmi, vi faccio pareggiare io". La gente ci fischiava e tirava le palle di neve. Una farsa. Quando lo scandalo esplose, Boniperti e Chiusano mi dissero di scovare Cruciani e convincerlo a non testimoniare contro la Juve: se li avessi aiutati, loro avrebbero aiutato me. Fui di parola, incontrai Cruciani al cancello 5 di San Siro, ero mascherato. Una scena surreale. Lui accettò e la Juve si salvò dalla retrocessione. Ma alla fine pagai soltanto io.
Le è rimasta la possibilità di raccontare.
Neanche quella. Ho dato fastidio a gente potente. Mi hanno minacciato di morte e poi coperto con gli insulti. Per i Savoldi e i Dossena ero un bugiardo, per Rivera un pornografo. Se l'era presa perché lo descrivevo per quello che era, una fighetta. I miserabili sono loro. Mi impedirono di andare persino a parlare nelle scuole. Zitto dovevo stare, ma non ci sono riusciti.
E la scrittura?
Mi è rimasta solo quella. Il nuovo libro, Lucianone da Monticiano, è ancora su Moggi. Il mio compaesano. Uno che pur squalificato continua a ricattare e a fare il mercato di mezza Serie A. Ma non sarà l'ultimo.
Perché?
Mi dedicherò a ricordare mio figlio Diego. Morì a 19 anni di tumore, mentre chiedeva di vedermi e io ero in Francia, in fuga dai creditori. Non me lo sono mai perdonato. Gli farò un regalo. Proverò a sentirmi vivo. Sono distrutto e sofferente, ma non mollo. Vivere, ancora, mi piace.
Ci sarà tempo?
Non è detto. Penso sempre al giorno in cui ci sarà giustizia. Aspetto ma non viene mai.
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Dal sito www.violanews.com
16 aprile 2012 - di Roberto Vinciguerra
E' MORTO PETRINI, IL GRANDE ACCUSATORE DEL DOPING
Alle 5 di stanotte ha cessato di battere il cuore di Carlo Petrini, ex calciatore degli anni settanta (Campione d'Europa col Milan nel 1969), ma, soprattutto, grande scrittore di libri soprattutto di accusa verso la parte malata del mondo del calcio, ovvero sul doping, sulle scommesse illegali e sulle morti bianche (come nel caso del libro sulla assurda scomparsa di Donato Bergamini).
Carlo Petrini è passato alla storia come il primo "reo confesso" del calcio italiano. Nel suo libro "Nel Fango del Dio Pallone" riuscì a portare alla luce inquietanti risvolti di una parte del calcio che nessuno conosceva, ovvero facendo un duro esame di coscienza a partire da ciò che lui aveva fatto durante la sua carriera. Attraverso la sua esperienza personale ha fatto conoscere a milioni di persone le pratiche dopatorie e quelle legate alle scommesse nel calico professionistico, senza mai ricevere una querela per i contenuti dei suoi libri.
Negli annio scorsi aveva concentrato la sua attenzione letteraria verso il processo per doping che aveva visto protagonista la Juventus.
Il suo corpo, minato da diversi tumori, non è riuscito a superare l'ennesima difficile prova a cui la vita lo aveva sottoposto.
I funerali sono previsti a Lucca nella giornata di domani alle ore 14:30. |
Dal sito www.ilfattoquotidiano.it
16 aprile 2012
E' MORTO CARLO PETRINI, DENUNCIÒ LA CORRUZIONE E IL DOPING NEL CALCIO ITALIANO
L'ex calciatore è deceduto all'ospedale di Lucca a causa di un male incurabile. Aveva 64 anni, venne coinvolto nello scandalo scommesse del 1980, fu costretto a chiudere la carriera in anticipo e decise di svelare le storture del sistema scrivendo libri.
Attaccava in campo, e ha attaccato fuori, sino all'ultimo, per denunciare il doping che aveva rovinato tantissime vite. Compresa la sua. Carlo Petrini, ex calciatore di Roma, Milan e Torino, è morto questa mattina a 64 anni, nell'ospedale di Lucca. Era stato ricoverato sabato scorso nel reparto oncologico, in condizioni gravissime. Il tumore contro cui Petrini lottava da anni era diventato troppo forte. E ha sopraffatto un uomo già devastato da un glaucoma, che gli era costato la quasi cecità all'occhio sinistro e seri problemi al destro.
Probabilmente, il prezzo dei tanti farmaci dopanti che il giocatore aveva assunto durante la sua carriera. Quei medicinali, e quelle pratiche, Petrini le aveva raccontate in un libro, "Nel fango del dio pallone" (Kaos Edizioni, 2000), ritratto scioccante del calcio italiano tra gli anni '60 e '80. Un mondo in cui Petrini aveva vissuto da protagonista, nella Serie A dove giocava come attaccante. Cresciuto nelle giovanili del Genoa, nel 1968 approdò al Milan di Rocco, con cui (da riserva) vinse la Coppa dei Campioni. Poi diverse squadre, tra cui Torino, Fiorentina e Roma. Nell'80, inciampò nello scandalo del calcio scommesse. Si prese tre anni e mezzo di squalifica, poi ridotti due grazie all'amnistia dell'82. Ma la sua carriera era ormai compromessa.
