L'ARBITRO - E' un ex portiere, il cognome tradisce le origini giapponesi, ma il passaporto è peruviano: si chiama Yamasaki. La Germania se la prenderà parecchio con lui, più tardi. Il tabellino dei marcatori dice, dalla nostra parte: Boninsegna, Burgnich, Riva, Rivera. Nomi stampati nella memoria. Sicuramente in quella di Nando Dalla Chiesa, più tardi sociologo, politico e biografo di Gigi Meroni, in quel momento studente della Bocconi in una Milano agitata dalle proteste studentesche e dall'autunno caldo. Una combinazione che più tardi sarà ricostruita in La partita del secolo. Storia di Italia-Germania. La storia di una generazione che andò all'attacco e vinse (almeno quella volta). Una serata di calcio come capitolo di una storia. Il '68, l'uomo sulla luna, Italia-Germania...
GLI AVVERSARI - Anche i tedeschi, quel giorno, sono straordinariamente letterari. Secondo il poeta romano Fernando Acitelli, il maxi-centravanti Uwe Seeler è una "Ugola d'oro negli acuti di una grande Germania / da Fritz Walter a Haller / ma tramortita dall'italico genio". Franz Beckenbauer con il suo braccio al collo, è regale e stoico nel suo non mollare. Karl Heinz Schnellinger è l'uomo che pareggia nel secondo minuto di recupero il gol con cui Roberto Boninsegna ha aperto la partita.
"Uno spiovente dal fondo non è sempre inoffensivo / E al poker mai scherzare con i numeri 4/5 a picche... / Così il cross di Grabowski fu l'unica carta utile per la spaccata di Schnellinger e il colore dei supplementari". A quanto dirà dopo è stato il grande orologio di Azteca a suggerirgli l'incursione decisiva che porta alla deviazione vincente del suo piede numero 42: "L'ho visto e ho pensato: che ci sto a fare ancora dietro?". Gioca in Italia, nel Milan. Il suo allenatore Nereo Rocco gli dice spesso: "Torna dietro, Volkswagen!". Forse ripete pure stavolta la frase, ma è sugli spalti: Schnellinger non sente e segna l'unico gol delle sue storie calcistiche più importanti visto che con la nazionale tedesca finirà a quota uno e al Milan resterà incollato allo zero.
La partita dei tempi supplementari è un'eruzione.
Probabilmente "sente" la terra che calpesta, svuotata dalla pietra del vulcano Xitle. I minuti che scorrono sono una miscela di talento ed errori, celebrano l'arte del calcio, ma anche la sua imperfezione, la genialità ma anche la vulnerabilità dei suoi protagonisti, tutt'altro che supermen, piuttosto uomini in carne, ossa e fiatone. Muller segna bruciando Poletti, il pareggio è di Burgnich che addirittura - parole un po' sopra le righe di un reportage messicano - "lascia Sigfried Held morto sul terreno". A ogni rimettere la palla al centro, il foglio esce dalla macchina da scrivere per essere stracciato. Scrive sul Giorno Gianni Brera: "Noi abbiamo rischiato l'infarto, non per scherzo".
LA STAFFETTA - La critica si divide sul nome di Gianni Rivera, all'inizio spedito addirittura in tribuna dal c.t. Ferruccio Valcareggi, poi protagonista di una vera insurrezione con minaccia di ritorno in Italia per poter strappare un posto in squadra, quindi uomo della staffetta con Sandro Mazzola. S'è deciso alla vigilia: un tempo per uno, sarà staffetta. Quindi è già scoccato il momento di Rivera, che è ormai guarito dall'ineffabile mal di Montezuma che ha aggredito le sue prime giornate messicane, ma non fa in tempo a rubargli la perla di una serata che non dimenticherà.
Perché Italia-Germania diventerà anche un richiamo della nostalgia, il pretesto per ricordare un'epoca della propria vita come nella commedia di Umberto Marino, poi film con la regia di Andrea Barzini, in cui un gruppo di amici si ritrova a distanza di anni davanti al televisore alla ricerca (vana) di atmosfere, emozioni, amicizie che non possono essere più le stesse.
