Ha giocato anche con il Pro Cervignano (Dil.), il Livorno (B, C), il L.R. Vicenza (B, A), la Roma (A), la Sampdoria (A) e l'Alessandria (B).
Ha allenato l'Anconitana (C), l'Alessandria (C), la Casertana (C), il Trento (D, C1, C), il Bologna (B), ed è stato osservatore del Milan.
Quando c'erano da trattare dei premi partita, i compagni facevano riferimento a lui.
"Lo nomini e pensi al Cile, alle provocazioni di Sanchez, agli smaccati favoritismi dell'arbitro Aston e all'indegna gazzarra (con espulsioni sua e di Ferrini che costa all'Italia l'eliminazione ai mondiali '62. E forse è ingiusto. Questo mediano-terzino friulano, pur campionissimo di scopa e briscola, è stato un calciatore vero, solido e indispensabile per tutte le squadre in cui ha militato. Nel Milan è un'utilissima spalla di fuoriclasse poco dinamici come Sani e Rivera. I suoi cross precisi sono merce preziosa per i goleador Altafini e Barison.
Dopo aver vinto la Coppa dei Campioni è svenduto, trentunenne, alla Sampdoria. Inutile dire che quel lontano Cile-Italia 2-0 è la sua ultima apparizione in azzurro." (Dal dizionario del calcio italiano, Baldini & Castoldi, 2000)
Con la maglia del Vicenza, stagione 1957-58 (dal "Corriere dello Sport") |
Foto Archivio Luigi La Rocca |
(dalla "Gazzetta dello Sport" del 22 agosto 1959) |
6 novembre 1960, Juventus vs Milan 3-4
(per gentile concessione di Gianni Righetto) |
Mario David infila le scarpette al figlioletto |
(dalla "Gazzetta dello Sport" del 15 luglio 1961) |
(dalla "Gazzetta dello Sport" del 2 dicembre 1961) |
18 novembre 1962, Juventus vs Milan 1-0: David e Cesare Maldini con Omar Sivori |
Festa scudetto 1961-62, Mario David e Dino Sani con le signore |
22 maggio 1963, finale di Coppa dei Campioni: Milan vs Benfica 2-1, Mario David in azione (per gentile concessione di Renato Orsingher) |
Permesso di soggiorno in Brasile per la finale di Coppa Intercontinentale 1963 (per gentile concessione di Ivano Piermarini) |
16 ottobre 1963, Milan vs Santos 4-2 (Coppa Intercontinentale) |
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(da "Il Milan Racconta") |
Estate 1962, Mario David assieme a Cesare Maldini, Gigi Radice e Claudio Mantovani (Archivio "Gazzetta dello Sport") |
Figurina "Panini", 1962-63 |
Nereo Rocco con Mario David e Giovanni Trapattoni, 1962-63 |
Giorgia Salvador, moglie di Mario David
(dalla "Domenica del Corriere", 1962) |
Foto Archivio Luigi La Rocca |
(da "MilanInter" del 20 aprile 1964) |
Gigi Radice, Mario David, Toni Bellocchio e Nereo Rocco (di spalle), primi anni '70 (per gentile concessione di Antonella Bellocchio) |
Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org
MONDIALI 1962 - David: "Fummo vittime della propaganda"
La sfortunata spedizione di Santiago 62 raccontata da Mario David
1962, CILE. La qualificazione era stata facile. Per la rinuncia della Romania, era bastato eliminare Israele. L'Italia partì per Santiago sicura di poter diventare per la terza volta campione del mondo. Il CT «Giuanin» Ferrari aveva fatto ricorso a tutti gli oriundi, compresi i tre «angeli dalla faccia sporca» Maschio-Angelillo-Sivori, arrivati dall'Argentina, poi ancora Lojacono, infine i brasiliani Altafini (che ai mondiali in Svezia aveva giocato con la maglia carioca) e Sormani.
Altafini assicura che quella che in Cile è stata eliminata al primo turno, era una delle più forti nazionali italiane di tutti i tempi.
E allora? A ricordarci come andarono le cose ci pensa Mario David, che è rimasto nella storia del calcio come l'attaccabrighe del Cile. Il facinoroso.
«Sono d'accordo - racconta - era una Nazionale fortissima, anche per via degli oriundi. Tutti ci avevano inserito nelle prime quattro favorite eravamo certi, se non proprio di vincere il titolo, almeno di fare bella figura. Invece fummo eliminati subito, perché in Cile ne successero di tutti i colori e perché furono commessi un sacco di errori. Alla guida della Nazionale doveva esserci Helenio Herrera, che invece andò poi in Cile come CT della Spagna. L'allenatore federale Giovanni Ferrari, all'ultimo momento, venne affiancato dal presidente della Spal Paolo Mazza. Herrera però avrebbe dovuto essere sostituito con Nereo Rocco, perché il Milan era campione d'Italia e la Nazionale era formata con il blocco rossonero. Mazza e Ferrari avevano tacitamente accettato le decisioni federali. Poi Rocco, che era già in Brasile per conto del Milan (tornò infatti con "Bongo-Bongo" Germano: n.d.r.) commise l'imprudenza di scrivere una lettera a Gianni Brera in cui sparava a zero su Mazza e Ferrari. Brera gliela pubblicò su "Il Giorno", successe il finimondo. Quelli che erano stati criticati da Rocco posero l'aut-aut, dissero: se viene lui ce ne andiamo via noi».
