by Corrado Izzo
12 dicembre 1965. Il maledetto schianto. Per quei pochi giovanotti che non lo hanno mai visto giocare, va detto che Bruno Mora è stato uno dei più talentuosi attaccanti espressi dal nostro calcio. La classica ala destra, veloce, tecnica, capace di saltare l’uomo, ispirato come assist-man e spesso letale in fase realizzativa. Per certi aspetti, il precursore di una grande tradizione italiana di esterni d’attacco, espressione di creatività e fantasia calcistica che troverà poi negli anni degna prosecuzione con i Domenghini, i Causio, i Conti, i Donadoni. A lui i tifosi milanisti diversamente giovani legano indissolubilmente il ricordo dei favolosi anni ‘60, in particolare della prima storica Coppa Campioni conquistata nel 1963 a Wembley contro il Benfica. Probabilmente la più affascinante delle sette, rappresentazione iconica della gloria sportiva, apice tecnico ed emotivo di un calcio antitetico rispetto a quello odierno, ma indubitabilmente meraviglioso. La sorte purtroppo non fu amica del grande Mora, in carriera come nella vita. L’episodio che segna la sua storia di calciatore, ed inevitabilmente la cambia per sempre, si verifica il 12 dicembre del 1965, in un limpido e freddo pomeriggio emiliano quando, sul finire del primo tempo di Bologna-Milan, dopo uno scontro di gioco fortuito ma durissimo con il portiere felsineo Spalazzi, Bruno si procura la frattura scomposta di tibia e perone della gamba sinistra. È un infortunio terribile, tanto più se rapportato alle terapie riabilitative di quei tempi. La gravità appare subito in tutta la sua crudezza a compagni ed avversari. La gamba penzola in maniera innaturale e raccapricciante mentre Bruno urla. Quelli del Bologna si mettono le mani tra i capelli, chiamando a gran voce la barella e tentando di confortare lo sfortunato protagonista della vicenda. Sono momenti di panico. Di fronte a certe disgrazie scema l’adrenalina della partita e, come è giusto, subentra l’umana solidarietà tra atleti divisi dal colore delle maglie ma uniti dal comune sentire di uomini e da eventi dolorosi come questo. Quel giorno siamo stati tutti Mora. Quelli del Milan, quelli del Bologna, la gente presente allo stadio e anche quelli che erano a casa. La partita di fatto si ferma lì. Va avanti per onor di firma, i rossoblu travolgono il Milan per 4-1, ma non è certo il verdetto del campo a segnare quella giornata e a scolpirla nella memoria. La carriera di Bruno subisce un brusco ridimensionamento, il giocatore è costretto a sottoporsi ad un lungo periodo di riabilitazione che lo costringerà a saltare il mondiale inglese del 1966, quello della Corea tanto per intenderci. Mora tornerà a giocare, vincendo peraltro uno Scudetto, una Coppa Italia e una Coppa Coppe con il Milan, ma non più da protagonista, non più a certi livelli. In quello schianto sciagurato di un pomeriggio dicembrino limpido e freddo, si è di fatto spezzata una carriera che non era ancora giunta al suo culmine. È una storia di campo amara e terribilmente simile a quella che vedrà protagonista anni dopo, a parti e campi invertiti, il promettente centrocampista del Bologna Liguori dopo il devastante scontro con Benetti, sempre in una gara tra rossoneri e rossoblu. Oggi sono cinquantasette anni da quel giorno, ma riguardando la copertina de Lo Sport Illustrato o qualche altra foto presente sul web, il pathos di quei terribili momenti rimane inalterato come fosse successo ora..
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