by Davide Milano - facebook
9/10 NOVEMBRE 1988 ... STELLA ROSSA MILAN LA PARTITA INFINITA...
Fischio di inizio il 9 ma causa nebbia l'arbirto Pauly sospende le ostilità sull'1-0 per i Serbi, causa nebbia al 57'. Si riparte il 10 alle 15.00..... in 300 rimangono nella SUD su 5000 del giorno prima. Tra il freddo, un autogol di Vasiljevic non visto dall'arbitro e dal guardalinee, il Dona che rischia la vita (per uno scontro con lo stesso Vasiljevic, preso in pieno volto con conseguente perdita dei sensi ed il dott. Monti che gli rompe la mandibola perchè non si riusciva ad aprire la bocca e tirargli fuori la lingua per farlo respirare), il gol del Cigno su cross di Bubu che viene subito dopo pareggiato, i supplementari, il freddo, i rigori, le parate di Giuannin.....L'ultimo rigore di Rijkaard!
LA VITTORIA su uno dei campi più duri d'Europa...
dal sito rrossonera.wixsite.com
CRVENA ZVEZDA - BEOGRAD
Il nostro speciale pallone rotola oggi in Europa, nell'attesa di un turno di coppa che normale non potrà mai essere.
Le sfide contro la Stella Rossa (1988 e 2006) sono infatti tra le pagine più degne di memoria in quel grande romanzo calcistico e di vita che è l'ultracentenaria storia rossonera.
Ottobre 1988: le Olimpiadi di Seul sono appena terminate e, mentre il mondo si interroga sul doping di Ben Johnson, va in scena il secondo turno della Coppa dei Campioni.
Dopo l'autorevole qualificazione contro i Bulgari del Vitocha Sofia (poker di Marco Van Basten nel ritorno a San Siro), l'urna designa per il Milan un'altra squadra dell'est ma ben più insidiosa: la Stella Rossa di Belgrado; squadra ricca di talenti, una delle ultime espressioni della Jugoslavia unita e non solo dal punto di vista calcistico.
Dopo la morte di Tito, le differenze religiose e i sentimenti nazionalisti delle varie etnie, fino allora repressi con il pugno di ferro, riprendono infatti sempre più vigore e di lì a poco sfoceranno in un sanguinoso conflitto. È una vera e proprio guerra civile, combattuta in prima linea da formazioni paramilitari tra le quali a sostenere la causa serba si distinguono le cosiddette "Tigri di Arkan". Zeljko Raznatovic detto Arkan, è anche riconosciuto come indiscusso capo degli ultras della Stella Rossa, i "Delje" (gli Eroi, in lingua serba) dove verrà infatti reclutata la maggior parte dei suoi uomini.
La partita di andata si disputa a San siro e conferma tutte le preoccupazioni della vigilia.
I Biancorossi sono infatti un complesso ben organizzato, giocano sporco e rivelano grande maestria nel contropiede, pur tradizionalmente considerato l'arte italica per eccellenza. Le ripartenze, a dire il vero, non sono così numerose ma in una di esse Dragan "Pixie" Stoikovic dimostra tutta l'essenza del calcio slavo: indolenza, estro e classe cristallina. Persino Franco Baresi non può nulla di fronte a una finta di così rara bellezza, prodromo di una battuta a rete parimenti beffarda.
Il solito Virdis, fortunatamente, sfrutta l'unico comprensibile momento di disattenzione seguente al gol e pareggia dopo neanche un minuto. Alcun effetto sortisce il forcing finale (traversa di Donadoni oltre ad alcuni grandi interventi del portiere Stojanovic) e si va a Belgrado con l'obbligo di segnare.
Prima dell'incontro, Arkan, che anni prima ha vissuto a Milano e parla un perfetto italiano, chiede ad alcuni responsabili della curva come procurarsi un particolare tipo di torce (difficili da trovare a Belgrado) dimostrando così grande rispetto verso la tifoseria milanista.
Per il ritorno a Belgrado, la Fossa dei Leoni e le Brigate Rossonere partono con due pullman da Milano. Un terzo, organizzato dalla sezione Venezia Giulia di Fossa, si aggiunge al valico di Casa Rossa, confine italo sloveno. Insieme a loro, altri tifosi in aereo (Commandos Tigre e Milan Club vari) per una trasferta che diventerà una vera e propria odissea.
All'arrivo, la Milicija serba per evitare pericolosi contatti con gli ultras di casa "sequestra" i tifosi rossoneri trattenendoli ore in un parco sul Danubio, prima di condurli finalmente allo stadio.
