Perchè il Milan entrò nei ranghi della FGI
Prima di raccontare della "strage" che i diavoli rossoneri fecero delle balde schiere dei calciatori-ginnasti, due parole riassuntive sulle vicende del calcio organizzato sotto l'egida della FGI e sui motivi che spinsero il Milan a mischiarsi ai ginnasti.
Nel marzo del 1899 la prematura morte del prof. Gabrielli gettò nello sconforto il mondo ginnastico. L'anno dopo, in un consiglio federale svoltosi il 3 di novembre a Vicenza, la FGI deliberò di tenere in tutti i principali concorsi delle gare riservate ai tre giochi prescelti: il football, la palla vibrata e il tamburello; adottò come regolamenti quelli elaborati dal povero Gabrielli. Così, dal 1901, in occasione del V CGN a Bologna, ogni anno furono disputati svariati tornei di calcio. Tornei che si esaurivano in poche partite, ma che, almeno in occasione dei campionati nazionali, stavano alla stessa stregua tecnica dei campionati della FIF. Ad eccezione del Genoa e di pochi altri sport club, nel periodo compreso tra il 1900 e il 1907 le protagoniste dei due movimenti - Federazione Ginnastica e Federazione Football - furono praticamente le medesime: la SG Torinese, l'Andrea Doria, la Mediolanum, il Milan; più l'AC Vicenza, la Sampierdarenese, la Bentegodi Verona e una ventina di altre società ginniche, che allestirono le loro brave sezioni per il calcio. Anche lo Juventus Football Club di Torino e la Podistica Lazio si iscrissero alla FGI per un breve periodo, pur non partecipando a eventi ufficiali. I tornei ginnastici servivano, come le altre varie "coppe" messe in palio dalle società sportive, a riempire il calendario, che non poteva esaurirsi nel breve campionato federale. Ancora nel 1909, su 55 club affiliati ben 14 erano parimenti iscritti alla FGI; tutti localizzati nell'Italia settentrionale e centrale. Il ritardo storico del calcio meridionale fu dovuto anche a questa minore presenza delle società ginniche sul territorio a sud delle paludi Pontine.
Il punto di svolta fu il 1909, quando la FIF , mutato il nome in FIGC, cominciò a fare le cose in grande. La "Federcalcio" passò nelle mani di uomini adusi al comando di un ente nazionale, provenienti dalle file dell'associazionismo ginnastico: Bosisio, Meazza, Arturo Baraldi, Felice Radice e altri. Nel quinquennio 1910-1914, si verificò il vero, definitivo gap tra le due organizzazioni che avevano operato la formalizzazione del football in Italia. I campionati della FIGC si allargarono fino a proporre oltre cento match a stagione, col criterio dell'andata e ritorno e dei due punti a vittoria e uno per il pareggio. La stagione di gioco si estese da un anno solare all'altro includendo club del Veneto, dell'Emilia e, dal 1913, della Toscana, del Lazio e della Campania. Le squadre furono divise in due Leghe: una per il nord e l'altra per il centro-sud. Due campionati di diverso livello tecnico (la differenza tra la prima e la terza categoria) e organizzativo (sia i campi sia gli arbitri migliori stavano al nord), ma capaci di ricollegarsi fra loro con la finalissima giocata in estate dalle formazioni che avevano trionfato nella rispettiva Lega. Al contrario, i campionati della FGI continuarono a contare su pochi partecipanti, quasi tutti provenienti dalle regioni del settentrione. Rimasero un evento collocato ai margini delle kermesse dei concorsi ginnici, e aumentò fatalmente il divario tecnico rispetto ai più frequentati campionati della FIGC. Nonostante ciò, il movimento ginnastico lanciò la Pro Vercelli, una squadra capace di vincere cinque titoli della Federcalcio. La Pro Vercelli era composta interamente da indigeni, che avevano nella forza atletica e nell'organizzazione di stampo militare i loro punti di forza e l'ammirata peculiarità; parecchi dei suoi elementi meritarono di vestire la maglia azzurra del Team nazionale. Ma è significativo il dettaglio che i "bianchi" della "Pro" mai si aggiudicarono un titolo ginnastico, preferendo riservare le loro migliori energie alla Federcalcio. Solo una volta, nel 1908, si presentarono con la seconda squadra e persero la finale dallo Juventus FBC di Venezia.