I SUPPLEMENTARI - Riva ha segnato il 3-2. Il primo supplementare è finito, si cambia campo. Con fatica. Il pallone ha requisito le energie rimanenti, pare essersele prese proprio tutte. Ma non s'accontenta. Gli occhi di mezzo mondo sono calamitati da quest'avvincente alternarsi di situazioni. La Gazzetta rivela che in un carcere messicano, a Tuxtla, Italia-Germania ha pure provocato un'evasione! "Ventitré detenuti, alcuni dei quali condannati per omicidio o tentato omicidio, sono fuggiti mentre le guardie seguivano alla televisione la trasmissione delle semifinali del campionato del mondo"...
La partita non è sazia, in un minuto inventa tutto e il suo contrario: Gerd Müller segna il 3-3! Ma ecco una fuga di Boninsegna e un passaggio verso Rivera.
"Se non avesse segnato, l'avremmo rinchiuso in un armadio dell'Azteca", ha raccontato più volte Gigi Riva. Che si spartì con il goleador decisivo l'immagine simbolo di quella notte. Diventata poi la cartolina più conosciuta della storia del calcio italiana, raggiunta ma forse non superata dall'urlo di Marco Tardelli 12 anni più tardi, durante un altro Italia-Germania. Riva abbraccia Rivera che quasi si sdraia sulle sue braccia. Quattro a tre. Ora che ha trovato la sua scena madre, la storia può pure finire. Anche se pochi italiani riescono ad andare a dormire. Fa caldo, sulla strada ci si ritrova scamiciati, zuppi di emozione, eccitati dalla festa.
Italia-Germania comincia la sua, interminabile seconda vita, traversa le generazioni, resiste nelle edicole, nelle librerie, in tv. Forse sbarca pure nei sogni. Di chi l'ha giocata, di chi l’ha vista, di chi se l’è fatta raccontare.
Valerio Piccioni
Dal sito www.pagine70.com
LA PARTITA DEL SECOLO
Italia - Germania del 1970 non fu una semplice partita di calcio. In essa si mescolarono tante di quelle componenti che alla fine fecero quasi passare in secondo piano il fatto puramente sportivo per innalzare quello puramente fiabesco. Italia - Germania rappresenta in se' il classico esempio di come, a volte, il naturale ed incredibile evolversi degli eventi riesce a superare anche la più fulgida immaginazione di uno scrittore professionista che decide di scrivere un romanzo su di una partita di calcio.
E' il 17 Giugno 1970. In Messico stanno per concludersi i Mondiali di Calcio. Quattro squadre sono giunte alle semifinali, quattro squadre possono cullare il sogno di alzare il trofeo più ambito da ogni calciatore. Il Brasile di Pelè, la Germania di Beckembauer, l' Uruguay di Cubilla e l' Italia di Rivera.
Le partite di semifinale si giocano in contemporanea alle ore 16: i brasiliani dovranno vedersela a Guadalajara con gli altri sudamericani dell' Uruguay mentre le due "europee" Italia e Germania si scontreranno fra loro a Città del Messico.
E' sempre il 17 Giugno 1970. Spostiamoci ora definitivamente allo Stadio Azteca, stracolmo degli oltre 103.000 spettatori che può contenere. Le nazionali di Italia e Germania fanno lentamente il loro ingresso in campo. Picchia forte il sole, e picchia forte ancor di più l' idea fissa che assale i 22 protagonisti in campo. Si rendono perfettamente conto di essere ad un passo da quel sogno coltivato fin da bambini; ancora 90 minuti di sofferenza per poi andarsi a giocare la partita della vita. Ma quel giorno, a Città del Messico, il destino aveva già deciso: molti minuti in più e molte altre sofferenze sarebbero servite ai contendenti per guadagnarsi il tanto agognato biglietto per la finale e battersi contro il formidabile Brasile.
L'eterno dilemma di Valcareggi di schierare Rivera o Mazzola alla fine viene risolto con l'utilizzo di quest'ultimo. Partono bene gli azzurri, subito all'attacco ed all'ottavo minuto già in vantaggio. E' Boninsegna a mettere in rete il gol che taglierà le gambe ai tedeschi per quasi tutto l' incontro. La partita segue un canovaccio ben delineato: la Germania alla disperata ricerca del pareggio e gli azzurri a colpire in contropiede cercando di mettere a segno il gol della certezza.