Rocco avrebbe imposto la sua personalità. Forse con lui in panchina le cose sarebbero andate meglio, per lo meno si sarebbe evitato di fare una nazionale all'insegna dei compromessi. Ferrari era offensivista, Mazza difensivista e il capo spedizione Mino Spadacini dava retta soprattutto al direttore della «Gazzetta dello Sport» Gualtiero Zanetti. «Ma la comica fu che i dirigenti federali non riuscirono a rintracciare Rocco in Brasile. Nereo venne ad aspettarci allo scalo di San Paolo con le valigie, convinto di potersi aggregare alla comitiva. Appena lo vedemmo arrivare ci facemmo incontro noi del Milan per avvisarlo io e Maldini gli dicemmo: "Paron non si faccia nemmeno vedere, è scoppiato un casino della Madonna", e gli raccontammo tutto. Rocco era stato accompagnato all'aeroporto da Dino Sani ohe si fece un sacco di risate. Mazza e Ferrari insistettero nella loro intransigenza, Spadacini chiamò Rocco in una saletta, gli comunicò la decisione e il "Paron" se ne rimase a San Paolo mogio mogio. Noi ripartimmo alla volta di Montevideo. L'aereo perdeva anche gli alettoni, ricordo che il povero Aldo Bardelli se la faceva addosso dalla paura. Dovemmo passare la notte all'aeroporto di Buenos Aires. Era il primo volo dell'Alitalia a Santiago del Cile. Me lo ricordai per un pezzo».
Sentiamo invece Giovanni Ferrari, l'allenatore della Nazionale, che cos'ha da portare per il suo contributo al revival.
«Sia chiaro - premette - che se l'Italia fu eliminata in Cile, non è colpa mia. Lo dissi allora e lo ripeto oggi. Io non contavo niente. Quando mi venne comunicata la decisione di affiancarmi Mazza, risposi che con me Mazza non avrebbe litigato. In parole povere avrei fatto decidere a lui. Dissi a Spadacini che sapevo benissimo che Mazza non era certo venuto in Cile per ascoltare il sottoscritto, e sapevo pure quali erano i suoi rapporti con Giuseppe Pasquale. E poi io non volevo bruciarmi: l'avevo detto anche al dottor Umberto Agnelli, quando mi aveva affidato la Nazionale: scaduto il mio mandato volevo tornare al settore tecnico. Cioè mi consideravo un istruttore di Coverciano prestato temporaneamente alla Nazionale. In Cile si fece quello che volle Mazza».
Ci può raccontare perché sparì dalla scena Herrera e dire la verità sul suo litigio con Corso? A Tel Aviv, nel primo tempo, l'Italia perdeva due a zero. L'artefice della riscossa era stato Mariolino, il CT di Israele lo ribattezzò «il piede sinistro di Dio».
«Herrera fu messo da parte per le, come si chiamano? Anfetamine. Corso lo mandai al diavolo perché se lo meritava. Lo convocai a Coverciano per un allenamento, ma gli dissi che avrebbe fatto la riserva. Rispose che se era per non giocare se ne tornava a casa. Io, quando parlo della maglia azzurra, piango. Lui, a diciannove anni, non accettava di fare la riserva. Persi le staffe e gliene dissi di tutti i colori. Se rispose? Ma se non sapeva nemmeno parlare! Spero abbia imparato adesso. Nel premondiale, mentre eravamo in ritiro, andammo a San Siro a vedere Inter-Cecoslovacchia. Segnò un bel gol e passò sotto la tribuna e mi fece il famoso gesto con l'avambraccio. Poi Moratti mi mandò una lettera di scuse».
Nello scalo di Rio de Janeiro, Mazza confidò ai giornalisti che avrebbe fatto due squadre perché riteneva i giocatori italiani troppo fragili, e quindi non in grado di disputare due partite in tre giorni.
Racconta Ferrari: «Il problema si poneva soprattutto per Rivera, già definito abatino. Ricordo che ne discutemmo con i giocatori. E proprio Maldini, saltò su a dire che Gianni non era assolutamente in grado di giocare due partite di fila. Se lo diceva lui che era suo compagno di squadra, bisognava credergli. Quella fu l'unica discussione alla quale partecipai. Non sono invece al corrente di quello che ha poi raccontato Sivori, l'ho appreso dai giornali».
