Nereo ROCCO
"El Paròn"

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(Archivio Magliarossonera.it)
  Nereo ROCCO

Nato il 20.05.1912 a Trieste, † il 20.02.1979 a Trieste

Allenatore e Direttore Tecnico, m 1.73, kg 75

Soprannome: “El Paròn”

DA ALLENATORE:

Stagioni al Milan: 9, dal 1960-61 al 1962-63 e dal 1966-67 (in questa stagione solo per la Coppa delle Alpi) al 1971-72

Esordio sulla panchina del Milan in gare amichevoli il 18.06
.1961: Milan vs Nimes Olympique 0-0 (Coppa dell'Amicizia)

Ultima partita sulla panchina del Milan
il 05.07.1972: Milan vs Napoli 2-0 (Finale Coppa Italia)

Totale panchine in gare ufficiali: 323

Palmares rossonero: 2 Scudetti (1961-62, 1967-68), 3 Coppe Italia (1972, 1973, 1977), 2 Coppe dei Campioni (1963, 1969), 2 Coppe delle Coppe (1968, 1973), 1 Coppa Intercontinentale (1969), 1 Seminatore d'Oro (1962-63), 1 Premio "Nonno d'Oro" quale miglior allenatore della Serie A (1970-71)

Palmares personale: 1 Promozione in Serie A (1954-55, Padova)

DA DIRETTORE TECNICO:

Stagioni al Milan: 4, dal 1972-73 al 1973-74 (fino a febbraio 1974), 1975-76 (subentrato a Gustavo Giagnoni con allenatori Giovanni Trapattoni prima e Paolo Barison poi, da ottobre 1975 a giugno 1976) e 1976-77 (subentrato a Giuseppe Marchioro nel febbraio 1977)

Esordio sulla panchina del Milan da D.T. il 06.09
.1972: Red Boys vs Milan 1-4 (Coppa delle Coppe)

Ultima partita sulla panchina del Milan
il 03.07.1977: Milan vs Internazionale 2-0 (Finale Coppa Italia)

Totale panchine in gare ufficiali: 136




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20 febbraio 1979: la scomparsa di Nereo Rocco


Bigon, Minoia, Antonelli, Collovati e De Vecchi con il "Paròn" Nereo Rocco pochi mesi prima della sua scomparsa, 1978



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La scomparsa di Nereo Rocco sulla "Gazzetta dello Sport" del 21 febbraio 1979



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L'ultima immagine di Nereo Rocco
sul letto dell'ospedale di Trieste, febbraio 1979
(dalla "Gazzetta dello Sport")
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Nella festa per la Stella,
un ricordo per Nereo Rocco
(dalla "Gazzetta dello Sport")



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La scomparsa di Nereo Rocco
(da "La Stampa" e "L'Unità" del 21 febbraio 1979)



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Nereo Rocco prima di morire...
(da "Gazzetta dello Sport", febbraio 1979)




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La morte di Nereo Rocco sul "Guerin Sportivo" del febbraio 1979
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Rivera scrive a Nereo Rocco
(dalla "Gazzetta dello Sport", 22 febbraio 1979)



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La scomparsa e i funerali di Nereo Rocco
(da "La Stampa" del 22 e 23 febbraio 1979)



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Trieste, i funerali di Nereo Rocco, febbraio 1979.
A sinistra Nino Benvenuti,
a destra Gianni Rivera, dietro Ruggero Ribolzi
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(da "Forza Milan!" di marzo 1979, per gentile concessione di Emanuele Pellegrini)





Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org

IL PADOVA DI NEREO ROCCO
LA LEGGENDA DEL SANTO CATENACCIO
Stagione 1957-58: raggiunge il suo apice il Padova di Nereo Rocco che nel fortino dell'Appiani conquistò vette di gioco e classifica mai più raggiunte nella sua storia...