Chiuso con il calcio, aprì una società finanziaria. Andò malissimo, e scappò in Francia. Sarebbe dovuto tornare in Italia per rivedere il figlio, morente per un tumore, ma non fece in tempo. Povero e malato, decise di raccontare la melma dietro i lustrini del campionato. "Iniezioni e flebo, vent'anni fa prendevamo di tutto: al confronto ormoni e creatina sono caramelle" la sintesi cruda delle sue denunce. Non solo sul doping. Petrini ha parlato spesso e molto di calcioscommesse. L'ultima accusa l'aveva lanciata poche ore fa, nel programma Le Iene: "Bologna-Juventus del 13 gennaio 1980 fu truccata, le due società si misero d'accordo e chi quel giorno non avesse accettato quell'accordo non avrebbe giocato".
Erano subito arrivate diverse smentite. Ma spesso le sue bordate venivano accolte da un imbarazzato silenzio. Nel 2001 pubblicò "Il calciatore suicidato", libro-inchiesta sulla misteriosa morte del calciatore del Cosenza Donato Bergamini. Ufficialmente un suicidio, di fatto un caso su cui i magistrati sono tornati a indagare, perché troppe cose non tornavano. Petrini nel suo scritto fu chiaro: "Bergamini venne ucciso dalla criminalità organizzata". Niente metafore, nei suoi libri. L'ultimo, "Piedi nudi", era uscito nel 2010. Qualche volta interveniva nelle radio, dalla sua Monticiano (Siena), dove si era ritirato da anni. Lo stesso paese di Luciano Moggi, da cui era tanto diverso. Petrini viveva in povertà, stremato da cinque interventi agli occhi e dal tumore. Oggi se ne è andato, ma rimarranno le sue parole. Come dita puntate, contro il pallone che non vuole vedersi dentro.
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Dal sito www.milannews.it
16 aprile 2012
IN RICORDO DI CARLO PETRINI
Aveva riconosciuto i suoi errori. I suoi sbagli. Aveva raccontato tanti perché, negli anni in cui cercava una luce in fondo al tunnel. Per sè e per gli altri. Carlo Petrini se n'è andato, oggi. A sessantaquattro anni, dopo un'esistenza fortunata ma tormentata e controversa. Ha avuto il coraggio, Petrini, di riconoscere i suoi errori. Venne squalificato per tre anni e mezzo, per calcioscommesse, nel 1980.
Poi accumulò debiti nei confronti di usurai, alla gestione di una società finanziaria, fatto che lo costrinse a rifugiarsi nell'anonimato al di là della Alpi, in Francia. Correva il '95, il suo nome tornò alla ribalta quando il figlio Diego, morente per un tumore al cervello, gli chiese di rivederlo dopo lunghi anni. Petrini disse no, anni dopo scrisse un libro di poesie su questa triste e straziante vicenda. Già, il nero su bianco. Petrini ne ha lasciato tanto, di inchiostro nei cuori e nelle menti dei posteri. Nel 2000, con la autobiografia "Nel fango del dio pallone", denunciò l'abuso del dopingg tra gli anni sessanta e settanta, accusando l'intero sistema calcio. Ed è proprio al doping, che in molti correlano la grave forma di glaucoma che gli ha procurato la quasi completa ciecità. Petrini ha anche indagato, in prima persona, sulla morte di Donato Bergamini e con Agroppi ed altri ex calciatori, ha aderito all'Associazione Vittime del Doping di Claudia Beatrice, figlia di Bruno Beatrice. Un uomo che, anche con documenti e documentari, fogli ed inchiostro, ha voluto andare avanti. Ha riconosciuto i suoi errori ed ha cercato di far sì che nessuno, dopo di lui, cadesse nuovamente in quelle tentazioni. Spesso, troppo spesso inascoltato, Carlo Petrini se n'è andato ieri. Figura per molti forse scomoda, controversa, discussa. Ma che ha saputo prendere la vita a schiaffi, a testa alta, con la forza di un uomo che voleva cancellare un passato difficile, affrontato con un sorriso beffardo. Lascia un grande vuoto, Carlo Petrini. L'augurio è che i suoi insegnamenti, i suoi consigli, le sue lezioni, non vadano inascoltati. Avrebbe voluto questo. |
Dal sito www.violanews.com
17 aprile 2012 - di Roberto Vinciguerra
FOLLA AI FUNERALI DI PETRINI: TRA I PRESENTI IL PM NARDUCCI
Si sono tenuti nel pomeriggio, a Lucca, i funerali di Carlo Petrini, ex giocatore e stimato scrittore, primo grande pentito del calcio italiano, in grado di fare emergere, attraverso i suoi scritti, tutti i retroscena sulle pratiche dopatorie e sulle scommesse illegali nel mondo del calcio professionistico.
