(Archivio Magliarossonera.it)
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Juan Alberto SCHIAFFINO |
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Nato il 28.07.1925 a Montevideo (URU), † il 13.11.2002 a Montevideo (URU)
(deceduto in una casa di riposo, che lo ospitò da quando rimase vedovo)
Interno sinistro (C), m 1.75, kg 69
Stagioni al Milan: 6, dal 1954-55 al 1959-60
Soprannome: “Pepe”
Proveniente dal Penarol
Esordio nel Milan in gare ufficiali e in Campionato (Serie A) il 19.09.1954: Milan vs Triestina 4-0
Ultima partita giocata con il Milan il 05.06.1960: Atalanta vs Milan 0-0 (Campionato)
Totale presenze in gare ufficiali: 171
Reti segnate: 60
Palmares rossonero: 3 Scudetti (1954-55, 1956-57, 1958-59), 1 Coppa Latina (1956), 1 finale di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid (1958)
Esordio in Nazionale Uruguayana: nel 1946
Ultima partita in Nazionale Uruguayana: nel 1954
Totale presenze in Nazionale Uruguayana: 21
Reti segnate in Nazionale Uruguayana: 8
Esordio in Nazionale Italiana il 05.12.1954: Italia vs Argentina 2-0
Ultima partita in Nazionale Italiana il 15.01.1958: Irlanda del Nord vs Italia 2-1
Totale presenze in Nazionale Italiana: 4
Reti segnate in Nazionale Italiana: 0
Palmares personale: 1 Campionato del Mondo (Mondiali Brasile 1950, Nazionale Uruguayana), 1 Coppa delle Fiere (1961, Roma), 3 Campionati Uruguayani (1949, 1951, 1953, Penarol)
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Ha giocato anche con il Penarol (A, 1943-1954) e la Roma (A, 1960-62).
Ha allenato la Nazionale Uruguayana.
Conobbe sua moglie Angelica nel 1942 e non ebbero figli.
Schiaffino, che stravedeva per lei, fece inserire nel contratto che lei lo potesse seguire addirittura in ritiro.
La moglie Angelica scomparve sei mesi prima che lui la raggiungesse definitivamente.
"Nel 1950, in Brasile, l'Uruguay vinse per la seconda volta la Coppa del Mondo, battendo nell'incontro decisivo al Maracanà di Rio de Janeiro, di fronte a duecentomila spettatori, proprio i padroni di casa. Stella della squadra campione era Juan Alberto Schiaffino, detto "Pepe" per il caratterino non proprio tranquillo che era stato il protagonista della vittoria uruguaiana contro i Carioca. Nel 1954 lo splendido fuoriclasse sudamericano venne ad elargire preziose dimostrazioni del suo talento anche in Italia, nelle file del Milan di Andrea Rizzoli che, avendo sostituito ai vertici della Società Trabattoni proprio quell'anno, aveva voluto inaugurare la presidenza con un "colpaccio". Il Penarol cedette Schiaffino, nato il 28 luglio 1925 a Montevideo da genitori di origine italiana, credendolo ormai sul viale del tramonto: aveva infatti 30 anni. Fu un errore grossolano: "Pepe" giocò splendidamente nel Milan fino a 36 anni, adorato dai tifosi per le sue squisite giocate e i raffinati tocchi di palla. Arrivato in una squadra orfana del "Professore" Gren ma ancora ricca di campioni, l'asso uruguaiano diede un contributo fondamentale che consentì a quel Milan di vincere il quinto scudetto della sua storia. Con l'illuminata regia di "Pepe" in coppia con l'eterno, fantastico Liedholm, i rossoneri stracciarono le avversarie e, per l'ennesima volta, proiettarono il "Pompierone" Nordhal in vetta alla classifica cannonieri. Schiaffino è stato un grandissimo del calcio mondiale, uno di quei campioni così magnificamente dotati, così perfetti, da essere perle assai rare, quasi che la natura, saggiamente, la elargisca con il contagocce perché possano essere apprezzate appieno.
