da "La Stampa" del 25 giugno 1981
di Carlo Coscia
IL MUNDIALITO SI AGGRAPPA AD ELOI
Dopo tre tentativi falliti, forse il torneo di Milano ha trovato la stella. Si chiama Francisco Chagas Eloia, detto Eloi, è un brasiliano del Santos. E' stato lui a battere il Milan con due splendidi gol: d'incanto i cronisti hanno scordato Pita e Joao Paulo e si sono buttati sulla grande sorpresa. La caccia alla stella era diventata un chiodo fisso: del resto, non è forse vero che sono i campioni a definire l'importanza di un torneo? Si cominciò con Cruyff, grosso nome, che in campo non si dimostrò solo ex campione ma addirittura ex giocatore. L'asta per acquistarlo, aperta alla vigilia della partita, si chiuse subito con la fuga dell'olandese: il primo tentativo falli dunque in maniera più triste che clamorosa. Poi sono arrivati i brasiliani, il calcio che diventa fantasia. Pita e Joao Paulo hanno avuto i loro titoli sui giornali, in campo non sono andati male, ma dal buon giocatore al campione c'è differenza, e tanta. Nella serata d'esordio del Santos, c'è stata l'esplosione di un «indigeno», Evaristo Beccalossi, detto Beck. Che sia lui la stella? Juan Alberto Schiaffino, richiesto di un giudizio, ha confessato con candore che l'interista va paragonato al miglior Maradona. E poiché Schiaffino è stato un eroe dei nostri stadi, le sue parole sono state considerate il Vangelo. Ora, a parte le qualità mai discusse di Beccalossi, il paragone sembra davvero azzardato. Per una bella partita giocata contro il Feyenoord, si è scoperto che Beccalossi è stato oggetto di una serie incredibile di ingiustizie: ha sempre sbagliato Bearzot a non dargli la maglia azzurra, hanno torto i dirigenti a cercare il brasiliano in Brasile quando ne hanno uno bell'e pronto in casa, e cosi di seguito, a dimostrazione che il calcio estivo, spesso, può dare alla testa. Juan Alberto Schiaffino, che ha creduto di vedere Maradona con la maglia dell'Inter, in realtà non ha più molto a che fare con il calcio. In Uruguay è un ricco signore che preferisce, forse giustamente, curare i suoi affari piuttosto che seguire in campo i suoi eredi di gioco. Lo ricordiamo in occasione del Mundialito, sprofondato su una poltrona d'albergo a parlare con Rivera, lontano anche con la mente da quegli stadi che gli hanno dato la gloria. A Milano, forse, è tornato come un emigrante al contrario, soprattutto felice di rivedere vecchi amici: il giudizio su Beccalossi, per essere realisti, va osservato sotto questa ottica. Francisco Chagas Eloia, detto Eloi, centrocampista d'attacco di 26 anni, ha avuto il merito di riportare critici e; spettatori alla giusta dimensione. Il suo è stato calcio vero, come quello del Santos. del resto, ed il pubblico di San Siro ha saputo riconoscere la classe del campione sottolineando con applausi i due gol del brasiliano al Milan: “Giuro sui miei figli che non è la prima volta che segna cosi”, ha detto Sergio Clerici, l'allenatore, al termine dell'incontro. Poi ha confessato di aver sgridato il ragazzo nell'intervallo. Perché? “Correva troppo, era in tutte le zone del campo”. I misteri del calcio, da noi ci si comporta al contrario. Eloi è stato acquistato quattro mesi fa dall'Internacional di Mineiro, nel fisico e nei tratti del volto ricorda un poco Savoldi. Ma è più rapido, maestro nel dribbling e nel tiro. Domanda di rito: verrebbe a giocare in Italia? E' un altro chiodo fisso di queste serate di calcio milanesi. Lui si guarda attorno smarrito, risponde Clerici che mica per niente è stato 18 anni in Italia: “Verrebbe di corsa, ma il Santos questo non lo cede: magari l'anno prossimo”. La