Quando ormai i giochi sembrano fatti ed le lancette del cronometro cominciano a compiere l' ultimo dei 90 minuti regolamentari arriva l' imponderabile: il difensore tedesco Shnellinger, sganciatosi in avanti alla disperata, colpisce di piatto infilando la porta di Albertosi. E' il 90° ed in Italia si stavano già stappando bottiglie e ci si stava preparando a scendere in strada per festeggiare. Una beffa.
Si va dunque ai supplementari, quei trenta minuti in più da giocare che resero veramente storica questa partita. Al sesto minuto del primo tempo supplementare, visto che le disgrazie non vengono mai da sole, ecco la seconda beffa: Gerd Muller, sfrutta un malinteso della difesa azzurra e deposita la palla in fondo al sacco. E' incredibile, dopo aver accarezzato il sogno della finale l' Italia in soli 6 minuti si ritrova inaspettatamente in svantaggio. Passano soli 3 mimuti e torna l'equilibrio: e' Burgnich a mettere in rete sfruttando al meglio una punizione di Rivera mal controllata dalla difesa tedesca. 2-2. Il telecronista Nando Martellini, nell' occasione disse: "Il difensore Burgnich ha restituito il gol messo a segno dall' altro difensore Schnellinger e siamo di nuovo in parità". Era cosa abbastanza rara che agli inizi degli anni 70 un difensore potesse andare a rete.
L' Italia insiste, ora sa che può farcela e due minuti dalla fine del primo tempo supplementare riassaporiamo il profumo della vittoria. Da Rivera a Domenghini, cross per Riva che controlla e sferra un tiro che batte Maier e ci porta sul 3-2. Andiamo al riposo in vantaggio.
Tornati in campo dopo soli 5 minuti la Germania riacciuffa il pareggio. A segnare è ancora il piccolo Gerd Muller che infila Albertosi per la terza volta in una circostanza a dir poco rocambolesca: la palla, colpita dal centravanti tedesco, passa proprio accanto a Rivera che era appostato a protezione del palo. Un tiro assurdo che a guardarlo cento volte non si riesce ancora a capire come possa essere entrato. I tedeschi festeggiano, gli azzurri sono increduli. 3-3.
Palla al centro. Uno, due, tre passaggi. Fuga di Boninsegna sulla sinistra, palla al centro per Rivera che si trova praticamente la porta spalancata con il solo portiere Maier a tentare di difenderla. E' magico quel colpo di piatto, è storico, è preciso. Maier da una parte e pallone dall' altra. E' il gol del 4-3. E' il gol della vittoria. E' il gol che trascina milioni di italiani in strada e che ci regala la possibilità di andarci a giocare una finale del Campionato del Mondo. E' l'epilogo di quella che è da sempre considerata la partita del secolo. Allo Stadio Azteca di Città del Messico, in memoria di quell' incontro memorabile, fu messa una targa. La targa è ancora lì. Anche il cuore di tutti noi è rimasto ancora lì, a quell' assolato pomeriggio messicano che ha mostrato al Mondo intero il grande Cuore di una grande nazione, la nostra.