LA SCELTA DI ROCCO
Quando Nereo Rocco arrivò a Padova, la sua stella era un po' offuscata. Dopo gli exploit a Trieste (un secondo posto, nel '47-48, e due ottavi), era tornato a occuparsi della macelleria di famiglia, ma non aveva saputo resistere al richiamo del calcio. Il Treviso, in B, gli aveva chiesto aiuto e lui era accorso, schierando di nuovo il libero, Chiodi, e ottenendo un triennio di buoni risultati con una squadra di limitato valore tecnico: «Praticavamo un gioco di cui nessuno capiva niente» avrebbe raccontato poi, «per due anni non perdemmo in casa. Mazza della Spal ci insultava brontolando che eravamo catenacciari, però anche lui, quando la sua squadra affrontava gli squadroni, tentava di adeguarsi. Dico la verità: quando mi urlavano catenacciaro, mi fischiavano, mi coprivano di insulti accompagnati dagli immancabili sputi, avevo crisi di sconforto. Ma sempre i miei giocatori mi erano vicini incoraggiandomi a perseverare. Frossi a Monza aveva inventato il suo attacco a "M", ma a Treviso beccò 4-0. Intanto l'Inter di Foni utilizzava Blason come libero con Giovannini stopper (e Armano ala tornante) e vinceva il campionato con vistoso anticipo. Foni diceva di aver preso quel modulo dal Verrou elvetico per non ammettere il plagio. Il fatto è che il "gioco dei poveri" conveniva a tutti, altro che fischi e sputi. Ho raccolto tanti sputi a San Siro da fare schifo. Un giorno viene negli spogliatoi Italo Allodi e ne rimane talmente colpito da inviarmi, il giorno dopo, un impermeabile nuovo, accompagnato da una lettera di scuse di Angelo Moratti. Si vede che facevo veramente pena».

IL FIUTO DI POLLAZZI
Nel 1953 era tornato alla Triestina, ma gli aveva detto male: il 21 febbraio 1954, dopo un umiliante 0-6 in casa contro il Milan, era stato esonerato. Pochi giorni dopo, il 10 marzo, all'indomani di un pareggio interno col Cagliari, il presidente di una squadra di B, Bruno Pollazzi del Padova, l'aveva contattato per sostituire il silurato tecnico Rava, sordo alle richieste di cambiare modulo per salvare la baracca. Allora le norme erano meno rigide delle attuali e gli allenatori non godevano praticamente di garanzie contrattuali. Insomma, quando Pollazzi gli chiese di tentare il salvataggio dei pericolanti biancoscudati, penultimi in classifica, Rocco era disoccupato e in forte tentazione di tornare definitivamente a occuparsi del fiorente commercio di carni. La passione per il calcio ebbe una volta di più la meglio. «Se mi date la casa, più un tanto al mese e mi lasciate tornare a Trieste tutte le settimane senza creare problemi, posso anche venire a tentare di salvare la barca. Però non prometto niente; per il futuro vedremo».
L'operazione, tutt'altro che facile, andò a buon fine, complice la penalizzazione di cinque punti inflitta al Piombino dal giudice sportivo. In undici partite, Rocco conquistò dodici punti, in perfetta media-salvezza. A quel punto il presidente Pollazzi gli offrì la conferma, col programma di giocare la stagione successiva un torneo tranquillo.

RITORNO IN SERIE A
Con una squadra valutata da metà classifica, Rocco sbozzò un piccolo capolavoro: da 40 reti subite si passò a 27 e alla fine della stagione 1954-55 il Padova tornava a sorpresa in Serie A, piazzandosi secondo alle spalle del Lanerossi Vicenza. Nelle due stagioni successive, il binomio Rocco-Pollazzi raggiunse un'intesa quasi perfetta. Il tecnico d'estate indicava nomi alla portata delle casse tutt'altro che floride della società e il presidente era ben contento di ingaggiare giocatori dati per finiti o giovani mai sbocciati. Dal Verona, dove era decaduto dopo i brevi fasti interisti, arrivò Blason, l'uomo chiave che Rocco voleva per riprodurre nella massima serie il suo Catenaccio. Nel 1956 la salvezza fu abbondante: ottavo posto, davanti addirittura alla Juventus. Nel 1957, undicesimo, ma con il lancio di un centravanti di diciassette anni, Nicolé, subito conteso dagli squadroni al mercato.