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Stupendo centrocampista con una intelligenza ed una visione di gioco che gli permettevano di seguire e prevedere, veloce come nessun altro, gli sviluppi dell'azione, con il suo finissimo talento produceva un gioco limpidissimo, pulito, così asettico. Il suo tocco di palla era prezioso e puro come un brillante. Il Milan ebbe il privilegio di schierare il campione sudamericano per sei stagioni in 122 incontri, nei quali ha realizzato 47 gol. In rossonero Schiaffino ha firmato 3 scudetti, nel 1955, nel 1957 e nel 1959. Ha giocato anche nella Nazionale Italiana. Nella stagione 1960-61 passò alla Roma dopo aver passato il testimone al giovanissimo Gianni Rivera, che ereditò la sua maglia numero 10, il cui acquisto era stato caldeggiato proprio da Schiaffino. Per un campione che usciva di scena ed entrava nel mito, un nuovo sole veniva a risplendere nel firmamento del calcio italiano: la leggenda continuava." (Dal "Calendario Storico del Milan 1992", Alberto Peruzzo Editore) |
"Cresciuto nel Penarol, con cui ha vinto 3 titoli nazionali, nel 1950 Schiaffino fu tra i protagonisti della vittoria della Nazionale Uruguayana ai Mondiali brasiliani. In finale la selezione biancoceleste superò proprio i padroni di casa per 2 a 1 con reti di Schiaffino e Ghiggia. Tra i giocatori verdeoro ci fu anche chi, come il difensore Danilo, tentò il suicidio. Approdato al Milan nel 1954, il "Pepe" esordisce contro la Triestina segnando 2 gol. Il rossonero disputa 6 campionati vincendone 3 e sfiorando la vittoria nella Coppa dei Campioni il 29 maggio 1959 a Bruxelles quando fu sconfitto 3 a 2, dopo i tempi supplementari, dal grande Real Madrid dei 5 successi consecutivi. Al termine della stagione 1959-60 chiude con il Milan e passa alla Roma dove per 2 anni gioca da libero, prima di decidere di tornare in Uruguay ad allenare le giovanili del Penarol. Le giocate funamboliche e la grande visione di gioco che gli permetteva sempre di passare il pallone al compagno meglio piazzato per il tiro, fanno di Schiaffino uno dei giocatori più completi della storia del calcio." (Dal sito acmilan.com)
(dal "Corriere dello Sport") |
(dal "Corriere dello Sport") |
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CARRIERA NEL CAMPIONATO ITALIANO |
STAGIONE |
SQUADRA |
PRESENZE |
RETI |
1954-55 |
Milan |
27 |
15 |
1955-56 |
Milan |
29 |
16 |
1956-57 |
Milan |
29 |
9 |
1957-58 |
Milan |
17 |
3 |
1958-59 |
Milan |
27 |
2 |
1959-60 |
Milan |
20 |
2 |
1960-61 |
Roma |
29 |
3 |
1961-62 |
Roma |
10 |
0 |
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BIOGRAFIA di Juan Alberto Schiaffino
Schiaffino, Juan Alberto (Montevideo 1925-2002), calciatore uruguayano, considerato da molti specialisti il migliore nella storia calcistica del suo paese. Juan Alberto "Pepe" (il nomignolo col quale era conosciuto) Schiaffino, dopo aver militato nell'Olimpia e nel Nacional, passò al Peñarol, squadra in cui rimase tra il 1943 e il 1954, periodo nel quale vinse sei titoli del Campionato nazionale (1944, 1945, 1949, 1951, 1953 e 1954).
Nel 1955 fu ingaggiato dal Milan, che portò alla conquista di tre scudetti (1955, 1957 e 1959). Passato poi nella Roma, vi restò fino al 1962: con i giallorossi conquistò nel 1961 la Coppa delle Fiere (chiamata poi Coppa UEFA). Nel 1950 fu protagonista della leggendaria finale della Coppa del Mondo che vide la nazionale uruguayana sconfiggere il fortissimo e favoritissimo Brasile allo stadio Maracanà di Rio de Janeiro: in quella occasione Schiaffino fu autore del goal del pareggio che diede il via alla rimonta, conclusa poi con la rete di Ghiggia. L'Uruguay, vittorioso per 2 a 1, conquistò il titolo di campione del mondo davanti a duecentomila disperati spettatori brasiliani. In quanto figlio di genitori italiani, Schiaffino venne schierato in quattro occasioni con la maglia della nazionale italiana.
Così lo ricordava il presidente Rizzoli
Quel giorno, il 18 di luglio 1950, la nazionale "celeste" aveva sconfitto il favoritissimo Brasile per 2-1 e conquistato la sua seconda Coppa Rimet e lo aveva fatto di fronte a 200.000 brasiliani, prima entusiasti, poi increduli, alla fine disperati.
Prima della partita un dirigente uruguagio si era avvicinato a "el capitan" Obdulio Varela e gli aveva detto "Se perderete con tre soli gol di scarto, saremo soddisfatti", perché nessuno credeva fosse possibile sconfiggere il Brasile.
Obdulio Varela, che conosceva i suoi polli, aveva riferito il pensiero di quel dirigente a "Pepe" Schiaffino che lui sapeva smisuratamente orgoglioso e dotato di una personalità smisurata quasi come la sua, certo così di "caricarlo" al massimo.
"El capitan" aveva visto giusto perché "Pepe" non accettava di essere secondo a nessuno, nemmeno sapendo che i suoi dirigenti "sarebbero stati soddisfatti lo stesso"
Quella fu una partita epica, in Uruguay ne viene ancora festeggiato l'anniversario, e di quella gara uno dei protagonisti fu proprio Juan Alberto "Pepe" Schiaffino che segnò il gol del pareggio e ispirò quello di Ghiggia, un gol che sprofondò nella disperazione più nera un immenso popolo e ne rese infinitamente orgoglioso un altro.
Ma il più orgoglioso di quell'impresa fu lui, Juan Alberto Schiaffino, che, già grande e famoso, uscì da quello stadio con una fama cresciuta così smisuratamente da proiettarlo nel mito.
Juan Alberto Schiaffino, "el maracanazo" a parte, fu comunque un calciatore a suo modo, e nel suo tempo, immenso.
Brera, che lo ha visto e lo ha definito criticamente come uno dei più grandi di sempre e non solo nel suo ruolo, ne parlava come di un "interno impareggiabile" , leggenda vuole che quando Gipo Viani si trovò a convincere il presidente del Milan, Rizzoli, ad investire una certa cifra (per l'epoca addirittura sconsiderata.) nell'acquisto di una giovane mezz'ala dell'Alessandria, Gianni Rivera, a telefono gli raccontasse "presidente al Moccagatta c'era la nebbia e non si capiva chi era Schiaffino e chi Rivera." .e bastarono queste parole per convincere lo scettico presidente rossonero a sciogliere i cordoni della borsa.