Di Carlo Nesti
Chi si ricorda che cosa è successo nella notte fra mercoledì 17 giugno e giovedì 18 giugno 1970? Chi rammenta quale vortice di passione si è impossessato del nostro cuore di italiani? Avevo 15 anni, e quella notte andava in onda il film più bello della mia vita, con il piccolo e non trascurabile dettaglio che non si trattava di finzione, ma di realtà. Era la veglia di Italia-Germania Ovest 4-3, l'inizio dell'estate aveva già riscaldato l'aria, e le finestre di tutte le case erano aperte, lasciando entrare le note dell'inno nazionale. Uscendo sul terrazzo, durante i tempi regolamentari, mi accorsi che il cortile sembrava diventato Piazza San Pietro, quando la voce del Papa viene amplificata 100 volte. Nel buio, vedevo decine e decine di luci accese, il timbro di Martellini rimbalzava da un condominio all'altro, e pareva che un enorme megafono gravasse sulle nostre teste. Mio zio, la prima persona che mi ha insegnato ad amare il calcio, guardava la partita al piano di sotto, e ogni tanto si faceva vivo al citofono, per scambiare due parole con me. Quando Schnellinger segnò il gol dell'1-1, a tempo scaduto, corsi sul balcone, e presi a calci la vetrata, rischiando di volare dal terzo piano direttamente nel cortile. Quando Muller segnò il gol del 2-1, all'inizio dei tempi supplementari, reagii come un automa, impugnai il citofono, e da adulto, cresciuto prima del tempo, dissi soltanto: "Zio, è finita!". Poi, come nelle belle favole, Burgnich realizzò il 2-2, e Riva il 3-2, ed io, travolto dall'abbraccio di mio padre, cominciai a chiedermi se, a quell'ora della notte, stavo già sognando. Dopo l'ennesimo pareggio della Germania, mi sentii il bambino al quale viene detto, per la prima volta, che Babbo Natale non porta più regali, perché non esiste. Mi rimisi a sedere, prostrato, rassegnato, e attesi 5-10 secondi, guardando il pallone che, tenacemente, eroicamente, Boninsegna spingeva verso la linea di fondo. Cross, piatto destro di Rivera e… dentro di me, quella sfera calciata mirabilmente, verso l'angolo alla destra di Maier, sembrò impiegare mezz'ora prima di gonfiare la rete. Ma sì, era gol! Era ancora gol! Ed era il gol della vittoria: 4-3! Non guardai più nulla. Corsi sul balcone, mi venne voglia di piangere, e sentii centinaia di persone urlare dalle altre case. Pensai che per tutta la vita avrei ricordato quell'istante, e cercai di prolungarlo il più possibile, ubriaco di felicità: non mi sbagliavo, perché adesso sono ancora qui a riviverlo con voi.
Di Gianni Brera (da “Il Giorno”, 18 giugno 1970)
“Il vero calcio rientra nell' epica... la corsa, i salti, i tiri, i voli della palla secondo geometria o labile o costante..."
Non fossi sfinito per l' emozione, le troppe note prese e poi svolte in frenesia, le seriazioni statistiche e le molte cartelle dettate quasi in trance, giuro candidamente che attaccherei questo pezzo secondo ritmi e le iperboli di un autentico epinicio. Oppure mi affiderei subito al ditirambo, che è più mosso di schemi, più astruso, più matto, dunque più idoneo a esprimere sentimenti, gesti atletici, fatti e misfatti della partita di semifinale giocata all' Azteca dalle nazionali d'Italia e di Germania.
Un giorno dovrò pur tentare. Il vero calcio rientra nell' epica: la sonorità dell' esametro classico si ritrova intatta nel novenario italiano, i cui accenti si prestano ad esaltare la corsa, i salti, i tiri, i voli della palla secondo geometria e labile o costante...Trattandosi di un tentativo nuovissimo, non dovrei neanche temere di passare per presuntuoso. "Se tutti dovessero fare quello che sanno", ha sentenziato Petrolini, "nulla o quasi verrebbe fatto su questa terra".
È vero. Prima di costruire il ponte di Brooklyn, l' architetto che lo progetta non è affatto sicuro di esserne capace. Io stesso, disponendomi a cantare una partita di calcio, non saprei di poterne cavare qualcosa di valido. Però la tentazione è grande: ed io rinuncio adesso perché sono stremato, non perché non senta granire dentro la voglia di poetare. Italia-Germania è giusto di quelle partite che si ha pudore di considerare criticamente. La tecnica e la tattica sono astrazioni crudeli.
Il gioco vi si svolge secondo meno vigili istinti. Il cuore pompa sangue ossigenato dai polmoni con sofferenze atroci. La fatica si accumula nei muscoli male irrorati. La squadra, a stento nata traverso la applicazione assidua di molti, si disperde letteralmente. Campeggia su diversi toni l' individuo grande o fasullo, coraggioso o perfido, leale o carogna, lucido o intronato. Se assisti con sufficiente freddezza, annoti secondo coscienza. Non ti lasci trasportare, non credi ai facili sentimenti, non credi al cuore (anche se romba nelle orecchie e salta in gola). Ho sempre in mente di aver cercato invano di capire come siano andate realmente le cose nella finale mondiale 1934. Nessun cronista italiano aveva visto: tutti avevano unicamente sentito.