Il Marakana è un enorme catino scavato nella terra e discenderne i gradoni si presenta vagamente allegorico, come a ricordare un viaggio nell'inferno dantesco. Gremito all'inverosimile è davvero impressionante anche se, nonostante l'ambiente di certo ostile, gli unici veri problemi per gli ultras rossoneri sono un fitto lancio di oggetti con i tifosi vicini, separati solo da una rete metallica (incredibilmente, questi indossano i colori del Partizan, l'altra squadra della capitale). A Belgrado anche i calciatori scendono all'inferno. Per arrivare in campo dagli spogliatoi bisogna percorrere infatti un lunghissimo tunnel di cemento tra due file di poliziotti in assetto da guerra, con chiaro effetto intimidatorio.
I giocatori slavi grazie a un pressing asfissiante, e spesso ricco di scorrettezze, riescono a impedire il normale fluire del gioco milanista, inconcludente come non mai. La nebbia che incombeva su Belgrado sin dalle prime ore del pomeriggio diviene però sempre più fitta cosi la rete di Savicevic e l'espulsione di Virdis, che suonerebbero come una condanna definitiva, vengono cancellate dall'inevitabile sospensione della partita.
La maggior parte dei tifosi milanisti si vede costretta a far ritorno in Italia vista la scadenza del passaporto collettivo mentre per gli altri si pone il problema di dove passare la notte. Un plauso va all'infaticabile dirigente Paolo Taveggia che riesce ad assicurare loro ospitalità dove alloggia la squadra.
L'Intercontinental è l'hotel più famoso di Belgrado, di lì a poco diverrà anche il quartier generale di Arkan ed è anche dove il signore della guerra troverà poi la morte. Nel gennaio del 2000, infatti, proprio nell'hall, alcuni sicari, si dice inviati dallo stesso presidente Milosevic con cui i rapporti si erano progressivamente deteriorati, colpiscono la Tigre e la sua scorta.
L'arbitro della partita, il tedesco Pauly, viene intanto avvistato in un noto night club della città insieme ad alcune bellezze locali e ai dirigenti della Stella Rossa.
L'espulsione di VIrdis e la squalifica per l'ammonizione rimediata da Ancelotti pongono grossi problemi di formazione ad Arrigo Sacchi che deve cercare a tutti i costi di recuperare almeno Gullit. L'efficiente organizzazione operativa di Fininvest si mette in moto, prelevando con un volo privato Linate-Amsterdam Ted Troost, fisioterapista personale dell'Olandese e quello che oggi si chiamerebbe mental coach. Il provino pre partita avviene nei corridoi, al decimo piano dell'hotel, sotto lo sguardo di un corrucciato Arrigo Sacchi. Il Tulipano nero partirà dalla panchina pronto a entrare nel finale in caso di necessità, mentre titolare è Graziano Mannari: questo il responso.
Per evitare la nebbia l'incontro si disputa alle 3 del pomeriggio in uno stadio, se possibile, ancor più gremito. I cancelli vengono lasciati aperti e ci sono più di 100.000 persone sugli spalti. In questa bolgia infernale, però, nei rari momenti di silenzio si odono i cori dei pochi rossoneri rimasti. È un urlo d'amore che squarcia la tv.
Una goffa svirgolata di Vasilievic sembra regalare il vantaggio ai Rossoneri già ad inizio di partita ma l'arbitro "non si accorge" di quanto la palla abbia varcato la linea di porta. È almeno un metro e mezzo, eppure "non vede". Nulla può però il famigerato Pauly su un preciso colpo di testa di Van Basten. Per la prima volta nelle tre partite i Rossoneri sono in vantaggio.
La forza e la pervicacia dei padroni di casa si palesa però poco dopo con un'azione da manuale. Lancio millimetrico di Savicevic per Stoikovic e Pixie abbina classe e potenza in una terribile botta sotto la traversa: 1-1 . È uno dei cinque uomini che possono fregiarsi di avere un posto nell'hall of fame della Crvena Zvezda, altro non serve aggiungere.
Quando le squadre già pensano al riposo, un episodio a dir poco drammatico vede protagonista lo sfortunato Donadoni che in un contrasto aereo sbatte violentemente la testa, rischiando addirittura di morire in campo. Al suo posto entra Gullit, con pochi minuti di autonomia nelle gambe, costretto invece a giocare addirittura i tempi supplementari.
Il risultato non si sblocca più, qualificazione affidata ai calci di rigore.
Dragan Stojkovic, sempre lui, segna il primo.