Perché il nome di Schiaffino non si spendeva mai per scherzo, perché "Pepe" all'epoca era semplicemente "il calcio".
Lo era assieme a Di Stefano e Puskas solo che lui lo era in Italia dove era arrivato dopo i Mondiali del '54, che in Svizzera l'Uruguay avrebbe potuto vincere ancora se non avesse perso, anche per sfortuna, una semifinale leggendaria contro la Grande Ungheria in quella che ancora Brera definì "la più bella partita che abbia mai visto giocare; ho imparato di più in quelle due ore che in vent'anni di calcio giocato e criticamente descritto".
E quella forse fu anche la più bella partita giocata da Schiaffino nella sua leggendaria carriera.
Non era un uomo facile Schiaffino ("Esciafino" secondo la pronuncia rioplatense).
Leader del Penarol, la squadra di Montevideo fondata dagli emigrati piemontesi provenienti da Pinerolo, in nazionale era un po' schiacciato dalla personalità del vecchio "capitan" Obdulio Varela e le loro liti in campo erano leggendarie.
Sempre Brera racconta una volta di aver letto sul labiale di Varela, durante le concitate fasi di una sfida mondiale con l'Inghilterra, la frase "Toma una mujer !" (letteralmente "vai a donne !") rivolta all'isterico "Pepe", auspicando forse che la compagnia femminile riuscisse a smussarne gli spigoli del carattere.
In effetti "Esciafino", forse a seguito di questo autorevole consiglio, prese moglie e soprattutto venne in Italia, a prendere i (molti) milioni di Rizzoli, per conto del Milan del quale divenne il perno, il simbolo e soprattutto il miglior calciatore.
Col Milan vinse scudetti guidando la squadra attraverso le invisibili redini di un carisma inarrivabile, e sfiorò , nel 1958 all'Heysel, la conquista della Coppa Campioni persa ai supplementari con il Real Madrid in una gara dove brillò, ormai anziano, più del grande Di Stefano.
Anche in Italia confermò il suo carattere difficile "Da Schiaffino" - raccontò una volta Nils Liedholm-" era impossibile anche farsi pagare un caffè" , ma c'è anche chi dice che Liddas fosse geloso del suo stipendio e della sua classe davvero inimitabile.
Perché Schiaffino sarà stato isterico, come diceva Varela, avaro, come racconta Liedholm, ma è anche stato il più grande interno di regìa del dopoguerra e uno degli artefici di "el maracanazo" il più riuscito "scherzo da prete" del secolo, almeno nel calcio.
Non so cosa scriveranno quando morirà Pelè, o quando verrà a mancare Maradona, l'uomo che ha portato il calcio ad una dimensione extraterrestre, un calciatore che non ha conosciuto limiti, nel bene e nel male, ma sia il Brasile che l'Argentina hanno avuto altri campioni prima e dopo di loro, l'Uruguay no.
Il paese che si è autodefinito "el padre del futbol porque todos saben que la madre es la Inglaterra" non ha avuto più nessuno dopo di lui, anche perché, diciamolo, non era facile.
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Schiaffino regista e mente del Milan
EL DIOS DE FUTBOL
Storico nella Rimet del 1950, giunse nel Milan e conquistò tre scudetti. E' stato quattro volte azzurro
Quando arrivò nel nostro paese, nel 1954, non era più giovanissimo. Aveva infatti 29 anni e il suo nome era legato alla storica vittoria dell'Uruguay nella finale della Rimet di quattro anni prima, quando il suo gol del momentaneo pareggio aveva fatto cadere in una silenziosa tristezza il Maracanà. Ghiggia inizierà la storica tragedia.
Juan Alberto Schiaffino era nato a Montevideo nel 1925. Interno sinistro, dopo aver giocato con il Penarol per ben nove stagioni, fu acquistato dal Milan. Le sue caratteristiche erano quelle di un giocatore offensivo, ma dopo la vittoria nella Coppa del Mondo, il suo ruolo si evolse a quello di vero e proprio regista.
Dopo la vittoria del 1950 la tifoseria lo chiamò "Ed dios de Futbol" e allo stadio la gente faceva la fila per vederlo giocare con il Penarol. Il titolo di campione d'Uruguay arrivò nel 1944,1949, 1951, 1953, e 1954.
La sua genialità costituiva senza dubbio il lato saliente del suo repertorio e della sua personalità: inventava servizi tanto da sembrare il "giocatore" che muoveva i suoi compagni in campo come le pedina di una dama.
Sapeva quando fermare la squadra e quando dare il giusto impulso; le accelerazioni e i rallentamenti che Schiaffino dava alla manovra sono da antologia del calcio, come nella finale con il Brasile e contro l'Inghilterra nel mondiale elvetico.
Fu il presidente Rizzoli a portarlo a Milano, per "soli" 53 milioni. Nella sua prima stagione rossonera mise a segno 31 reti in 56 partite. Nel Milan trovò Gipo Viani, e anche con lui il rapporto non fu dei migliori. Spesso non seguiva i suoi ordini, andando spesso alla ricerca del gol a discapito delle disposizioni tecnica.