Ora mi terrorizza l' idea che qualcuno debba scorrere un giorno questo articolo senza capire né poco né punto come si sia svolta la memorabile semifinale Italia-Germania dei mondiali 1970. Retorica ne ho fatta solo a rovescio, giustificando la mia umana impotenza a poetare. Ho dato un. idea di quanto avrebbe meritato lo spettacolo dal punto di vista sentimentale? Bene, non intendo abbandonarmi a iperboli di sorta.
Fuori dunque le cifre: e vediamo di interpretarle secondo onestà critica e competenza. Soffoco i miei sentimenti di tifoso con fredda determinazione. Parliamo allora di calcio, non di bubbole isteroidi. I bravi messicani sono impazziti a vedere italiani e tedeschi incornarsi con tanto furore. Adesso fanno i loro ditirambi. Pensano di apporre una lapide all' Azteca. Sarei curioso di leggere: e magari di veder fallire in altri la voglia di poetare ore rotundo.
I nostri ospiti hanno gaiamente bruciato adrenalina ad ogni sconquasso, e Dio sa quanti ne siano stati perpetrati in campo. Ma domenica c'è Italia-Brasile, e sarà, garantito, anche peggio. Basterà una lapide un po' più grande per ricordare tutto. Non anticipiamo, please. In finale sono due "equipos bicampeones": dunque è sicuro (a meno di eventi imponderabili) che la Coppa Rimet avrà finalmente un padrone definitivo. Questo conta!
La squadra azzurra, benchè gloriosissima finalista, non va troppo lodata per ora. Guardiamola freddamente. L' Italia è finalista, con il Brasile, della Coppa Rimet: questo può bastare alla nostra gioia di tifosi, anche se sul partitone di ieri, che ci ha portato a battere i tedeschi, è meglio ragionare, di modo che non si gonfino equivoci pericolosi. La prima doverosa constatazione è questa: gli italiani si sono battuti, quasi tutti, con slancio virile, molto ammirevole e, in certo modo, sorprendente. È difficile non dirsi fieri di questi guaglioni, dopo quanto si è visto e sofferto.
Se l' altura non è un' opinione, vinceremo per la terza volta i mondiali: questo ho detto e ripeto. Ma bisognerà che non giochiamo come s'è fatto ieri, proprio no. La memorabile partita è stata avvincente sotto l'aspetto agonistico e spettacolare: si è conclusa bene per noi, e questo è il suo maggiore pregio, ai miei occhi disincantati. Sotto l' aspetto tecnico-tattico, è da ricordare con vero sgomento. Sia gli italiani sia i tedeschi hanno fatto l'impossibile per perderla. Vi sono riusciti i tedeschi.
Evviva noi! Errori ne sono stati commessi millanta, che tutta notte canta. I tedeschi ne hanno forse commessi meno di noi, ma uno solo, madornale, è costato loro la sconfitta. Enumero gli errori italiani. Si parte con Mazzola, buon difensore, si segna e si regge benino. Marcature discutibili (su Seeler andava messo d'urgenza Burgnich): ma all' avvio tutto fila. Boninsegna tenta di servire Riva, stolidamente soffocato in mischia, riceve un rimpallo di Vogts e cannoneggia a rete: sinistro imperdonabile: gol. È il 7' . I tedeschi arrancano grevi. Giocano con tre punte e mezzo, come con gli inglesi: le ali, Muller e Seeler. Acuiscono via via il forcing ma non cavano più di due tiri-gol di Grabowski: li sventano Rosato e Albertosi. Muller conclude fuori una volta. Seeler non riesce a tirare affatto: rifinisce soltanto.
Gli italiani concludono spesso con Riva, tuttavia mal situato. Mazzola tiene Beckembauer e potrebbe segnare al 40' se l'arbitro gli concedesse la regola del vantaggio. Facchetti inciampa nei piedi di Beckembauer, lanciato a rete, e lo fa ruzzolare. Un arbitro meno onesto darebbe rigore (17' ). Riva spreca di testa una palla-gol (40') e un' altra ne sbuccia a metà (parata in angolo di Maier:42').