LA COSTRUZIONE DI UN MIRACOLO
L'estate di quell'anno, il 1957, a Padova fu addirittura torrida. Rocco aveva fiuto e vista lunga, come sempre: suggerì di accettare le offerte juventine per il baby d'oro, ma in cambio, oltre a un robusto pacco di milioni, pretese Kurt Hamrin, l'aletta svedese bloccata al suo primo volo da un pesante infortunio. E poi, chiese un altro... ex grande, Sergio Brighenti, il centravanti della Triestina, colà decaduto, anche per problemi fisici, dopo i primi passi tra i grandi nell'Inter di Foni. Due rottami, commentarono i più benevoli tra i contestatori, inconsolabili per la partenza del "gioiello" Nicole, nonché del big Sarti e del capocannoniere Bonistalli. Di mezzo, c'era pure un processo per illecito (per una partita col Legnano di due anni prima), con l'ombra di una retrocessione a tavolino poi spazzata via dal giudice sportivo.
Insomma, il commendator Bruno Pollazzi diede le dimissioni, sostituito dal vicepresidente Vescovi. Le avrebbe ritirate, tornando al suo posto, solo dopo l'avvio del torneo. Quando fu chiaro a tutti che Rocco aveva costruito tra le macerie estive una squadra-miracolo...
Davanti all'ottimo portiere Pin, Blason rinnovava gli antichi splendori interisti, fungendo da libero spazzatutto. Si era affinato col tempo ed era in grado con lunghi traversoni di lanciare direttamente il contropiede per lo scattante Hamrin o il poderoso Brighenti. Pison, Azzini e Scagnellato erano i tre "mastini", destinati a mordere i tre attaccanti avversari. Rocco li aveva voluti così, i suoi magnifici quattro: autentici gladiatori, fisicamente prestanti e pronti a chiudere senza tanti complimenti. Il Padova era "la squadra dei panzer". Davanti al munito bunker, fungeva da regista l'ombroso argentino Humberto Rosa, altro figlio di una geniale intuizione di Rocco, che l'aveva raccolto al Padova dopo il fiasco come attaccante nella Sampdoria, traendone le misure del grande costruttore di gioco. Rosa era tecnicamente validissimo, sapeva gestire perfettamente i tempi della manovra e possedeva la battuta lunga e precisa capace di attivare i formidabili contropiedisti. A sostenerne l'azione, i due generosi laterali Mari e Moro, due stantuffi instancabili, sempre pronti a dare una mano in copertura. Boscolo fungeva da ala di raccordo sulla sinistra; in pratica, un tornante abile a potenziare la fase di contenimento del centrocampo. Tanto, in avanti Rocco disponeva di due autentici satanassi. Hamrin, recuperata la perfetta efficienza fisica, era immarcabile. Rapidissimo, leggero, guizzante, volava verso il gol come l'"uccellino" che poi sarebbe diventato per tutti i tifosi d'Italia. Brighenti era rapido, scaltro, potente, una vera macchina da gol che perfettamente completava, al centro dell'area, i voli sulla fascia del compagno di linea svedese.

L'APOTEOSI DEL CATENACCIO
Il Catenaccio raggiungeva così vette di gioco autentiche, contraddicendo i suoi ottusi assertori. Un avvio fragoroso, una parentesi mediocre, poi una lunga serie di straordinari risultati fecero del Padova la squadra rivelazione del campionato. Il 2 febbraio 1958 il Genoa veniva travolto all'Appiani da un tennistico 6-3 (primo tempo: 5-0), con quattro gol di Hamrin, segnando l'ingresso dei biancoscudati nel ristretto novero delle grandi del campionato. Alla fine, fu terzo posto, il miglior risultato di sempre della storia biancoscudata. Parlare di squadra utilitaristica diventava quantomeno azzardato. Al punto che la stagione successiva, quando Rocco in pratica fece il bis, conquistando il settimo posto con una squadra privata di Hamrin (sostituito dall'ottimo Mariani), agli osteggiatori del Catenaccio non restò che... trasfigurare la realtà, individuando addirittura un diverso modulo, come già accennato.