Sa tutto, però David, testimone oculare: «Fui testimone di quello che ha raccontato Sivori, perché ero nella stessa camera di Omar. Eravamo alloggiati all'Accademia dell'Aeronautica cilena, due per camera, e con il bagno in comune per due alloggi. A fianco di noi, non c'era la stanza di Mazza, come hanno poi scritto i giornali, c'erano Buffon e Radice. La camera di Mazza era proprio sotto di noi, e si sentiva tutto, perché i pavimenti erano in legno. Avevamo fatto 0-0 con la Germania, dovevamo incontrare il Cile. Verso mezzanotte nella stanza del presidente della Spal si decise il destino dell'Italia. Assieme a Mazza, c'erano Zanetti e Annibale Frossi con Peppino Bigogno, che fungevano pure da osservatori. Fu deciso di schierare un'altra formazione contro il Cile. Chiamammo i compagni, vennero tutti in camera nostra, a sentire cosa si decideva nella stanza sotto. A me, l'ingresso in squadra contro il Cile l'aveva annunciato proprio Zanetti. L'avevo incontrato sulle scale della tribuna dopo la partita con la Germania, e mi aveva detto: forza che adesso tocca a te. Pur andando contro il mio interesse, gli dissi subito che, secondo me, era assurdo cambiare la squadra che contro la Germania era andata bene».
Lo zero a zero con la Germania è stato interpretato in vari modi, Brera ha scritto che l'Italia doveva vincere, che Sivori si era mangiato una palla-gol di Rivera, che Sepp Herberger aveva giocato con due liberi.
«Mi convinco sempre di più che la critica italiana analizza la partita in base al risultato, non secondo quello che è successo in campo. Szymaniak ogni tanto arretrava a chiudere, ma è normale. Anche Bettega spesso è alle spaile di Scirea, eppure non credo si possa sostenere che la Juventus gioca con due liberi. La Germania era una bella squadra (oltre a Szymaniak vennero poi in Italia Haller, Brulls, e Schnellinger) occasioni ne avemmo noi come loro. E il pareggio fu giusto».
Poi contro il Cile si cambiò la squadra per sei undicesimi, si scatenò Lionel Sanchez, successe il finimondo.
«Il bello che ancor oggi si ricordano i pugni del Cile. Ma quali pugni? Noi non li abbiamo dati, li abbiamo presi. Sanchez ruppe il naso a Maschio, a me rifilò un cazzotto. Il povero Ferrini aveva tentato di tirare un pedatone a Sanchez, ma non l'aveva preso. Quindi noi italiani fummo le vittime, non certo gli aggressori».
Prende la parola Ferrari: «Io ero già stato in Cile per le questioni logistiche assieme all'addetto stampa della Lega, Gigi Scarambone, abilissimo a curare le pubbliche relazioni. Aveva distribuito distintivi e gagliardetti, si era fatto amici tutti i cileni. E anche l'accoglienza all'aeroporto era stata cordiale. Poi una sera, a Santiago, seppero dal figlio dell'ambasciatore a Roma che un giornale fiorentino aveva scritto cose antipatiche sul Cile, descritto come un paese di morti di fame e tirando in ballo le prostitute minorenni. Lo scandalo venne immediatamente ripreso da 21 stazioni radio TV. Ci inimicammo tutto il Cile, in pratica non potemmo più uscire dal nostro ritiro, li avevamo tutti contro».
Si ebbe l'impressione che i cileni sfruttassero ad arte l'inchiesta che Corrado Pizzinelli aveva pubblicato su La Nazione di Firenze e Il Resto del Carlino di Bologna e i reportages di Antonio Ghirelli sul Corriere della Sera perché eravamo nello stesso girone del Cile e dovevano pur farci fuori in qualche modo. Per lo stesso motivo avevano orchestrato una campagna di stampa contro l'Italia che schierava gli oriundi. Sanchez provocò Maschio dicendogli: «Tu che ci fai qui? Dovresti essere a Rancagua, dove gioca l'Argentina». Mazza fu sul punto di sacrificare gli oriundi, però disse: e se poi perdiamo dalla Germania, cosa dicono in Italia? Sentiamo i vostri ricordi.
Ferrari: «A me meravigliò la reazione di Maschio che nel campionato italiano era un tipo tranquillo e non reagiva mai. Non me lo sarei aspettato, non l'ho mai capito bene».
David, aggiunge: «Certo, a loro la provocazione faceva gioco e faceva gioco anche ai tedeschi, la cui colonia a Santiago era molto più nutrita di quella italiana. Al ritorno in Italia andai a leggermi l'articolo di Ghirelli, era bellissimo. Faceva del colore, come si può fare descrivendo Napoli. Ma del Cile non raccontava solo le cose brutte, metteva in risalto anche quelle belle. Gli articoli di Ghirelli e Pizzinelli furono rilanciati in Cile dalle agenzie di stampa tedesche, che proprio per la strumentalizzazione di cui dicevo riportavano i brani che servivano alla loro causa, solo le frasi contro i cileni. Brera ha scritto che i dirigenti italiani avevano rifiutato un arbitro spagnolo ritenuto amico dei cileni, ma non lo so. So soltanto che Cile-Italia fu diretto da Aston, che lo stesso Brera ha poi definito una "ineffabile carogna inglese" e io sono perfettamente d'accordo con lui. Ho letto in un'intervista di Altafini al Corriere dello Sport, che sarei stato io a scatenare la baruffa in campo. Si vede che quel giorno José era ubriaco, e magari si era sbronzato perché non doveva giocare».