|
Figura 9 : l'undici della Pro Vercelli, vincitore del campionato FIF 1908 |
Questo processo osmotico tra calcio federale e calcio ginnastico si concluse alla vigilia della prima Guerra Mondiale. Fu un travaso di uomini e di idee, che conferì alla Federcalcio nuova autorevolezza e più salde capacità disciplinari e organizzative. L'Associazionismo ginnastico diede al calcio made in Italy i regolamenti stampati, molti dirigenti, la prima squadra campione tutta italiana. Quasi si può dire che svezzò il football, un prodotto alieno in quanto frutto della mentalità del nord dell'Europa, lasciando che il bambinetto camminasse da solo verso il suo futuro. Ma anche questa considerazione - l'avrete ormai capito - non ha tutti i crismi della verità storiografica. La vicenda dei primi passi del calcio italiano si presenta ben più complessa e articolata di quanto si è finora detto. Bisognerebbe parlare diffusamente del ruolo che ebbero gli svizzeri, amanti della tecnologia, portatori di un sapere pratico e che il football l'avevano appreso prima di noi nei loro collegi anglofili. E si dovrebbe scandagliare l'apporto degli studenti degli istituti tecnici e liceali, e perfino degli universitari, prezioso vivaio per le squadre sia di matrice ginnastica che sportiva. Per quanto riguarda l'area del nel nord-est, ci sarebbe da sviscerare il reticolo di connessioni tra le prime squadre venete e friulane con la cultura sportiva di lingua tedesca. Quel che è certo, è che si tratta di una storia oltremodo affascinante e che, fino a quando è stata raccontata dal giornalismo sportivo, non è emersa che in pochi punti: come un iceberg di cui si calpesta l'apice. Così, non ci deve sorprendere più di tanto il fatto che anche il grande Gianni Brera, nel suo magistrale libro "Storia critica del calcio italiano", pubblicato da Bompiani nel 1975, abbia considerato unilateralmente la questione; dei ginnasti vedendo solo la parte negativa:
(.) I vizi erano ancora quelli dei Gothen Klub teuto-scandinavi. I ginnasiarchi diffidavano del calcio, che forse avevano socialmente centrato come plebeo e per giunta violento. Quando gli appassionati di solo calcio li indurranno a far causa comune, i ginnasiarchi scopriranno le carte, decisamente scioviniste, e rifiuteranno ulteriori contatti: quasi sicuramente i pasticcioni polisportivi delle società ginnastiche non tenevano la botta degli specializzati, e avevano buon gioco dichiarandosi patrioti e xenofobi. I calciofili, intanto, facevano la loro strada divertendosi un mondo (.).
E' chiaro che, secondo Brera, il Milan rientrava di diritto nel novero degli "specializzati". Una specie, calcisticamente parlando, superiore. Il passaggio del Milan negli ambiti ginnastici durò in effetti poco. All'incirca un lustro: dal 1902 al 1907. Anni in cui relativamente scarse furono le opportunità per i milanisti di organizzare match interessanti, con qualcosa di tangibile in palio, fuori delle mura cittadine; per cui la partecipazione ai tornei ginnastici fu soprattutto uno stimolo a ricercare nuove avventure e squadre esotiche con cui confrontarsi. D'altronde, le feste ginnastiche che ospitavano le gare del calcio erano molto bene allestite, con folta partecipazione di un pubblico borghese ed elegante. I giornali vi dedicavano cronache particolareggiate. Gli spostamenti in treno risultavano economici, grazie a riduzioni speciali delle tariffe ferroviarie. Il servizio medico sempre di prim'ordine, vitto e alloggio quasi gratuiti. Parate, cortei, bande e ottoni allietavano il tutto. Era piacevole per i footballers esibirsi in un simile scenario. Le discrepanze a livello di regolamenti, cui si è accennato in precedenza, furono presto superate dalla volontà "modernista" di quei dirigenti della FGI, milanesi per lo più, che presero in mano la questione. Altri problemi permasero sul tappeto; in particolare, una certa avversione verso l'elemento "straniero", così radicato nel Milan. I rossoneri tennero botta con perfetto "aplomb" britannico. Freddi o ironici, a seconda del caso, vinsero lo stesso, a dispetto di tutto e di tutti. Erano davvero troppo forti. E quelle due o tre squadre che temevano veramente (il Genoa, la Juve, l'USM), ai concorsi ginnici non le videro mai.
|
Figura 10 : ginnasti al Velodromo Roma (1895), disegno dal vivo pubblicato su "L'Illustrazione Italiana" |
Un'ultima ragione per la meteorica comparsa del "Milan Cricket" (la definizione più frequente nei resoconti della FGI) nel firmamento ginnastico può essere individuata in una certa contiguità filosofica e d'intenti tra l'associazionismo ginnastico e la dirigenza rossonera. A parte il fatto che l'amateurism più puro accomunava i due soggetti, era presente nella FGI un lievito anticlericale che ai protestanti britannici del Milan non dispiaceva sicuramente. Come rivelò una ventina d'anni fa ad un giornalista del "Corriere della Sera" il prof. Richard Barnett, docente di Storia delle Religioni a Cambridge e pronipote del Barnett fondatore della società milanista, il diavolo effige del Milan CFBC deriva dalla fede protestante dei vari Kilpin, Davies, Hoode, Lies, Neville, Young, Heyes, Edward. I quali non amavano la Chiesa Cattolica Romana e le ingerenze dei preti. Il Diavolo incarnava l'etica imbevuta di pragmatismo e quello spirito del capitalismo che informava le classi borghesi frequentatrici delle società di ginnastica, e che aveva attirato personaggi quali i fratelli Pirelli. Per dire: fosse stata l'associazionismo sportivo cattolico a bandire campionati per il football in quegli anni, quelli del Milan non si sarebbero avvicinati. Se non altro perché, quando giocavano, le bestemmie si sprecavano. >>>
|