LA TESTIMONIANZA DI BARDELLI
Ecco in particolare cosa scrive Aldo Bardelli, sulle colonne del "Calcio e Ciclismo Illustrato" all'indomani di un fragoroso 2-0 rifilato in inferiorità numerica all'Inter all'Appiani: «Il Metodo è, dunque, la soluzione del nostro gioco dopo le spericolate avventure sistemiste e il successivo pentimento del Catenaccio? Il Padova lo fa supporre. La sua manovra ormai fa testo, poiché s'impone anche agli avversari di universale prestigio e di elevata ambizione. Ormai non si può più parlare di un Padova ancorato ad una cocciuta manovra difensiva e capace dì esprìmersi all'attacco soltanto con fortunate azioni in contropiede. La disinvolta spiegazione dei successi di Rocco non era già valida l'anno scorso, allorché si riteneva potesse renderla attendibile la presenza di Hamrin.
Ma quest'anno, che Hamrin non e 'è più ed al suo posto si muove un giocatore da altre squadre ripudiato ancora in verde età, non si possono più alimentare dubbi. Quello del Padova è "gioco ", e gioco di ottima marca. La sua fedeltà agli schemi fondamentali del vecchio Metodo (s'intende in versione moderna, come l'evoluzione del gioco pretende) appare ormai evidente. Contro l'Inter, apparsa sfocata e fiacca, proprio il Padova ha dovuto attaccare in prevalenza, proprio il Padova ha dovuto prendere l'iniziativa del gioco, stabilirne la cadenza, deciderne gli sviluppi, proprio il Padova - che si accusa di usare, almeno indifesa, l'ormai famoso... "uomo in più" -, ha dovuto giocare per quasi mezz'ora con un uomo in meno. L'infortunio di Moro al 18'della ripresa ha seriamente turbato l'equilibrio della partita e nulla, a quel punto, l'Inter poteva attendersi di più favorevole. Ma il Padova ha vinto anche con un uomo in meno . Anzi, ha raddoppiato il suo magro vantaggio precedente. Ebbene, anche impegnato in una partita d'attacco e successivamente privato di un elemento del "peso " di Moro, il Padova ha saputo imporre il proprio gioco, poiché la sua manovra tien conto in ugual misura delle esigenze della difesa e dell'attacco, con una distribuzione degli uomini ordinata in ogni settore e con una mobilità stupefacente. In difesa e 'è sempre "l'uomo in più" affinché l'isolata prodezza di un attaccante avversario non metta in crisi l'intero settore; ma a centrocampo lo schieramento è elastico e denso, l'inserimento degli uomini nei reparti sollecito e puntuale, l'azione d'attacco sempre ambiziosa, sempre affidata a due o tre elementi, come appunto prevedeva il vecchio Metodo».
Dunque Blason continua a spazzare l'area, ma non è Catenaccio, bensì... ritorno al Metodo, perché in fase offensiva la squadra attacca con tre uomini e l'appoggio degli inserimenti dei centrocampisti (resi necessari dalla minore prolificità di Mariani rispetto al fuoriclasse svedese). Una conferma che la critica contraria al Catenaccio si ostinava a ravvisarvi una pura tattica difensiva, mentre le due fasi, difensiva ma anche offensiva, vi erano nelle migliori espressioni perfettamente equilibrate.

SENZA ROCCO, LA FINE DEL SOGNO
Il miracolo Padova non fu una meteora. Nel 1960 Rocco portò i suoi al quinto posto, nel 1961, senza più il bomber Brighenti (39 gol nelle ultime due stagioni) al sesto. Poi, suonarono le sirene milaniste e Paròn Nereo emigrò a dimostrare di poter condurre a grandi risultati anche un club metropolitano.
Là avrebbe ritoccato la formula vincente, schierando Cesare Maldini libero fluidificante. Per il Padova invece senza Rocco la caduta fu verticale. Nel 1962, per la prima volta senza il Paron, i biancoscudati precipitavano in B.
Sarebbero tornati a rivedere le stelle della massima serie solo trentadue anni dopo, nel 1994.



All'Appiani anche la Juventus di Boniperti tremava davanti a capitan Blason e compagni


Il Padova che nel 1957-58 raggiunse il terzo posto





Nereo Rocco in un disegno di Achille Superbi
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La morte di Nereo Rocco su "L'Unità" del 21 febbraio 1979



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(by Francesco Di Salvo)
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Da ieri Milanello è dedicato a Nereo Rocco
(dalla "Gazzetta dello Sport" del 9 maggio 1979)



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La statua in bronzo del Paròn allo stadio "Nereo Rocco" di Trieste



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In ricordo del Paròn Nereo Rocco
(Carmen Menniti, olio su tela, 1982)
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27 agosto 1986, Nils Liedholm rende omaggio alla tomba di Rocco a Trieste
(da "L'Unità")



