Da "I Diavoli fanno ginnastica" - di Marco Impiglia
Gli errori sui regolamenti e la questione arbitrale
La scomparsa della sezione calcio della Mediolanum ci testimonia di un disagio crescente, che è poi quello stesso ravvisato da Brera quando scrive dei "pasticcioni polisportivi" delle società di ginnasti. Non tutti, all'interno del movimento, apprezzavano l'indirizzo prettamente agonistico che avevano preso i giochi. Il football, per sovraccarico, era l'unico dei tre giochi di squadra adottati che consentisse il contatto fisico. Strali di critiche vennero lanciati dal maestro Alfonso Manarini, conduttore della Palestra Ferrara. In una lettera indirizzata a "Il Ginnasta" e datata 29 agosto 1903 (ma pubblicata il 15 ottobre), sul calcio in particolare la disamina di Manarini fu feroce:
"Constato con dolore che in materia di giuochi noi Italiani siamo umili tributari degli Inglesi, dei Tedeschi, dei Francesi, ecc. Per imitare pecorilmente i primi, si è stabilito che perfino le loro misure devono rispettarsi come cose sacre. Infatti il raggio della circonferenza nel centro del campo del Calcio deve essere di m. 9,20 - la luce della porta deve essere di m. 7,30 x 2,665 - ed infine lo spessore dei pali che limitano la porta non deve essere superiore a cm 7 e a millimetri 5!!! Risum teneatis! Aggiungo che quando i ginnasti giocano al Calcio, vestono, mangiano, devono e bestemmiano all'inglese! E dire che il Calcio è un giuoco italiano! Di qui, per carità di patria, la necessità di rendere i giuochi che non sono italiani, adatti all'indole nostra, e se possibile inventarne. Intanto io penso: per economia di tempo e di denaro, e per generalizzare con più facilità i giuochi fra noi, non si potrebbe istituire un Campo unico di giuochi, che colle stesse proporzioni tutti li raccogliesse? Data la ragionevolezza della cosa potrebbe darsi il fatto che un giorno altri imitassero noi. A diminuire dunque moltissimi inconvenienti che si verificano nelle nostre gare di giuochi, secondo me, occorrerebbe ridurre al minimo le innumerevoli regole più o meno giuste e più o meno necessarie che inceppano i giuochi, ed applicare con fermezza poche, semplici ed indispensabili norme (.)"
Luigi Bosisio, in qualità di Direttore della Commissione dei Giuochi, dalle pagine del bollettino e da quelle de "La Gazzetta dello Sport" (4 dicembre 1903), rispose per le rime agli appunti del Manarini. Disse in sostanza che le regole proposte, valide in prova per un anno, erano razionali in quanto elaborate dalla "lunga esperienza e del consiglio di molti". Riguardo al calcio, del cui regolamento egli era stato l'estensore, la sua difesa fu quanto mai logica ed efficace:
"(.) Ab antico avevamo un giuoco nostro, ma per giocarlo tale e quale avremmo dovuto ritornare ai tempi Medicei che Dio ci liberi! I nostri buoni babbi, le pie mammine raccapriccerebbero al solo pensarci. Diceva il Gabrielli (in riferimento all'introduzione di "Giuochi Ginnastici", ndA) "era allora il calcio un giuoco dove la corsa, la lotta, la pugna avevano il sopravvento". Che in gergo tradotto significa gambe rotte, costole idem. Assistenza pubblica in permanenza. Gli Inglesi ci offrivano un regolamento più umano, razionale, studiato, e provato per l'esperienza di lunghi anni; ora io mi domando: qual male per prenderlo in prova? Sarebbe per noi disdoro copiare le cose brutte, mai quelle belle, ed il regolamento inglese per l'association è universalmente accettato. La terminologia è italiana, le misure sono stabilite traducendo in metriche quelle inglesi, e che ragione di mettere per caso 7 metri invece dei 7,30 o 2 metri invece dei 2,45 della porta (e non 2,65)? E via dicendo. Datemi dei criteri frutto di un ragionamento, per cambiare queste benedette misure ma non modificatele per il gusto di cambiare, di far cosa nuova, magari a sproposito e per opposizione sistematica! (.)"