Grande in campo, ma un carattere spigoloso che non lo favori sicuramente nel nostro paese. Appena arrivato fu subito arruolato come oriundo, il suo nonno era genovese, e il responsabile della nazionale Foni lo mandò in azzurro. Saranno quattro le partite che vedono Schiaffino regista dell'Italia; la prima nell'amichevole con l'Argentina il 5 dicembre 1954; 2 a 0 con reti di Galli e Frignani.
Il ritorno nel club Italia solo dopo tre anni nel 1957; la sua ultima partita e contro l'Irlanda del Nord a Belfast, dove la sconfitta per 2 a 1 significò, per l'unica volta nella nostra storia, la mancata qualificazione alla fase finale di un mondiale.
In sei anni a Milan vinse lo scudetto per tre volte,nel 1955, 1957 e 1959. Non sempre amato dalla squadra, alla notizia della vendita alla Roma, la tifoseria milanista insorse. Il suo bilancio con Viani, Liedholm e compagni è lusinghiero; 149 gare e 48 reti.
Schiaffino fu venduto per la riguardevole cifra di 102 milioni dell'epoca; anche alla Roma diede il suo contributo , arrivando a raggiungere una buona simbiosi con Manfredini e portando la squadra alla conquista della Coppa delle Fiere, anche se non giocò la finale.
Torna in patria e gli viene affidata la guida della nazionale, ma senza successo. L'aspetta la panchina del Penarol ma sono anni che la sua squadra della lasciare il passo all'altra grande formazione di Montevideo, il Nacional. Abbandona il calcio per entrare nel settore immobiliare.
Con lui il calcio mondiale perde uno dei più grandi registi di sempre.
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Dal sito www.wikipedia.org
Juan Alberto Schiaffino (Montevideo, 28 luglio 1925 - 13 novembre 2002), calciatore uruguayano, è uno dei grandi del calcio mondiale di ogni epoca. Cresciuto e affermatosi nel Penarol Montevideo (con cui vinse tre titoli nazionali), fu tra i protagonisti di uno degli eventi più struggenti della storia del calcio.
Vinse infatti con la sua nazionale il titolo mondiale del 1950 sconfiggendo in finale il Brasile padrone di casa. Il Pepe (questo il suo soprannome) pareggiò il vantaggio dei verde-oro, poi Ghiggia segnò il gol della vittoria gettando nello sconforto non solo i 200.000 presenti allo stadio Maracanã di Rio de Janeiro, bensì un popolo intero. E non solo: il difensore brasiliano Danilo tentò persino il suicidio.
Arrivò al Milan nel 1954, dopo il Mondiale di Svizzera dove era stato eletto miglior giocatore del torneo. In rossonero rimase fino al 1960 e disputò 171 partite ufficiali realizzando 60 gol, vincendo 3 scudetti e una Coppa Latina. Concluse la carriera nella Roma vincendo la Coppa delle Fiere. Era un interno dotato di visione di gioco e senso del gol, e di un'intelligenza tattica senza eguali; nel corso della carriera italiana si tramutò in regista.
Ai tempi gli oriundi potevano essere convocati in nazionale e così fu anche per Schiaffino, in virtù di un nonno genovese. Il suo rapporto tormentato con il selezionatore Foni fece sì che le sue convocazioni furono solo quattro. La presenza sua e degli altri oriundi non impedì purtroppo alla nazionale di mancare, per l'unica volta nella sua storia, la qualificazione ai campionati del mondo del 1958.
Tornato in Uruguay cominciò la carriera di allenatore e gli fu affidata anche la guida tecnica della nazionale. Tuttavia i risultati non furono pari alle aspettative e, dopo un paio di anni, abbandonò per dedicarsi all'attività di imprenditore nel ramo immobiliare.
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Dal sito www.ilveromilanista.it
UN TALENTO TUTTO "PEPE"
di Saverio Fiore
Nell'era del digitale e delle immagini superprecise e dettagliate, acquistano un fascino per me irresistibile le foto senza tempo in bianco e nero, quelle in cui sembra sempre cattivo tempo, i terreni di gioco assomigliano a campi di patate e i calciatori hanno l'aria di uscire dai cinegiornali dell'epoca del fascismo. Vi dico subito che non ho mai visto giocare "dal vivo", per ragioni cronologiche, questo talentuoso fuoriclasse degli anni '50, di lui mi parlano soprattutto mio padre e vecchi filmati gelosamente conservati.