Appunto, Sivori racconta che in quella famosa notte, avevate sentito di Sormani centravanti. Pare che poi si sia impuntato Spadacini dicendo che per battere il Cile i gol di Altafini erano indispensabili.
«Secondo me tutto è nato da un equivoco, provocato dalla vittoria della Nazionale B contro l'Ungheria a Bari mentre la Nazionale A aveva vinto contro il Belgio. Mazza si era persuaso di avere due nazionali altrettanto forti e quindi di poterle alternare. Noi del Milan avevamo vinto il campionato e alla grande, quindi la soluzione più logica sarebbe stata quella di puntare sul blocco del Milan. Ma la scelta allora avveniva in base a simpatie e antipatie. In porta del Milan c'era Ghezzi, ma per il Cile venne scelto Buffon. Si era poi fatto male Trapattoni e Radice, che giocava al mio fianco come terzino, era stato spostato nella mediana. Contro la Germania, nel blocco del Milan venne inserito Losi, e tutto questo era assurdo. Anche ammesso che Losi fosse più bravo di me (ma non lo era) dovevo essere preferito io che ero affiatato con gli altri difensori. Ricordo che Sivori era incavolato perché non gli avevano fatto portare dietro il suo massaggiatore personale, Spialtini. Se ne stava tutto il giorno in camera con i piedi a bagno in una bacinella piena di tintura di iodio e l'immancabile sigaretta in bocca. Quella notte captammo che avrebbe giocato Sormani e rammento che al momento del pranzo gonfiando il petto Jose disse: "Peccato, perché oggi mi sentivo in gran forma". Era una semplice battuta, ma l'andarono subito a riferire a Mazza, che la prese sul serio, si avvicinò a Sorniani che era già a tavola per comunicargli che non avrebbe più giocato».
Racconta con esattezza quello che avvenne sul campo, in quella tragica partita.
«Te l'ho detto: le buscammo e facemmo la figura di quelli che menano. Il famigerato Sanchez ruppe il naso a Maschio e l'arbitro non gli disse nulla. Mandò invece via Ferrini che tentò di vendicare Maschio, tirando un pedatone a Sanchez ma senza colpirlo. Io intervenni duro su Sanchez che non voleva mollare la palla che gli era stata passata dal portiere Escuti e la teneva con le due gambe. Per colpire la palla, colpii anche lui. E lui rialzandosi, mi mollò un cazzotto, ma l'arbitro fece finta di nulla. Dopo feci un'entrata a gamba tesa su Sanchez ina in azione di gioco e lo colpii alla spalla, però lo spudorato Aston mandò via anche me. Rimasi a vedere la partita dal sottopassaggio e ti posso assicurare che anche in nove avremmo resistito se nel finale (Ramirez e Toro segnarono negli ultimi minuti) Mattrel non avesse preso due gol da pollo. Losi dice che poi l'Italia batté la Svizzera per 3-0 con la squadra che aveva pareggiato con la Germania a dimostrazione che quella era la formazione giusta, ma quella, ormai, era una partita che non contava più: eravamo già stati eliminati, tant'è vero che fecero esordire il giovane Bulgarelli per lanciarlo in campo internazionale».
Il Cile di Sanchez ti costò caro. Uscisti per sempre dalla Nazionale.
«Non so cosa successe al ritorno in Italia perché rimasi in Sud America con il Milan. Ma mi aspettavo di diventare un capro espiatorio. Non pensavo però di essere presentato come un provocatore. Ricordo che vinsi una causa con L'Espresso sul quale Manlio Cancogni mi aveva additato al pubblico disprezzo. Fu facile aver ragione, perché nella foto si vedevano sulle maglie i numeri undici: quindi ad azzuffarsi con Sanchez era stato Menichelli, non il sottoscritto. L'avvocato Enrico Sbisà della Lega, mi fece dare un milione e qualcosa. Offrii la cena e facemmo pace, ma l'etichetta del Cile non me la sono più levata di dosso. Sarebbe ora di ristabilire la verità, una volta per sempre. Avevo esordito in Nazionale a Vienna, nell'ultima partita di Foni, ma dopo Santiago venni messo in disparte, bollato con quel marchio. E almeno avessi menato Sanchez! Forse si confondono con il cazzotto di Pascutti in Russia e affibbiano tutto a me!».
Cos'altro ricordi di quell'avventura in Cile? E come ricordi il Cile?