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Il monumento di Nereo Rocco a Milanello



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(da AC Milan - facebook)
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2012, Stefano Ravaglia appone la sciarpa
di Maglia Rossonera alla statua del Paròn
Nereo Rocco a Milanello



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La statua di Nereo Rocco a Milanello, 2005-06
(grazie a Roberto Valentino)
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Un particolare della statua di Nereo Rocco
(grazie a Roberto Valentino)
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La stele A.I.M.C. ai piedi della statua di Rocco
(grazie a Roberto Valentino)



Dal sito www.acmilan.com
29 ottobre 2007

A.C.MILAN: CONDOGLIANZE ALLA FAMIGLIA ROCCO
MILANO - E' scomparsa oggi la celeberrima signora Maria Berzin vedova Rocco, moglie del Paròn Nereo che tanta parte ha avuto nella storia del Milan. Lo storico allenatore rossonero l'ha sempre ricordata in tante sue interviste, con tanto affetto e tanti aneddoti. Oggi che la signora Maria ci ha lasciato, la Società di via Turati e tutti i tifosi milanisti si stringono, nel segno delle più sentite condoglianze, alla famiglia.
La fedele compagna di vita del Paròn aveva 96 anni. I funerali si celebreranno mercoledì 31 ottobre, alle 13.40. Da mercoledì mattina, alle ore 10.00, la salma sarà esposta al pubblico presso il cimitero di via Costalunga, a Trieste.



