5 dicembre 1971. La sottile linea di confine. Quando un traguardo sportivo viene mancato per un soffio, è ovvio che lo sconfitto provi tanta amarezza. Nella prima metà degli anni ‘70 al Milan è capitato per ben tre volte di arrivare secondo e, in due di queste circostanze, staccato di un solo punto dalla squadra poi laureatasi Campione d’Italia. Parliamo ovviamente delle stagioni 1971-72 e 1972-73, nelle quali alla fine fu la Juventus a prevalere al fotofinish. La sconfitta di misura genera sempre rimpianti. A mente fredda si cerca di rivisitare gli episodi che l’hanno determinata, tendendo spesso a far prevalere il peso di fattori esterni, quali la sfortuna o gli arbitraggi. Va però detto che c’è quasi sempre un concorso di responsabilità e di situazioni, ascrivibili in parte all’imponderabilità, in parte a demeriti propri. La stagione 1971-72 fu senza dubbio caratterizzata da strane direzioni di gara a danno dei rossoneri, da roventi polemiche con la classe arbitrale, nonché da una vera e propria guerra sostenuta da Gianni Rivera contro quel Palazzo a suo dire da sempre orientato a favorire la squadra torinese. Tutto vero, del resto è storia ricorrente ed innegabile che nel corso degli anni il Milan non sia stata l’unica società a lamentarsi. Bisogna altresì riconoscere per onestà intellettuale che la squadra rossonera in quella stagione si rese protagonista di alcune prestazioni sportivamente deludenti, di partite sulla carta abbordabili, ma poi incredibilmente “toppate” sul campo. Come ad esempio il 5 dicembre 1971 quando, pur attaccando ininterrottamente contro il fanalino di coda Mantova, il Milan non solo non riuscì a segnare, ma fu anche costretto a subire la beffa del gol virgiliano allo scadere, episodio che ne determinò la clamorosa sconfitta interna. In definitiva è indiscutibile che i Lo Bello ed i Michelotti abbiano avuto grandissima parte nell’esito finale del campionato 71-72, ma è altrettanto vero che, battendo il Mantova, il Vicenza, la Sampdoria a San Siro, o magari non sbagliando un rigore decisivo a Verona, anche le nefandezze arbitrali poco avrebbero potuto. È l’eterno refrain del voler scindere ciò che è stato da ciò che sarebbe potuto essere, il tentativo spesso infruttuoso di capire se un esito negativo sia dipeso più da demeriti propri o da colpe altrui, di tentar di marcare una linea di confine quasi sempre indefinibile tra l’ipotesi e la realtà. (by Corrado Izzo) |