Questa è la storia di Juan Alberto Schiaffino detto Pepe, giocatore uruguaiano prelevato dal Presidente Rizzoli nell'estate del 1954 dal Penarol di Montevideo, mitica squadra sudamericana fondata da emigrati piemontesi. Le giocate funamboliche e la grande visione di gioco che gli permettevano sempre di passare il pallone al compagno meglio piazzato per il tiro ne fanno uno dei giocatori più completi della storia del calcio, tra i più amati, insieme a Puskas e Di Stefano, proprio da quella enciclopedia calcistica che fu Gianni Brera che lo definì un autentico e raffinato artista del pallone, un "interno impareggiabile". Nel luglio del 1950 Schiaffino fu tra i protagonisti della vittoria della nazionale uruguagia ai mondiali brasiliani. In finale la selezione biancoceleste superò proprio i padroni di casa, al Maracanà davanti a 200.000 spettatori sicuri della vittoria, per 2 a 1 con reti proprio di Schiaffino e Ghiggia. Per i carioca fu una tragedia nazionale, tra i giocatori verdeoro ci fu anche chi, come il difensore Danilo, tentò il suicidio. Col Milan vinse 3 scudetti guidando la squadra attraverso le invisibili redini di un carisma inarrivabile, e sfiorò, nel 1958 all'Heysel, la conquista della Coppa Campioni persa ai supplementari con il Real Madrid in una gara dove brillò, ormai anziano, più del grande Di Stefano. In Italia arrivò solo a 29 anni confermando il suo carattere difficile e spigoloso e la sua proverbiale avarizia, "Da Schiaffino" - raccontò una volta Nils Liedholm- "era impossibile anche farsi pagare un caffè", ma c'è anche chi dice che lo svedese fosse geloso del suo stipendio e della sua classe davvero inimitabile. Leggenda vuole che quando Gipo Viani si trovò a convincere il presidente del Milan ad investire una certa cifra (per l'epoca addirittura sconsiderata.) nell'acquisto di una giovane mezz'ala dell'Alessandria, tale Gianni Rivera, al telefono gli raccontasse "presidente al Moccagatta c'era la nebbia e non si capiva chi era Schiaffino e chi Rivera." e bastarono queste parole per convincere lo scettico presidente Rizzoli ad aprire il suo portafogli. Perché il nome di Schiaffino non si spendeva mai per scherzo, perché "Pepe" all'epoca era semplicemente "il calcio". Morirà nel novembre del 2002, dopo una lunga malattia all'età di 77 anni, nella sua Montevideo. Le sue giocate rimarranno invece immortali.
JUAN ALBERTO SCHIAFFINO
Nato a: nato a Montevideo (Uruguay) il 28 luglio 1925
Esordio Serie A: 19 settembre 1954 Milan - Triestina 4-0
Nel Milan: dal 1954 al 1960 con 149 presenze e 47 gol
Le sue squadre: Penarol, Milan e Roma
Ha vinto con il Milan: 3 scudetti ('54/'55) ('56/'57) ('58/'59), 1 Coppa Latina ('56)
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L'EREDE SI PRESENTA
Campionato 1959-60
In un freddo pomeriggio dei primi di febbraio che risentono ancora "della merla", l'Alessandria va a far visita al Milan, Campione d'Italia.
Il Milan, fatto fuori dall'Europa, insegue la Juventus alla ricerca di una conferma del titolo, ma non attraversa un gran momento.
Viani e Bonizzoni lo sanno, e si accontentano di quello che viene ancora di buono.
Viani è consapevole che Juan Alberto Schiaffino, l'uomo cui il Milan deve i recenti successi, va ormai per i 36 anni e la sua successione non appare più rinviabile.
Ma con chi sostituire uno come "Pepe"? - si domanda da tempo Gipo Viani che una mezza idea, tuttavia, ce l'ha.
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I calciatori dell'Alessandria sono chiamati "i grigi" per via del colore delle loro casacche, ma fra le loro fila c'è un ragazzino, poco più che sedicenne che emana bagliori di classe purissima.
Si chiama Gianni Rivera e Viani lo tiene d'occhio da tempo, c'è chi dice che lo abbia già comprato, soffiandolo alla Juve.
E' a quel "ba-bambino" che Viani ha deciso di affidare l'eredità di "Pepe" ?
Non sono pochi ad essere perplessi e non è in una partita come questa che si può giudicare quel ragazzo "stretto di cassetta" come osserva qualcuno in tribuna stampa.
L'Alessandria è avviata alla retrocessione, questo sarà il suo ultimo anno in serie A, ed il Milan in un'ora di gioco mette al sicuro il risultato: un'autorete, poi Carletto Galli e Altafini: 3-0.
La partita non ha ormai nulla da dire, gli spettatori intirizziti aspettano la fine nella foschia del pomeriggio meneghino.
A cinque minuti dalla fine, il ragazzino con la maglia grigia riceve la palla, la controlla, entra in area e batte Lorenzo Buffon.
In panchina Gipo Viani si alza il bavero del "trench" e si accende un'altra sigaretta.
Sembra il classico "gol della bandiera", ed in effetti lo diventerà.
E', infatti, il primo gol a San Siro di Gianni Rivera, destinato a diventare "la bandiera" del Milan nei venti anni che seguiranno.
Venti anni nei quali diventerà 'erede di Juan Alberto Schiaffino senza lasciare a sua volta eredi. La sua razza è finita con lui.
Mentre scrivo queste righe, oggi 18 agosto 2006, Gianni Rivera compie sessantatrè anni.
Auguri.