Ai primi di dicembre del 1903 un Consiglio Federale Straordinario, riunito a Firenze, discusse e accolse in toto la rielaborazione dei regolamenti dei giochi; tra cui ovviamente il codice del calcio, articolato ora su undici punti. Nel gennaio del 1904 venne stampato a Roma un libello dei regolamenti dei giochi approvati a Firenze, di formato tascabile e quindi di facile consultazione. In vista c'erano i Campionati Nazionali a Firenze nell'ambito del VI Concorso Ginnico Nazionale. Purtroppo, nel regolamento del calcio apparve stampata una misura inesatta delle porte. Bosisio se ne accorse al momento in cui ebbe tra le mani i libretti freschi d'inchiostro. Tentò di cambiare le cose in corsa, ma inutilmente. Leggiamo un suo articolo dalla "Gazzetta" dell'11 aprile 1904:
"Abbiamo ricevuto il libretto contenente i regolamenti giuochi e ci affrettiamo per intanto a far subito notare quanto segue: La porta, nel giuoco del Calcio, deve misurare metri 7.30 per 2.45 di luce e non 2.65 come è accennato nel regolamento stesso. Tre volte nel nostro giornale abbiamo scritto a proposito di questo errore! Il nostro redattore ha scritto a Roma altrettante volte senza nulla ottenere. Pare impossibile che un errore sfuggito per un "lapsus calami" nella compilazione del regolamento sia diventato legge per trascuranza dei riformatori di Firenze. A buon governo dei profani diremo che il regolamento francese mette l'altezza della porta a m. 2.40. L'inglese a 8 piedi e cioè 2.4332. Il regolamento Gabrielli a 2.50, quello del prof. Marchetti 2.50; è dunque una ostinazione ingiustificata quella di voler fissare 2.65. Aggiungeremo che la misura di 2.45 rappresenta l'altezza cui un uomo di statura regolare a mani in alto può arrivare con un salto. Speriamo che si vorrà provvedere in tempo onde non avere seccature alle prossime gare Federali."
Oltre alla questione delle misure, anche quella della difficoltà degli arbitraggi e della possibilità di cambiare il referee con una giuria fu oggetto di animate discussioni. Stralciamo dalla "Gazzetta" del 21 marzo 1904 un articolo non firmato ma con tutta probabilità di Bosisio, intitolato Il mestiere dell'arbitro è un mestieraccio:
(.) Noi che abbiamo assistito a centinaia di partite, ci siamo convinti che le responsabilità di un arbitro sono troppo gravi specialmente quando il malanimo dei giocatori o del pubblico pongono ostacolo al regolare andamento di una partita. Ci siamo informati presso esimi giuocatori, e ci è stato detto che anche all'estero non succede diversamente (.) L'entusiasmo dei giovani e del pubblico, quando è sano, corretto, educato, è una gran bella cosa. Ma il passo dall'entusiasmo alla claque più sfacciata è breve, né ci è dato trovare una misura che valga a dividere i due generi di manifestazione del sentimento della massa. In qualche recente congresso si era detto di nominare 5 giurati, i quali di comune accordo decidessero dell'andamento di una partita, ma la cosa è caduta da se stessa. Il giuoco del calcio è tale che richiede la pronta immediata matematica decisione di una controversia qualunque, il tempo vola i giuocatori sono impazienti di proseguire il giuoco quindi non varrebbe assolutamente il responso di 5 persone, le quali devono puta caso ad ogni fallo radunarsi, discutere, e deliberare anche a scheda segreta. No, no! I giocatori ed il pubblico specialmente devono imparare a conoscere il giuoco prima di gridare (.)
A questo articolo il Manarini oppose immediatamente un intervento pubblicato sul foglio "La Palestra Ginnastica"; in esso il solerte professore affermò che un arbitro e due guardialinee non potevano essere garanzia sufficiente per una partita di calcio: ci voleva la giuria. Allora Bosisio pubblicò sulla "Gazzetta" un pezzo che proponeva ai lettori interessati, cioè i footballers, due quesiti: 1) Per un impianto regolare di una partita è possibile avere più di un arbitro e due guardialinee? 2) Se è possibile ed è quindi ammessa l'opera di un collegio di arbitri, 3, 5 e anche di più, come devesi svolgere il loro mandato? Quattro giorni dopo, il giornale pubblicò le lettere pervenute da Suter, Kilpin, Angeloni e Recalcati. Tutti e quattro respinsero l'idea dei giurati. Heinrich Suter adducendo che la cosa avrebbe generato solo "confusione", e governare il gioco sarebbe divenuto "impossibile". Daniele Angeloni, all'epoca segretario del Milan, rilevò che il regolamento inglese tradotto dalla Federazione Ginnastica andava benissimo, e che l'avvento di una giuria avrebbe portato a inevitabili difformità di giudizio. Agostino Recalcati, già campione col Milan nel 1901, propose piuttosto il raddoppio dei guardialinee da due a quattro, innovazione che avrebbe aiutato l'arbitro nel suo operato. Herbert Kilpin, lapidario come il suo compagno di reparto Suter, scrisse testualmente:
"Onor. Redazione della Gazzetta dello Sport - Città.
In merito al quesito proposto ai Foot-ballers nell'ultimo numero di questo pregiato periodico mi permetto esprimere il mio parere, dicendo che un arbitro solo (con due linesmen) è sufficiente, quando abbia una assoluta competenza tecnica e. gambe buone per seguire sempre la palla.
H. Kilpin, Capitano del Milan F.C. Club"
La polemica arbitrale durò ancora un mesetto sulle pagine della "Gazzetta"; innervata dagli interventi di Calì, Camperio, Magni e Varetti della Mediolanum, e per finire anche da un lettera di Manarini. Il professore chiuse una volta per tutte la questione ricordando come lo stesso "compianto maestro Gabrielli" avesse chiaramente lasciato scritto nel suo trattato che, "a capo del giuoco", ci dovesse essere un "direttore assistito da giudici".
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