Secondo tempo. Mazzola e Boninsegna sono stati avvertiti il mattino che uno di loro verrà sostituito da Rivera. Nell'intervallo si sostituisce Mazzola, il migliore in campo. Un collega tedesco, Rolf Guenther, sospira: "L' ultima nostra speranza è riposta in Rivera". Maledetto. Come sostituire Bonimba, pure molto bravo, e autore del gol? Dunque, fuori Mazzola. Entra Rivera e assiste smarrito al forcing tedesco, sempre più acre. Domenghini è chiamato su Beckembauer ma, ben presto, Schoen manda in campo Libuda, a destra, sul più sciagurato Facchetti dell' anno, e poi addirittura espelle Patzke e getta in mischia Held, un grintoso biondone dal piglio da ss. Domenghini deve dividersi, a soccorso di tutti.
Il forcing tedesco è così fiducioso che Riva al 5' e Rivera al 12' possono battere a rete autentiche palle-gol. Purtroppo sono sciape, e Maier le para entrambe. Sotto Albertosi, continue gragnuole. Seeler giganteggia, sgomitando Bertini e venendone sgomitato. Mischie furenti nella nostra area. Due falli da rigore rilevati per onestà (e dàlli): Rosato su Beckembauer e Bertini su Seeler. Una rimbombante traversa di Overath (19' ). Una respinta di Rosato sulla linea. Un gol sbagliato da Muller. Due o tre parate gol di Albertosi.
I tedeschi ci assediano. Rivera guarda. Domenghini affoga. Dal'area, continui richiami. Nessuno torna, dalle posizioni di punta (eppure Riva è meglio in difesa che all' attacco, di questi tempi: sissignori). Il predominio tedesco è avvilente. Il pubblico ruggisce all' ingiustizia del punteggio. I tedeschi attaccano con Libuda, Seeler, Muller, Held e Grabowski di punta, e dietro loro premono Beckembauer e Overath. Un vero disastro. Una sproporzione di forze impressionante. Valcareggi prende atto. Io arrivo ad augurarmi che segnino alla svelta i tedeschi perchè mi vergogno (e ne soffro).
Sono difensivista convinto ma questo non è calcio: è una miseria pedatoria. E anche stupidità. Non abbiamo vigore sufficiente al facile contropiede. I tedeschi schiumano rabbia. Infine pareggia Schnellinger, al 47' 30". E meno male che è lui, der italiener. Non l' abbiamo corrotto: Carletto è onesto Segna. È la sesta punta. Schoen gioca senza libero, ormai. Vogts su Riva e Schultz su Bonimba. Gli altri, tutti avanti (per nostra fortuna).
Tempi supplementari. Si fa male Rosato, entra Poletti. A parte una lecca a Held, che se la merita, gioca di punta per i tedeschi, e segna al 5' . Cross di Libuda (che inciucchisce Facchetti), testa a rifinire di Seeler: palla morta in area, Poletti non stanga via, accompagna di petto verso porta: Muler si frappone: Poletti e Albertosi fanno la magra: 1-2. Sciagura. Pubblico osannante. Meritiamo, meritiamo, come no?
Ma qui incominciano gli errori tedeschi. Pur imitando Ramsey, Herr Schoen ci ha preso per degli inglesi. E insiste a WM. Vogts commette fallo su Riva. Rivera tenta il pallonetto perché incorni qualcuno: chi c'è in area tedesca? Il furentissimo Held. Il quale di petto mette graziosamente palla sul sinistro di Burgnich, l'immenso: 2-2. Dice che il pubblico si diverte, a questi scempi. Il critico prende atto: ma rabbrividisce pure.
I tedeschi sono proprio tonti: ecco perché li abbiamo quasi sempre battuti. Nel calcio vale anche l' astuzia tattica non solo la truculenza, l' impegno, il fondo atletico e la bravura tecnica. I tedeschi seguitano a pencolare avanti in massa. Così segna anche Riva. Domenghini si ritrova all' ala sinistra (dove non è il mio grande grandissimo sbirolentissimo Bergheim?): crossa basso: trova Riva. Riva tocca a lato di esterno sinistro, secco, breve: scarta di netto Vogts ed esplode la rituale mancinata di collo. Gol strepitoso.