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Dal sito clarence/forum.com
JUAN ALBERTO SCHIAFFINO
Il maestro insegnava calcio senza mai usare la bacchetta, evitando comportamenti da primo della classe, suggerendo l'istinto naturale dell'imitazione, generando ammirazione. Il maestro, nel Milan degli anni 50, fu per tutti Juan Alberto Schiaffino, uruguagio maturo, giunto in Europa a mostrare miracoli. Era reduce infatti dal mondiale del 1950 vinto con la propria nazionale sul Brasile: non ebbe bisogno di particolari istruzioni per l'uso del nostro campionato- Finì con l'assumere l'incarico di guidare il gioco rossonero e diventare leader della squadra, riconosciuto in particolare dai suoi giovani compagni che ne apprezzarono il rigore morale, i consigli, denigrandone simpaticamente solo la nota virtù del risparmio. Per questo aspetto del carattere, probabilmente, venne delegato dallo spogliatoio a trattare col presidente la delicata materia dei premi: di sicuro non avrebbe fatto sconti! Criticato a volte per l'eccessiva eleganza mostrata, la raffinatezza dei modi e il look retrò (capelli impomatati e divisi da una riga, tipo Rodolfo Valentino), Schiaffino rimase il primo esempio concreto di calciatore eclettico, universale, capace cioè di trasformarsi da geniale realizzatore di gol in paziente tessitore di gioco o ancora in decisivo guardiano della difesa, settore nel quale concluse la carriera italiana con il trasferimento alla Roma. I tre scudetti vinti in sei anni di Milan sono le gemme seminate da Schiaffino, detto Pepe, arruolato da Rizzoli in sostituzione di un campione irraggiungibile per quei tempi. L'obiettivo dichiarato, infatti, rimase per settimane Alfredo Di Stefano, chiave tattica del leggendario Real Madrid dominatore della Coppa dei Campioni. Solo quando l'affare naufragò, il Milan spedì Hector Puricelli a Montevideo e ottenne il sì del maestro che sbarcò a Milano nell'Agosto del 1955 senza mai far pesare la classe e nemmeno il titolo mondiale. Vide Radice su un campetto di Linate e fu facile profeta, vide il provino di Rivera e ne caldeggiò l'ingaggio. Anche fuori dal campo era un maestro.
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Dal sito www.sapere.it
SCHIAFFINO JUAN ALBERTO
Montevideo 1925-2002), calciatore uruguayano. È considerato da molti come il migliore calciatore che mai abbia espresso il suo Paese. Longilineo ed elegante, si muoveva con una naturale destrezza: la raffinatezza della sua tecnica era pari soltanto alla sua intelligenza tattica. Pur giocando alle spalle delle punte, nel corso della sua carriera i gol messi a segno furono molti.
Dalla "Celeste al Milan"
Figlio di un emigrante italiano e di una paraguayana, Schiaffino fece il suo debutto a 17 anni con la maglia del Peñarol. Subito si fece conoscere con il soprannome di "Piccolo Maestro", per distinguerlo da un'altra gloria dell'epoca, José Piendibene, detto a quel tempo il "Gran Maestro". Nel 1944 partecipò con la selezione nazionale alla vittoria nella Coppa America e da quell'anno fino al 1954 conquistò con la maglia del Peñarol sei campionati nazionali. Ma fu nel 1950 che si guadagnò fama internazionale andando a conquistare in casa del Brasile la seconda Coppa del Mondo per l'Uruguay, marcando il gol del pareggio nella finale e giungendo secondo, con 5 gol, alle spalle del brasiliano Ademir nella classifica marcatori.
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Nel 1954 prese parte alla sua seconda Coppa del Mondo e arrivò con la rappresentativa della "Celeste" fino alla semifinale con l'Ungheria, rendendosi protagonista di uno dei più avvincenti match giocati nel corso di un Mondiale.
L'indomani dei Mondiali di Svizzera Schiaffino fu ingaggiato per la cifra record di 100 mila dollari dal Milan. Insieme a campioni come Liedholm, Nordhal, Cesare Maldini, Altafini, Schiaffino vinse tre scudetti (1955, 1957 e 1959), una Coppa Latina (1956) e giocò, perdendola, una finale di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid (1958).
Come oriundo italiano, venne selezionato per quattro volte dalla nazionale azzurra, con la quale tuttavia non ottenne gli stessi successi avuti con la maglia della Celeste.
Dopo 145 partite e 49 gol Schiaffino passò dal Milan alla Roma, dove disputò tre campionati, dal 1960 al 1962, e vinse una Coppa delle Fiere. A 37 anni chiuse la sua carriera agonistica.
"Dall'alto di una torre"
Juan Alberto Schiaffino, detto "Pepe", è un mito in Uruguay, ma anche gli anni italiani passati con la maglia del Milan hanno diffuso proverbialmente il suo genio calcistico ("L'uomo che è venuto da lontano/ha la genialità di uno Schiaffino", dice di lui Paolo Conte in Sudamerica ). Lo scrittore Eduardo Galeano lo ricorda così: "con i suoi passaggi magistrali organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando il campo dal punto più alto della torre dello stadio".
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PENAROL, LA SQUADRA DEI PIEMONTESI
di Generoso D'Agnese
C'é chi afferma che a fondarla siano stati, nel 1724, gli spagnoli della colonia di Buenos Aires, c'é che invece sostiene che vi arrivò per primo un gruppo di italiani, nel 1727; tra il quale vi era Bruno Maurizio Zabala.
Montevideo nacque comunque per lo spirito di avventura di pionieri che decisero di "guardare" al di là del fiume Uruguay, nei territori della Banda Oriental, sfidando gli indomabili e scaltri indiani Charrua. Fu una lotta strenua: da un lato gli indigeni fermamente decisi a usare ogni astuzia per evitare il saccheggio delle loro terre, dall'altro i pionieri spinti dalla sete di terre e di futuro.