stella Eloi ha un poco oscurato i compagni, i tecnici adesso stanno cambiando direzione di tiro. Un altro mistero: è mal possibile che il calcio italiano aspetti proprio tornei di questo tipo per scegliere lo straniero? Lasciamo da parte per un attimo i brasiliani, che non è possibile vedere spesso all'opera, parliamo invece degli olandesi. Tutto il movimento attorno ad Arnie Haan sembra un po' la scoperta dell'acqua calda. Haan ha 33 anni, vinceva la Coppa Campioni con l'Ajax quando il rossonero Battistini, tanto per fare un esempio, faceva ancora pipi contro i muri. Ha giocato ai Mondiali, agli Europei, ha disputato decine e decine di partite di Coppa: possibile che nessuno si sia mai accorto di lui e che le squadre italiane si facciano vive solo adesso, dopo averlo visto dirigere il Feyenoord (bene) sull'erba di San Siro? Stranamente, al contrario, si sente parlare poco di Ruben Paz, mezza punta del Penarol e della nazionale uruguayana. Paz finora non è stato brillantissimo, ma bisognava vederlo al Mundialito, che mostro era. E la manifestazione di Montevideo, con tutto il rispetto per i nostri organizzatori, era sicuramente più valida e attendibile di questo torneo con poche stelle.
MORO, UN DISCRETO ESORDIO «ADESSO ASPETTO LA PUNTA»
Adelio Moro, centrocampista trentenne proveniente dall'Ascoli, ha esordito per la seconda volta a San Siro, a distanza di dieci anni e con la maglia rossonera al posto di quella nerazzurra. Non voleva giocare, si sentiva stanco e sottopeso, non ancora pronto ad affrontare il pubblico del Milan, il suo nuovo pubblico. Non e stata una partita esaltante. Moro ha fatto qualche buon lancio e poi è scomparso nel finale, divorato dalla stanchezza insieme alla squadra. Ma non è stata neppure una partita deludente, perché il centrocampista ha mostrato discreti numeri e buone potenzialità raccogliendo a tratti l'applauso dei tifosi: «Sono soddisfatto — ha detto il neo rossonero — ho trovato la posizione in campo e questo per ora mi pare sufficiente. Del resto, l'avevo chiesto prima di non giudicarmi in base alla prova, di non aspettarvi grandi cose dal Moro attuale». Impressioni sul Milan: «Sono tutti bravi ragazzi e validi giocatori. Li ho trovati soltanto un poco bloccati, quasi timorosi dell'avversario. Hanno bisogno di entusiasmo: ma adesso arriva Radice ed il problema é risolto». Adelio Moro ha giocato in posizione arretrata, regista in mezzo ai cursori, tentando a tratti con successo di «allungare» la manovra del Milan con precisi lanci in verticale. Qualche volta il giochetto non gli é riuscito, ma l'intenzione, quella che conta in questa fase, non è mancata. Dice: «Dovrei servire come punto di riferimento, niente di diverso rispetto a quello che facevo nell'Ascoli. Non aspettatevi però dribbling e gol, come quando stavo all'Inter. Sono invecchiato, meglio maturato: ho cambiato stile e funzioni tattiche. Comunque, credo che una punta di valore, una torre in area, possa agevolare il mio compito: é più facile lanciare lungo il pallone quando si sa che c'é qualcuno pronto a sfruttarlo». Adesso Moro pensa soprattutto al riposo. Nelle ultime tre stagioni, per diverse ragioni, ha dovuto concludere l'attività alla fine di giugno, la stanchezza si é accumulata lasciandolo secco come un palo: «Avevo alcuni problemi ad esordire in questa occasione. Era troppo importante, perciò ho messo le mani avanti. Ora però sono contento. L'esperienza é stata utile, ho fiutato il clima e la folla, ho preso confidenza coi compagni. Certo, è stato anche un sacrificio. Ho rischiato, poteva andar peggio. L'unico rimpianto è la sconfitta del Milan» |