«Del Cile non vedemmo molto perché ci limitammo a fare un salto a Rancagua, a vedere Argentina-Ungheria. Quindi conoscemmo solo Santiago che è una grossa città e come tutte le metropoli ha cose belle e altre meno belle. Di fatti curiosi, o meglio sconcertanti, ricordo che un giorno Mazza chiamò Maldini, Buffon, Radice e il sottoscritto e ci disse: ragazzi, se avete bisogno facciamo venire delle ragazze qui al centro. E ricordo anche che Pascutti appena sentì dire che arrivavano le ragazze si precipito già dalla camera in pigiama...» |
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La scandalosa rissa di Cile Italia 2-0 |
Giovanni Ferrari, CT dell'Italia 1962 |
Articolo di Stefano Omacini, Venezia
IL "CASO DAVID"
L'avvocato Sergio Campana, presidente dell'Associazione Italiana Calciatori, nell'editoriale de "Il Calciatore (Organo dell'AIC - n. 10 dicembre 2004) ebbe a scrivere: ". mi viene in mente un'altra mia personale iniziativa di qualche anno addietro, a riguardo dei frequenti 0-2 a tavolino comminati a carico delle società per la famosa responsabilità oggettiva: bastava che un tifoso lanciasse una monetina e colpisse un giocatore della squadra avversaria perché scattasse la sanzione. Allora si moltiplicavano i casi di giocatori sicuramente in grado di riprendere il gioco e sollecitati da compagni, allenatori o massaggiatori a rimanere a terra. Resta nella storia l'episodio riguardante il mio amico Mario David, che in una partita del Milan contro il Venezia, a Sant'Elena, fu colpito alla testa, si fa per dire, da una mini bottiglietta vuota di plastica. Quella volta fu palese l'invito di Gipo Viani al giocatore di farsi portar fuori in barella, per guadagnare una sicura vittoria a tavolino. Guarda caso, introdotto il principio, da me auspicato, che non valeva più l'automatismo e che doveva essere rigorosamente dimostrata l'impossibilità del giocatore colpito di proseguire la gara, non è più accaduto un episodio del genere.".
La memoria di Sergio Campana andava a rinverdire quanto accadde più di quarant'anni prima, in occasione della prima giornata di ritorno del torneo di serie A '62-'63, la domenica del 20 gennaio 1963, al 61' di un incontro passato alla storia del calcio italiano come la "partita della bottiglietta", in ragione del citato episodio che costituì la ragione della sconfitta a tavolino del Venezia. Erroneamente, in seguito, il provvedimento del Giudice sportivo è stato considerato come la prima applicazione in assoluto della regola della responsabilità oggettiva.; e a tutt'oggi, molti non si richiamano a un antefatto molto rilevante che inficia tale considerazione. Il doveroso riferimento deve ricondurci a circa 10 anni prima (10 maggio 1953), giorno in cui a Udine, in occasione di un Udinese-Bologna, il terzino Giovannini venne colpito da un sasso. La Lega sentenziò lo 0-2 a favore del Bologna, allora allenato da Gipo Viani. Fu proprio il tecnico veneto a perorare la causa della sua squadra.
Certamente a questo primo episodio in ordine cronologico mancò la vasta eco mediatica suscitata dal caso David, apparso fin dall'inizio alquanto dubbio e delineatosi per quello che fu solamente a distanza di molti anni. Una citazione, su tutte, merita questo spazio introduttivo, per far sintesi interpretativa di quell'evento: Roberto Giusti (I racconti del Centenario - Me lo ricordo bene - Ed. Ve-Sport dic. 2007) ha scritto: "Tre anni fa incontrai Trapattoni e gli chiesi un favore: «La prego - dissi - sono passati 40 anni ormai, me lo può confessare: è vero che David simulò tutto quanto e che fu una clamorosa ingiustizia?». Mi rispose: «Guardi, me lo ricordo perfettamente; fu uno scandalo, un'autentica truffa, sicuramente, sicuramente.....me lo ricordo bene»". Inutile far menzione che Giovanni Trapattoni fu uno dei protagonisti, in campo, di quel Venezia-Milan.
La sicurezza del Trap al riguardo non ha ovviamente ancor oggi riscontri oggettivi che possano suffragarla con valenza probatoria, ma una rilettura attenta di quanto accadde e un approfondimento documentale - motivati dall'unico spirito ragionevolmente giustificabile, quello di una serena ricerca della verità - orientano fortemente a ritenere che fra i tanti nomi di persone a qualsiasi titolo coinvolti nella vicenda, parecchi sono quelli di protagonisti in negativo di un atto di ingiustizia sportiva.