L'articolo della "Gazzetta dello Sport"
datato 30 ottobre 2007



Dal sito milanblogclub.splinder.com
15 febbraio 2011 - by Sertac

RICORDO DEL PARON
Quando Rocco sconfisse il Milan nell’ottobre del ’47. Il “Mahatma” rossonero ci lasciava trentadue anni fa
Nel febbraio del ’79, pochi mesi prima che il Milan si cucisse al petto l’agognata Stella, Nereo Rocco partiva per “il grande viaggio”. Nell’imminente anniversario della sua morte (20 febbraio), vogliamo ricordarlo citando da un episodio risalente agli Anni 40, prima del suo arrivo sulla panchina rossonera.
Era il 26 ottobre del ’47, stadio comunale “San Sabba” di Trieste. I rossoneri incrociavano la Triestina di Nereo Rocco. Il Milan, guidato da Bigogno, occupava il secondo posto, ad un solo punto dal Grande Torino che al termine di quel campionato avrebbe conquistato il quarto titolo consecutivo. Squadra solida, quella milanista, con Puricelli e Carapallese coppia d’attacco e Annovazzi a centrocampo.
Quel giorno su Trieste spirava un vento fortissimo e temperatura molto fredda. Al 4’, sventola del giuliano Tosolini respinta dalla traversa, palla che tornava in campo sui piedi dello stesso giocatore che serviva Rossetti (omonimo del portiere del Milan). Dopo una prodezza dell’estremo difensore milanista, il numero sette alabardato, con un comodo piatto ravvicinato, portava la Triestina in vantaggio. Rocco arretrò leggermente le due mezzali, nell’intento di assicurare maggiore copertura.
Il Milan, nel tentativo di ristabilire la parità, partì a testa bassa nella ripresa, con il vento a spirargli contro. Né Carapellese né Puricelli riuscirono a creare veri pericoli alla porta avversaria. Al 67’, con un’azione da manuale, la Triestina mise al sicuro la vittoria. Dopo un fallo laterale, Bernard andò in fuga scavalcando il terzino Piccardi. Tocco centrale per il centravanti Ispiro che di prima intenzione trafisse Rossetti, rimasto immobile.
“Oggi i locali hanno abbandonato il mezzo sistema – si legge nelle cronache del tempo tratte dal Calcio Illustrato – per tornare al metodo. La tattica è apparsa buona e redditizia”. E i rossoneri? Bravi in mediana ma troppo slegati in avanti, in grande sofferenza contro l’organizzata difesa messa in piedi da Nereo Rocco, capace di non dare respiro agli avversari. Il Comunale di Trieste salutò con tripudio il successo contro il Milan che si riscattò sette giorni dopo, piegando l’Inter grazie ad un gol di Carapellese.
I ragazzi di Rocco uscirono indenni anche dal match di San Siro, conclusosi 1-1 (nuovo gol lampo di Rossetti, pareggio di Puricelli) Il secondo posto, a sedici punti di distanza dal Torino campione d’Italia, fu il miglior risultato di sempre raggiunto dalla Triestina e sotto la guida di un triestino “doc” come Nereo Rocco.
Nel 1934, fu il primo giocatore di Trieste ad indossare la maglia azzurra. La partita si giocò a Milano e l’Italia strapazzò la Grecia 4-0. Bloccato dall’emozione, il futuro allenatore del Milan mondiale non andò oltre una prestazione mediocre, secondo le cronache dell’epoca. Mancino, dotato di un tiro di collo sinistro, all'inizio del secondo tempo fu sostituito da Giovanni Ferrari. Quella contro i greci fu per Rocco la prima ed unica presenza in maglia azzurra.
Ecco come fu descritto dalla Gazzetta dello Sport: "Rocco giocatore è per temperamento un animatore mentre personalmente deve considerarsi uno dei più modesti militanti sui campi da gioco della Divisione Nazionale. Per sincerarsi di questo basta osservarlo quando ha segnato un goal: se ne torna verso il centro del campo a passi lunghi, scuotendo il capo basso, insensibile e quasi vergognoso per gli applausi che scoppiano da ogni parte".
Dieci anni dopo il miracolo Triestina, condusse il Padova al terzo posto. Di quella squadra scrisse Gianni Brera: “Se la stampa lo avesse protetto decentemente, il Padova avrebbe vinto di sicuro uno o due scudetti”. Tutti i giorni, allenamenti dalle 9 alle 12 e dalle 14.30 alle 18. Tre i momenti: tecnico, fisico e morale, niente tabelle né lezioni teoriche. “La mia tabella è il campo e lì, con esempi pratici, al martedì rivediamo gli sbagli fatti alla domenica”, soleva ripetere. Nelle interviste, il Paron usava un linguaggio misto di italiano e triestino, un grammelot molto efficace al quale si abituavano tutti e in breve tempo, persino gli stranieri da pochi giorni in Italia.
Quando era ospite alla Domenica Sportiva, costretto ad esprimersi in italiano, Rocco sembrava un leone ingabbiato, traspariva il lavorio interno per tradurre il pensiero e le battute. E quando un suo giocatore lo chiamava “Mister”, Nereo lo rimbrottava bonariamente: “Mister a chi, muso de mona? Mi son il signor Rocco”. Quando vide giocare Rivera a Padova, con la maglia dell’Alessandria, commentò nel dopogara: “Meio de lui g'ho visto solo Meazza".
Quando approdò al Milan, qualcuno gli fece notare che la metropoli brucia gli uomini. “Va bene, vuol dire che brucerà anche me ma che mi lascino tentare. E poi che io sia un duro è una favola raccontata dai giornalisti. Esigo un po' di disciplina e basta. Più va male la baracca più sono vicino ai giocatori" disse a Franco Mentana, Gazzetta dello Sport, in un intervista del 20 maggio 1960.
Nel 1974, al tavolo, sotto il pergolato di casa, c’erano Rocco, Brera e una quantità impressionante di bottiglie, qualcuna adagiata anche tra l'erba. Fellini lo cercò per il suo "Amarcord". Lusingato, il Paron rispose che aveva dei nipotini e che non poteva fare il pagliaccio. A Trieste, la trattoria Jeti, vicino casa sua, era la sua tana. A Padova e a Milano scelse due ristoranti: Cavalca e l'Assassino. Insieme ad Helenio Herrera divenne quasi un personaggio della commedia dell'arte: due compari che se ne dicevano di tutti i colori ma senza volgarità.
Alla fine del ‘78, in trasferta con il Milan a Manchester (Coppa Uefa), si prese una polmonite che, insieme ad una malattia epatica, gli indebolì le difese dell'organismo, costringendolo all’ospedale di Trieste. In un mattino freddo di febbraio, si spense. “Dame tempo” fu una delle ultime frasi dette al figlio Tito.
Disse di lui Gianni Rivera: “Era un uomo, Rocco. Di quelli che mancano al calcio di oggi. Di quelli che non ti fanno venire il mal di testa con gli schemi, perché il calcio è uno sport assai più semplice di quello che talvolta si vuol far credere”.




 
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