Alla fine arrivò la mediazione e le due anime di quest'angolo del continente americano si fusero esaltandone le peculiarità. Quando nacque Giovan Battista Crosa, figlio di un eminente medico di Pinerolo, quella città americana destinata a diventare la capitale dell'Uruguay era ancora un insieme di pochi agglomerati. Era il 1730 e il Piemonte respirava l'aria un po' decadente che spirava dalla vicina Francia, illuminata da Re Sole. Non era questo il futuro che il giovane Crosa, figlio di Francesco, sognava per se. O forse lo avrebbe anche sognato ma scelse di abbandonare tutto, nonostante un tenore di vita che gli permetteva di evitare qualsiasi lavoro faticoso.
Giovan Battista Crosa- forse per un'insanabile situazione sentimentale - si allontanò da Pinerolo nel 1764 e arrivò a Genova per imbarcarsi alla volta del Sudamerica. Facendo scalo a Maiorca, ne approfittò per sposarsi con Francesca Perez Bracaman, una spagnola conosciuta sulla nave e nel 1765 la coppia sbarca nella baia di Montevideo per iniziare una nuova vita lontano dai fasti del recentissimo passato.
Non dimenticò tuttavia il proprio paese, Giovan Battista Crosa, che in terra uruguagia avviò la coltivazione di vitigni piemontesi e aprì una macelleria, attività che gli consentirono di vivere dignitosamente. Padre di due figli e di vari nipoti, Crosa poté raccontare che uno di questi ultimi combatté con eroismo nella battaglia di Sarandì e Ituzaingò durante la guerra d'indipendenza. Era orgoglioso di quel nipote di "pinerolo" e la sua nostalgia per il paese natio la trasformò in una vera e propria firma: Crosa, nell'arco degli anni perse il suo cognome e si firmò sempre più "Pignerolo".
E intorno alla sua fattoria crebbe presto un quartiere residenziale che di quelle origini prese il nome, trasformandolo nello slang ispano-piemontse. Giovanbattista Crosa morì nel 1790, in quello che già era diventato il quartiere Peñarol di Montevideo. Negli anni il sobborgo crebbe prospero, tanto da ottenere una stazione ferroviaria che sarebbe diventata il nuovo simbolo dell'area. Fu infatti proprio la manodopera arrivata per la costruzione e la gestione della stazione a portare con sé, dopo circa un secolo dalla morte di Crosa, la passione del calcio.
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Il 28 settembre del 1891 questa passione si concretizzò nella nascita della prima squadra di calcio dell'Uruguay, che prese il brutto nome di Curcc, l'acronimo di Central Uruguay Railway and Cricket Club.
I soci fondatori erano 118, tra essi molti inglesi e tanti uruguagi di origine italiana. Il primo presidente fu Frank Henderson e i primi successi arrivano quasi subito. Fondatore della lega nazionale di calcio il CURCC cambiò nel 1913 il suo nome adottando quello più consono alle sue origini, e regalando alla storia dello sport un magnifico team delle meraviglie: il Club Atletico Peñarol. Per il piccolo Uruguay, appena tre milioni di abitanti schiacciati tra i colossi Brasile e Argentina, il Peñarol rappresentò la punta di diamante di un ego nazionalistico difficilmente domabile. E di quella squadra che vestiva la camiseta colore "amarilla y negra" nell'arco degli anni e di trionfo in trionfo, fecero parte tanti italiani. Il primo a lasciare un segno indelebile nella storia del calcio uruguayano fu Jose Antonio Piendibene, vero e proprio talento cresciuto nel quartiere e diventato idolo della squadra a soli 17 anni. I suoi tunnel e le sue finte entrarono di prepotenza nella galleria delle estrosità sportive. Dal 1911 divenne per tutti "il maestro" e le sue funamboliche giocate trovarono estimatori anche tra i più accesi rivali. Nel corso di una partita con l'Argentina, dopo aver ubriacato di dribbling e di veroniche gli allibiti avversari, uno di questi, Jorge Brown, gli si avvicinò per stingergli la mano: «lo felicito, es usted un verdadero maestro». Parola di argentino! In quegli anni giocati su terreni gibbosi, con il pubblico assiepato ai bordi e con arbitri spesso impreparati, nacquero numerosi altri talenti italici che nel Penarol si identificavano per le origini nonostante la grande avversaria, il National fosse stata anch'essa fondata da un italiano. Piendibene fece coppia di attacco con Canavessi, altro estroso giocatore di origini italiane, e insieme portarono in alto una formazione che nel corso di più di cento anni di vita ha raccolto 47 titoli nazionali, cinque Coppe "Libertadores de America", tre titoli mondiali per club e una Supercoppa, guadagnandosi il diritto di squadra tra le più titolate del Mondo. Guidata attualmente da Jose Pedro Damiani, altro italoamericano affezionato alle origini piemontesi del team, la formazione è entrata nella storia anche come la squadra simbolo dei "ferrovieri", avendo proprio una locomitva come proprio emblema societario. Ernesto Mascheroni, Juan Alberto Schiaffino, Alcide Ghiggia, Maspoli, Riccardi, Pasculli, Silva, hanno lasciato il segno nella storia del Peñarol e del calcio mondiali. Su tutti sicuramente Schiaffino, cui l'Italia diede gloria e onori e che impressero per sempre nella mente degli appassionati quel nome di una squadra nata non si sa bene se sulla riva del Rio della Plata o se vicino Torino e la Francia. |
Juan Alberto Schiaffino...