Tornando a una rivisitazione di quel pomeriggio sportivo, è conveniente riportare integralmente il racconto di Adriano De Grandis pubblicato nel libro ufficiale del centenario dell'attuale Ssc Venezia, erede della fallita Ac Venezia (Un secolo di Calcio Venezia, cap.9, pag. 114: Arrivano i Beatles, se ne va il Venezia - Le dieci partite che sconvolsero il Venezia - I Antichi Ed. Venezia, 2007). Eccolo dunque, un testo scritto con verve di tipo giornalistico, sicuramente efficacissimo nel riportare gli "umori" degli sportivi veneziani di allora:
Una bella giornata di sole. L'inverno c'è, ma non si sente. Il Venezia non c'è, ma si spera di vederlo. Siamo messi malissimo in classifica: penultimi con la Samp, di peggio ha fatto solo il Palermo. Una bella giornata di sole, ma pioverà. Qualcosa di solido, mica di liquido. Una bottiglietta mignon, mica un meteorite. Anche se l'effetto sembrerà più figlio del secondo oggetto che del primo. Cadrà in testa a un giocatore, un lancio di balistica precisione. Tra la folla. Ma non corriamo troppo. Si va a Sant'Elena, la carovana di tifosi procede spedita. Poca allegria, poca speranza. E poi c'è il Milan. Grandi nomi: Rocco, Ghezzi, Maldini, Trapattoni, Radice, Mora, Rivera. E David. Ma classifica un po' fragile, lontano da Juve e Inter. C'è chi si consola con la statistica: il Milan, un Milan assai migliore, un Milan da scudetto, l'anno scorso qui ha perso. C'è aria di bis, ma anche il Venezia, l'anno scorso, era assai migliore. Però il Milan sembra portare bene: all'andata, prima giornata, a San Siro finisce 3-3. Sembrava un buon inizio. Invece era già quasi la fine. Bubacco, De Bellis, Ardizzon; Grossi, Carantini, Frascoli; Azzali, Tesconi, Mencacci, Raffin, Bartù. L'allenatore è Quario. L'arbitro è Lo Bello, mezzo principe e mezzo dittatore del fischietto. Sant'Elena spalanca le porte ai tifosi e alla speranza, ma Bubacco spalanca la rete a Rivera: un gol bellissimo, al volo, di quelli che diresti occasionali, fortunosi, ma il piede di Rivera obbliga anche a sottoscrivere la volontarietà di simili segnature. Sugli spalti è lo sconforto: a 8 anni forse molte cose della vita sono lontane, ma il gol di Rivera, nella sua fulminea bellezza, mi fece capire che con gli dei hai poche chances. Però anche nell'Olimpo, a volte, ci si addormenta. E nella ripresa il Venezia sembra subito più sveglio: Mencacci sfiora due volte il pareggio, sul secondo tiro è sfortunato, sul primo decisamente più brocco. Poi lo stadio si ferma, ammutolito. David cade improvvisamente a terra: un piccolo oggetto sembra averlo colpito. Si tocca la testa, una scena inedita, sicuramente spiacevole. C'è silenzio: a quel tempo nessuno gridava, fortunatamente, devi morire. Erano ancora giorni nobili, di rispetto, di stadi accoglienti, di persone tranquille. Però una bottiglietta, piccola, quasi introvabile in mezzo all'erba, volata dalla zona dei "popolari", atterra sul ciuffo di David. Che adesso sta disteso. Ma non sembra una cosa grave. Il Milan vince 1-0, David è un ragazzo serio: si rialza. Due minuti eterni. Ma David si rialza. Cesarone Maldini lo chiama in mezzo al campo. Si ricomincia: anche Lo Bello dice che tutto è a posto. Poi si sa: le cose e le persone cambiano nella vita. Tre minuti dopo il Venezia pareggia. Con merito. Punizione di Mencacci, Grossi di testa, 1-1. A mio padre sembra quasi esplodere la gola dall'urlo. Già allora io ero, al contrario, compassato: mi limito a registrare, direi quasi giornalisticamente, il giusto pareggio. A questo punto entra in scena Viani, uno di quegli uomini che si direbbe abbiano inventato il calcio. Dice qualcosa a David. Poi, accompagnati dal massaggiatore, spariscono negli spogliatoi. Trauma da bottiglietta, due punti di sutura, riflesso ritardato. Sull'1-0 si può anche star bene, sull1-1 la salute comincia a vacillare. Milan in 10, poi anche in 9 (espulso Pivatelli), Milan sconfitto: succede al 43', Azzali crossa, Raffin non ci arriva, Mencacci sì, 2-1. Come nella stagione precedente. Ma è un 2-1 fittizio. Il Milan presenta ricorso, a nulla vale l'osservazione di un David contuso irreparabilmente soltanto alla distanza. Il giudice e tutti i successivi organi giudicanti danno ragione al Milan, che rispetto al Venezia ovviamente è più potente politicamente. Il 2-0 per i rossoneri diventa la prima applicazione della responsabilità oggettiva: finirà trent'anni dopo quando il massaggiatore del Napoli Carmando convincerà Alemao a restare a terra, a Bergamo. In mezzo ci stanno tanti stupidi sugli spalti e tanti furbi in campo. Da Sant'Elena la folla esce cantando, sembra quasi la ripartenza per un girone di ritorno più caloroso. Ma lo schiaffo della sentenza brucia la risalita e ghiaccia lo spirito: a fine stagione si torna in serie B.