É il 14' del primo tempo supplementare. I tedeschi sono anche eroici (e quante botte pigliano e danno). Sono stanchi morti, ma quando Seeler suona il tamburo (con il gomito in faccia a Bertini) tutti ritrovano la forza per tornar sotto e pareggiare. É angolo a destra. Batte Libuda. Seeler stacca da sinistra e rispedisce a destra: Muller dà una incornatina che Albertosi segue tranquillo: sul palo è Rivera (ma sì, ma sì): il quale sembra si scansi. Albertosi lo strozzerebbe. Rivera china il capino zazzeruto e la fortuna sua e nostra gli offre subito il destro di salvare sé e la squadra. É il 6' : lanciato sulla sinistra: Boninsegna ingaggia l' ennesimo duello con il cottissimo Schultz: riesce a crossare basso indietro: i pochi tedeschi in zona sono su Riva. Rivera in comodo allungo si trova la palla sul piatto destro e freddamente infila Maier, già squilibrato prima del tiro.
Adesso è proprio finita. I tedeschi sono battuti. Beckenbauer con braccio al collo fa tenerezza ai sentimenti (a mi, nanca un po' ). Ben sette gol sono stati segnati. Tre soli su azione degna di questo nome: Schnellinger, Riva, Rivera. Tutti gli altri, rimediati. Due autogol italiani (pensa te!). Un autogol tedesco (Burgnich). Una saetta di Bonimba ispirata da un rimpallo fortunato.
Come dico, la gente si è tanto commossa e divertita. Noi abbiamo rischiato l' infarto, non per ischerzo, non per posa. Il calcio giocato è stato quasi tutto confuso e scadente, se dobbiamo giudicarlo sotto l'aspetto tecnico-tattico. Sotto l'aspetto agonistico, quindi anche sentimentale, una vera squisitezza, tanto è vero che i messicani non la finiscono di laudare (in quanto di calcio poco ne san masticare, pori nan).
I tedeschi meritano l' onore delle armi. Hanno sbagliato meno di noi ma il loro prolungato errore tattico è stato fondamentale. Noi ne abbiamo commesse più di Ravetta, famoso scavezzacollo lombardo. Ci è andata bene. Siamo stati anche bravi a tentare sempre, dopo il grazioso regalo fatto a Burgnich (2-2). L' idea di impiegare i dioscuri Mazzola e Rivera è stata un po' meno allegra che nell' amichevole con il Messico. Effettivamente Rivera va tolto dalla difesa. Io non ce l' ho affatto con il biondo e gentile Rivera, maledetti: io non posso vedere il calcio a rovescio: sono pagato per fare questo mestiere. Vi siete accorti o no del disastro che Rivera ha propiziato nel secondo tempo?
Tutto all'aria, tutto sconnesso. Se non vedete e amate, almeno rispettate chi vede, e proprio perché vede si raccomanda che Rivera sia punta o mezza punta, non centrocampista, mai! Da punta è andato benissimo, sia nell' amichevole con il messico, sia con gli stessi tedeschi, sebbene di palle ne abbia lavorate assai poche. I sentimentali, immagino, avranno cantato sonori peana per tutti. Preferisco attenermi alla realtà non senza ringraziare i tedeschi per la loro cieca dabbenaggine tattica e l'arbitro Yamasaki per la sua vigile comprensione...
Ora siamo in finale, e si può vincere. Ma bisogna condurre veramente la squadra, non guardarla atterriti dalla panchina. Valcareggi e Mandelli, guidati da Franchi (ma sì) hanno molta fortuna: Napoleone gradiva moltissimo i generali fortunati. Sono graditi anche da noi, benché siamo tifosi e non imperatori. Però la fortuna - alla lunga - meritata. Mercoledì è stata meritata, onestamente: e fortuna è stata anche quella di non vincere 1-0 in 90' rubando la partita da pitocchi, dopo la rabbiosa e squassante offensiva tedesca.
Il 4-3, a pensarci, legittima tutto: anche le nostre fondate ambizioni a vincere definitivamente la rimet. Ma se commettiamo gli sfondoni di mercoledì con il fiero e disinvolto Brasile, poco poco ne prendiamo de goleada. Attenti, allora. Da domani studiamo la partita, ci ragioniamo su e vediamo com'è possibile farla nostra, se davvero sarà possibile.
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