Sono cinque i gradi sotto lo zero, ghiaccio e inferno. Una incipiente nebbia sta per avvolgere nuovamente la città e sugli spalti improvvisati fuochi compaiono tra sinistri ondeggiamenti di corpi, urla e fischi. Nel momento della verità sul dischetto si presenta il Capitano, ieratica icona del più ancestrale milanismo. Gol.
Prosinecki e Van basten sono impeccabili sino a quando un ancora acerbo Savicevic si fa parare il tiro da Giovanni Galli. Chicco Evani porta a quattro le reti rossonere con una regale indifferenza e Mrkela sbaglia ancora. Tocca allora a Frankie Rijkaard segnare la rete qualificazione per il 3-5 finale.
Un irreale e assordante silenzio pervade lo stadio mentre un manipolo di uomini impazzisce nel settore ospiti. E' l'inizio di tutto, una sorta di palingenesi calcistica perché non ci sarebbe stata Barcellona senza Belgrado, non il paradiso senza l'inferno.
Ogni onore a chi c'era, risalendo quei gradoni tra ghiaccio, nebbia e un'inebriante felicità. Questo racconto è dedicato a Voi.
Belgrado: 9-10 novembre 1988.
Si ringrazia Corrado, responsabile Fossa sezione Venezia Giulia, che grazie ai suoi ricordi e aneddoti ha arricchito questo racconto.
by Corrado Izzo
10 novembre 1988 - 10 novembre 2023.
Oggi ricorre il trentacinquesimo anniversario di uno dei pomeriggi più drammatici che noi milanisti abbiamo avuto la ventura di vivere. Una partita dai contorni talmente epici da andare a collocarsi, secondo me, appena un gradino sotto la famigerata Estudiantes-Milan del 1969. "L'Inferno ad est" "Il tecnico della Stella Rossa a parer mio aveva capito quello che non hanno capito gli altri allenatori. Tutti hanno cercato di giocare contro di noi. Lui invece aveva cercato di non giocare." (Arrigo Sacchi). Mi è capitato recentemente di rivedere l'epica partita di ritorno tra Stella Rossa e Milan, ottavo di finale della indimenticabile Coppa Campioni 1989. Su YouTube è presente la cronaca integrale dell'evento, con l'ispirato commento dell'enorme Bruno Pizzul, un poeta delle telecronache. Nulla in comune con gli urlatori di oggi. Un po' per i tanti anni passati, un po'perché da allora in poi noi milanisti ne abbiamo obiettivamente vissute tante, devo confessarvi che avevo un po' rimosso l'incredibile condensato di emozioni ed i connotati epici di questa sfida. Non voglio tirare assolutamente in ballo Italia-Germania del 70 o Milan-Juventus della Champions 2003, ma oggi, rivedendo la battaglia di Belgrado tutta intera e non a spezzoni come qualche volta avevo fatto, mi sento di dire in tutta onestà, a distanza di 35 anni, che quello fu davvero un pomeriggio per cuori forti. Quell'atmosfera greve, pregna di oscurità che incombeva sul leggendario Marakana già alle due del pomeriggio, conferiva quasi un che di mistico ed inquietante a tutto il contesto. Irreale. Come l'ambientazione di un film di Kurosawa, o di un romanzo di Edgar Allan Poe. Il tutto mirabilmente condito dall'urlo incessante e minaccioso di 100.000 invasati presenti sulle tribune. Ricorderete che la gara iniziò nelle primissime ore pomeridiane al fine di scongiurare il pericolo della nebbia che ci aveva "salvato" la sera prima. Se è vero che le grandi imprese prendono vita in condizioni ambientali difficili, ebbene allora quella non fu grande. Fu enorme. Poi le vicende tecniche, cominciando con il giallo della rete non concessa alla squadra di Sacchi. Negli ultimi anni abbiamo spesso argomentato tra noi tirando in ballo il "fattaccio" del gol di Muntari in Milan-Juventus del 2012. Ebbene, io credo che la non concessione del gol di Stella Rossa-Milan sia un episodio ancor più clamoroso perché in questo caso il pallone toccò quasi la rete prima di essere sospinto fuori da Juric. Bisognava essere ciechi o in malafede per non accorgersene. Fu una svista che definire colossale è riduttivo. Molto si parlò all'epoca delle notti brave dell'arbitro Pauli e dei suoi collaboratori, sorpresi in dolce compagnia la sera prima in un famoso nightclub di Belgrado, ma un fatto del genere fu vergognoso, a prescindere da cosa sia potuto accadere. Stojkovic e Savicevic, due artisti. Ogni loro tocco di palla era un ricamo, un versetto di poesia elegiaca. E poi che intesa. Si sarebbero trovati anche bendati, così come si trovarono nell'oscurità incipiente di quel pomeriggio serbo. Io