Dopo la proposizione di questo testo, che si caratterizza per una piacevole lettura e per la forza rievocativa della testimonianza di Adriano De Grandis, appare opportuno farne seguire un secondo, la cui fonte (Roberto Giusti - I racconti del Centenario) è già stata più sopra citata:
Quella domenica al Penzo c'era tanta, tantissima gente, tutti stretti, così tanto che mio padre, poiché rischiavo di non vedere niente, mi portò là davanti, sì proprio incollato alla rete di recensione, ai popolari centrali. Eravamo sotto di un gol, cominciai a soffrire pensando che mai saremmo riusciti a pareggiare. Poi d'un tratto, esattamente giuro proprio davanti a me, vicino alla linea di fondo campo David è a terra per una botta mi sembra presa ad una caviglia. Il massaggiatore in tuta nera lo sta finendo di medicare quando da dietro di me piove una bottiglietta di quelle piccole di plastica, di quelle che i grandi compravano dai venditori di bibite che giravano con grande difficoltà negli spalti. La bottiglietta, la vedo ancora oggi benissimo, arrivò sotto la spalla sinistra di David che a quel punto abbassò il capo spaventato dall'idea di essere raggiunto da chissà che! Nulla, non successe più nulla e allora proprio quando stava per alzare il braccio per far rientro in campo sentii un urlo tra il triestino e il venexian: "Sta' zo, sta' zo!". David allora si accucciò toccandosi la testa; il gioco fu fermato, l'arbitro e il segnalinee fecero capannello con tanti giocatori rossoneroverdi tutti a confabulare. Poi David, sorretto dal massaggiatore, facendo una specie di finta zoppia, si recò negli spogliatoi tra fischi e ululati. Da quel momento, quando riprese il gioco, il Venezia diventò una furia pressando all'inverosimile la squadra di Gipo Viani. 1 a 1 poi 2 a 1, Ghezzi che rotolava in porta col pallone.
Il confronto fra le due testimonianze porta ovviamente in luce elementi di diversità che, seppure non sostanziali nella rilettura complessiva dell'accaduto, sono comunque meritevoli di un tentativo di puntualizzazione. I convincimenti che con ogni verosimiglianza possono trovare credito maggiore sono questi: che David abbia subito un infortunio di gioco e che durante la fasi in cui è stato assistito dallo staff medico del Milan sia stato raggiunto al capo da una bottiglietta di bevanda alcoolica lanciata dal settore "popolari" (la cui rete di recinzione distava dal luogo dell'incidente, orientativamente, 10-12 metri (questo dato può essere desunto, da chi ha pratica dello stadio di Sant'Elena, dall'osservazione della foto tratta dalla pag. 17 de Lo Sport Illustrato dell'epoca); che il punteggio fosse ancora di 1-0 in favore del Milan; che ci fu un intervento sul luogo dell'accaduto del direttore sportivo Giuseppe Viani, uno dei protagonisti del precedente analogo, più sopra citato, di Udinese-Bologna del 1953.
In seguito, negli spogliatoi dello stadio di Sant'Elena, Mario David ebbe attorno veramente molti medici: in primis il dottor Roberto Terragni, medico sociale del Milan, e il professor Cesare Galeazzi, dirigente-accompagnatore rossonero e medico a sua volta; costoro sollecitarono nel post-partita l'ispezione dell'arbitro Concetto Lo Bello, che a sua volta invitò, in quanto amico e collega, il dottor Piergiorgio Bertotto, che ebbe a evidenziare, come testimoniò, una "lievissima contusione superficiale". Quest'ultimo era presidente di Comitato Veneto di organismo federale calcistico, nonché componente della Consulta direttiva del calcio Venezia, retto allora dal Commissario Lorenzo Bettini. Tanti medici, dunque, meno quello ufficiale del Venezia, Giuliano Bruscagnin, all'epoca quasi 36enne (diventerà in seguito Primario Ospedaliero e Presidente dell'Ordine dei Medici della Provincia di Venezia), il quale bussò ripetutamente allo spogliatoio del Milan, ma non venne fatto entrare.
Un consulto medico fu invece richiesto dai dirigenti del Milan, a Padova, al prof. Ferdinando Vigliani, assistente dell'illustre prof. Casuccio, traumatologo, ed è da ritenersi che proprio il suo referto dovette costituire il supporto fondamentali alle tesi degli avvocati del Milan di fronte al Giudice sportivo, l'avvocato Alberto Barbè. Due anni prima, il famoso civilista novarese era diventato Giudice sportivo unico, carica che esercitò per 27 anni, fino al luglio '88; schivo (di lui si ricordano ben poche interviste), una specie di Enrico Cuccia, Barbè ebbe a commentare a caldo dopo la sentenza che applicava l'articolo 8 del regolamento di giustizia sportiva: "Era inevitabile!". Oltre allo 0-2, al Venezia toccarono un'ammenda di 1 milione di lire e una "lettera di diffida". Era il 23 gennaio 1963.
Va ricordato che Mario David, il giorno dopo la partita, parlò di due punti di sutura sul cuoio capelluto e Viani disse (smentito da testimoni) di aver incontrato David solamente negli spogliatoi. Il 30 gennaio il Venezia presentò ricorso alla Commissione Giudicante della Lega Nazionale, presieduta dal dottor Campana. Nelle venti pagine scritte dagli avvocati Giovanni Pavanini, Lorenzo Bettini (commissario straordinario), Giovanni Cesàri venivano toccati in sequenza questi sei punti: efficienza causale dell'oggetto; mancanza di accertamento; mancanza di referto medico attendibile; prova della manovra di simulazione del Milan; problema della responsabilità effettiva.