Oltre la moglie Adriana ed i figli Barbara e Giancarlo, erano presenti alle esequie molte persone fra cui spiccava sicuramente la figura dell'ex PM di Calciopoli Giuseppe Narducci, che in passato ha dichiarato di essere un grande ammiratore di Carlo Petrini.
A dare l'ultimo saluto all'ex attaccante del Milan campione d'Europa nel 1969 c'erano, tra gli altri, anche alcuni ex compagni di squadra di Petrini come Kurt Hamrin, Romano Fogli e l'ex viola Claudio Bandoni, oltre ad altri ex giocatori come Paolo Stringara, Giovanni Zamboni e Dario Spagnoli.
Non sono passate inosservate le presenze di Donata Bergamini (sorella di Donato, il giocatore del Cosenza ucciso in circostanze particolari , che hanno indotto i magistrati a riapire l'inchiesta dopo 20 anni), Gabriella Beatrice (moglie di Bruno, il calciatore morto di leucemia a causa di pratiche mediche disumane, per le quali è stato ritenuto colpevole Carlo Mazzone) e Ivano Fanini (storico Patron dell'Amore&Vita, oggi considerato il simbolo della lotta al doping nel ciclismo).
Toccanti le parole pronunciate, al termine della funzione, dall'attore milanese Alessandro Castellucci, protagonista in passato della famosa piece teatrale "Nel Fango del Dio Pallone" tratto ed ispirato al best seller di Carlo Petrini.
Nonostante la decina di squadre in cui Petrini ha militato nella sua carriera, solo l'AS Roma ha partecipato al dolore dei familiari e dei cari attraverso una corona di fiori consegnata personalmente nella giornata di ieri dal D.G. giallorosso Franco Baldini.
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"Nei primi mesi dell'89 mi resi conto che non avrei potuto cavarmela con un semplice fallimento: fra i miei creditori, oltre alle banche, c'erano fior di mafiosi, ai quali dovevo centinaia di milioni. Una situazione drammatica non solo per me, ma anche per la mia ex moglie e i miei figli. Scappare all'estero fu l'unica idea che mi venne in testa, l'unica possibilità per mettere al sicuro me stesso e, indirettamente, la mia famiglia. Può un uomo lasciare sua madre, l'ex moglie e i figli in mezzo al casino di quasi 2 miliardi di debiti con banche e mafiosi, facendoli portar via le case dove abitavano senza dargli più una lira per vivere? Sì, io l'ho fatto, io ho fatto tutto questo. Anche perché non ero un uomo ma una caricatura, ero un uomo solo di età e solo perché avevo il caz*o, mentre il cervello ce l'avevo come quello di un ragazzino egoista e vigliacco che il sentimento e la responsabilità non sapeva neanche cosa fossero. Poi capitò un fatto che mi spaventò come un terremoto. La vista, all'improvviso, mi si annebbiò, e nel giro di qualche minuto diventai completamente cieco. Avevo un glaucoma agli occhi. L'occhio sinistro restò completamente spento. Quello destro si riaccese di una luce incerta, ero diventato mezzo cieco. Una sera di metà giugno '95, poco dopo le ore 20, telefonai a mia madre dalla solita cabina. Mi spiegò che i telegiornali, pochi minuti prima, avevano trasmesso un appello di Diego: mio figlio era all'ospedale, stava morendo per un tumore alla testa, voleva vedermi un'ultima volta. Telefonai a mio figlio Giancarlo, che era all'ospedale per stare vicino a suo fratello: «Papà, quando arrivi? Diego ti vuole salutare». La testa mi scoppiava, avrei voluto correre da mio figlio che stava morendo, ma avevo paura per me. Il sabato chiamai Giancarlo nel primo pomeriggio, mi disse che Diego era morto. Uscii dalla cabina, mi accucciai per terra e feci quello che da quand'ero piccolo non avevo mai più fatto: scoppiai a piangere. Due passanti si fermarono, mi chiesero se avevo bisogno di aiuto, dissi che ormai non avevo più bisogno di niente. Restai lì a piangere con la testa fra le mani. Non credo che mio figlio potesse avere un padre più vigliacco di quello che ha avuto, fino all'ultimo suo giorno di vita. E quel padre vigliacco sono io, che l'ho lasciato da solo anche davanti alla morte. Se Dio c'è, è un gran bastardo: si è preso un ragazzo di diciannove anni, e ha lasciato qui un essere come me." La sconcertante storia di Carlo Petrini, ex attaccante, tra le altre, di Milan, Roma, Genoa e Torino, raccontata nella sua autobiografia "Nel fango del Dio pallone". (Kaos Edizioni, anno 2000) |
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