credo che gli osservatori del Milan abbiano cominciato a tener d'occhio proprio in quella partita il montenegrino, genio assoluto del pallone. Tra gli episodi che avevo volutamente rimosso, c'è il terribile incidente di gioco a Donadoni. All'epoca, guardando in diretta la partita, forse perché obnubilato dalla tensione emotiva della stessa, non mi ero reso conto della gravità di quello schianto. Rivedendo oggi quelli del Milan che si mettono le mani nei capelli, Maldini che si accascia a terra disperato, Giovanni Galli che fissa l'erba impietrito, ho percepito l'esatta dimensione del dramma che si visse in quei minuti. Ho pensato ai familiari del giocatore, al fatto che probabilmente erano davanti alla tele, e mi sono venuti i brividi solo immaginando cosa debbano aver provato in quegli attimi devastanti. Il Milan fece una partita mostruosa. Attaccò per 120 minuti con il piglio di chi sa di essere superiore contro una squadra blindata, in un ambiente ostile. Questione di DNA. Agli amici di altre tifoserie, si, dico proprio a voi supporters di quella squadra con le maglie azzurre eliminata dal Milan ai quarti nell'ultima edizione di Champions che, prima di quella sfida, accecati dalla vostra sicumera, continuavate a ripetere insulsamente che non va in campo il DNA ma i calciatori, se dopo la dimostrazione avuta lo scorso aprile non avete ancora capito cosa sia il DNA, io vi consiglio di andarvi a guardare questa partita per capirlo. Quel pomeriggio a Belgrado avremmo potuto subire di tutto, annullamento di reti chiarissime, decisioni arbitrali contrarie, infortuni terribili, ambiente ostile, ma mai avremmo potuto perdere la partita. Sapete perché? Per via del DNA, una cosa che non tutti hanno. Undici eroi. Anzi tredici, perché poi entrarono Gullit e Cappellini. Baresi e Rijkaard giocatori di una personalità tracimante, Tassotti un trequartista che giocava terzino, Maldini che a vent'anni giostrava con una sicurezza tale da sembrare sfrontato, e poi . e poi. quel numero 9 che non giocava, danzava. Pur alle prese con i fabbri serbi, quel pomeriggio Marco esibì un paio di ricami degni del Pallone d'Oro. La roulette russa finale fu il degno corollario di emozioni ad una sfida epica, capace di toccare vette di drammaticità tali da fare invidia ad un film di Muccino. Giovanni Galli da Pisa, eroe tra gli eroi. Come il suo predecessore Villiam da Scandiano a Salonicco. Crvena Zvezda-Milan è una pagina leggendaria di sport da qualcuno dimenticata, ma possiamo affermare che essa non ha mai smesso di brillare. È stato il vero esame di maturità per diventare Grandi. "Si vabbé, ma Sacchi ha avuto solo culo, se non era per la nebbia non avreste vinto una cippa, dovete ringraziare la buona sorte se siete diventati quello che siete." A tutti questi grandi competenti di calcio, io dico: andatevi a riguardare Stella Rossa-Milan del 10 novembre 1988, poi forse ne riparliamo
by Francesco Filograsso
10 novembre 1988: "La Partita del Destino". Quel pomeriggio di esattamente 35 anni fa, ancora in piena Guerra Fredda (mancava un anno esatto alla Caduta del Muro ma nessuno poteva mai immaginarlo) ero uno studente di giurisprudenza che preparava il l'esame di diritto commerciale (autentico terrore degli studenti di Legge), quando nell'immenso Marakana di Belgrado, al termine di drammaticissimi 120 minuti ed oltre di gioco e dopo la nebbia mefitica del giorno prima, il Milan superava ai calci di rigori la Stella Rossa probabilmente più forte di sempre, persino di quella che tre anni dopo vincerà la Coppa dei Campioni a Bari. Naturalmente quel pomeriggio di studiare sugli appunti del professor Belviso non se ne parlava neppure, mi attaccai al televisore ed al telefono fisso di casa (ovviamente i cellulari erano ancora oggetti non identificati) per fare in diretta la angosciante telecronaca a mio fratello, dovuto andare a lavorare. L'epopea ventennale del Grande Milan Berlusconiano e la favola dell'Arancia Meccanica Rossonera di Arrigo Sacchi iniziava proprio in quel fatale pomeriggio balcanico, in un mondo che era ancora quello della Cortina di Ferro, dell'America yuppie di Ronald Reagan e della Milano tutta da bere di Craxi. Calcisticamente parlando, quell'epica Crvena Zvevda Beograd-Milan fu quel che si dice in gergo, un vero tornante della Storia. |