A Milano, il 15 febbraio furono ascoltati in udienza Lorenzo Bettini, l'arbitro Lo Bello, il guardialinee Caldirolo (che disse di una bottiglietta di vetro plastificato) e l'avvocato Armando Radice del Milan per le controdeduzioni. Oltre all'avv. Campana, la commissione comprendeva i membri Giannetti e Marchesini (supplente). Il 16/2 la Commissione prese tempo e rinviò di una settimana il giudizio, riunendosi e decidendo il 22 febbraio, sentenza che fu diramata il giorno dopo (23 febbraio 1963): fu cambiata l'ammenda (passata a mezzo milione) e fu revocato il provvedimento di diffida: aspetti marginali, perché venne confermato lo 0-2.
Al Venezia non restò che l'inutile ricorso in appello alla CAF (Commissione di Appello Federale). Dopo quel 20 gennaio, la stagione sportiva di Milan e Venezia seguì quell'anno destini diametralmente opposti: per i rossoneri il memorabile trionfo di Wembley, a quattro mesi di distanza (mercoledì 22 maggio), con la vittoria della prima Coppa dei Campioni (con un onorevole terzo posto in campionato, a 2 punti dalla Juventus e a 6 dall'Inter campione); la retrocessione per i neroverdi, a 6 punti dalla quota salvezza raggiunta dal Genoa, quartultimo.
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Dal sito www.sportal.it - 26 luglio 2005
ADDIO A MARIO DAVID
E' morto Mario David. L'ex terzino della Nazionale e del Milan, società per la quale lavorava anche come osservatore, era da tempo malato ed è deceduto all'ospedale di Monfalcone (Gorizia) all'età di 71 anni.
In maglia azzurra David aveva partecipato ai Mondiali in Cile nel 1962; in carriera ha giocato nel Livorno, nel Lanerossi Vicenza e nella Roma, per poi passare al Milan e concludere alla Sampdoria.
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Dal sito www.notizie.msn.it - 26 luglio 2005
Milan: morto ex terzino Mario David
Osservatore rossonero disputo' in azzurro i Mondiali in Cile
(ANSA) - GRADO (GORIZIA), 26 LUG - E' morto stamani all' ospedale di Monfalcone (Gorizia) a 71 anni Mario David, ex terzino della Nazionale e del Milan. Per la societa' rossonera David, che in maglia azzurra aveva partecipato ai Mondiali in Cile nel 1962, lavorava ancora come osservatore. David, malato da tempo, lascia la moglie e tre figli. A livello agonistico ha giocato nel Livorno, nel Lanerossi Vicenza e nella Roma, per poi passare al Milan e concludere la carriera alla Sampdoria.
Dal sito www.acmilan.com
L'ADDIO A MARIO DAVID - 26 luglio 2005
GORIZIA - E' morto questa mattina all'ospedale di Monfalcone (Gorizia), all'età di 71 anni, Mario David, ex terzino della Nazionale Italiana e del Milan, società per la quale lavorava anche come osservatore. David aveva difeso i colori rossoneri dal 1960 al 1965, partecipando anche al primo trionfo rossonero in Coppa Campioni a Wembley. In maglia azzurra aveva partecipato ai Mondiali in Cile nel 1962. David, malato da tempo, lascia la moglie Giorgia Salvador e i figli Fabrizio, Luca e Alessandra.
RIVERA, ALTAFINI E MALDINI RICORDANO MARIO DAVID - 27 luglio 2005
MILANO - Amici rossoneri buongiorno e benvenuti nella nostra rassegna stampa. L'addio a Mario David, Gianni Rivera, Josè Altafini e Cesare Maldini lo ricordano attraverso le pagine della Gazzetta dello Sport.
Così Gianni Rivera, che debuttò insieme a lui a San Siro in Milan-Catania, 1960: 'Era un generoso, uno che non tirava mai indietro la gamba. Aveva un carattere forte e in campo dava tutto per vincere. In poco tempo diventò un elemento importante del Milan di quei tempi'.
Queste il ricordo di Josè Altafini: 'Era bravo e non solo come difensore. Alla Roma faceva il mediano, logico che da lui arrivassero tanti assist, compreso quello che permise a Rivera di smarcarmi per il secondo gol nella finale di Wembley contro il Benfica. Era un grande giocatore, ma anche una grande persona'.
Infine Cesare Maldini: 'Ricordo la grinta, la serietà, la passione sia da giocatore che da allenatore e anche da direttore sportivo. Amava lavorare con i giovani e andava volentieri sui campi per seguire i giocatori emergenti'.
(da "Libero" del 27 luglio 2005) |
(dalla "Gazzetta dello Sport" del 27 luglio 2005) |
La scomparsa di Mario David su "Forza Milan!", agosto 2005 |
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