Nunca se Despeinó para Jugar al Fútbol...
por Marchelo Mariño
No sé quien le puso por ahí "El dios del Fútbol", aunque creo que no se equivocó. La exquisitez con que varios amigos míos me cuentan que jugaba al fútbol, me hace pensar que fue un extraordinario jugador. Hoy apenas peina canas, porque su estampa de "barón" futbolero, no deja que se noten los setenta inviernos que tiene sobre su vida. Cara de chiquilín mimado y niño bueno, símbolo del atleta modelo, perfecta mezcla de elegancia y calidad, de temperamento y estrategia, de frialdad cerebral y técnica inigualable. Es cierto, nunca se despeinó para jugar al fútbol, no por la gomina, si no, por la fineza y ductilidad con que trataba la pelota. Aquí lo tienen, es Juan Alberto Schiaffino, uno de los más grandes del mundo de todos los tiempos.
Nació en la ciudad de Montevideo, un 25 de aquel julio invernal de 1925. Su padre era inmigrante italiano, que se casó con una paraguaya, y estableció su hogar en la capital uruguaya. Comenzó jugando en el equipo de su barrio, el Palermo. Luego lo hizo en el Olimpia y después de un breve paso por Nacional de Montevideo, en su edad juvenil, su hermano Raúl, dos años mayor que él, que jugaba de centrodelantero y que abandonó el fútbol tempranamente por una lesión, lo llevó a jugar a Peñarol. Era el año 1943 y "el Pepe" tenía apenas 18 años.
Era el minuto 67 del partido final de Brasil-Uruguay, aquel recordado (para nosotros) irrecordado (para los brasileros) 16 de julio de 1950. Ghiggia le pone la pelota "al Pepe", y éste, con su soberbio remate, parece decirle a Barbosa : "andá a buscarla al ángulo izquierdo". Inatajable. Brillante. Solo los que saben le pegan así.
Después del Mundial de 1954 en Suiza, "el Pepe" fue contratado por el siempre poderoso Milan de Italia, quien pagó en aquel entonces, una cifra bastante ostentosa para aquella época. El equipo milanista tenía ya en sus filas como extranjeros a los suecos Nordhal y Liedholm, por lo cual tuvo que tramitar la doble nacionalidad como hijo de padre italiano. Por ese motivo, "el Pepe" pudo jugar por la selección italiana. Debuto con ella el 5 de diciembre de 1954, en el partido Italia-Argentina, donde ganaron los italianos 2 a 0. Su actuación no fue muy buena, por la cual obtuvo muchas y duras críticas. Debido a ese desliz, tardó tres años en volver a vestir la camiseta de la selección "azurra".
Pasó el tiempo y parece que la vida lo tiene ahí, olvidado, con su caña de pescar, su sombrero y su inmortal porte de atleta extraordinario. Las olas de Piriápolis, el cielo y las blancas arenas le hacen compañía. Quizás nadie se acuerda de él para que aporte todo lo que sabe, para que nos enseñe como hay que hacer para volver a besar la gloria. Mi odontólogo y amigo, "el Memo" Pietropinto, siempre me decía : "el tipo que más sabe de fútbol acá es "el Pepe" Schiaffino. Pero claro, a los que más saben, en un país de omnisapientes, hay que tenerlos pescando ilusiones y recontrarecordando recuerdos, en vez de que nos enseñen todo lo que saben. Y eso pasa con "el Pepe" y con tantos otros genios eternos del fútbol mundial...
Hoy los jóvenes como yo, también los no tan jóvenes, le podrá preguntar a sus abuelos como jugaban Juan Alberto Schiaffino. Y todos les van decir lo mismo. Que fue uno de los más grandes del mundo, de la historia, del fútbol universal. Nunca se despeinó para jugar al fútbol, porque su exquisita elegancia y su talento inigualable e innato, no le permitían deslices de eso tipo.
Aquí les presentamos poquitísimo de lo mucho que podemos escribir sobre él. Lo muchísimo que falta, un día y con más tiempo, luego de hablar horas con "el Pepe", se los vamos a contar sin olvidar ningún detalle. Pero quiero que sepan una cosa, que él es una leyenda viviente y una gloria inmensa, que Dios nos dio el privilegio que tengamos en este pequeño pero hermosísimo país. Hoy lo tenemos vivo y a tiempo para que nos regale un pedazo de su vida y nos enseñe todo lo que no sabemos. Mañana, cuando Dios lo lleve al "Palacio de los Inmortales", no quiero que salgamos corriendo a hacerle un monumento o a pagarle los gastos de su funeral, o a hacerle honores de Ministro. Porque lamentablemente, no va a necesitar de esas vanidades terrenales el día que se vuelva eterno.
Vamos a disfrutarlo ahora. Por todo lo que nos ha dado; y sobretodo, por todo lo que nos tiene para dar. No alcanza con decirle genio, porque es tan humano y auténtico, que hasta lo podemos tocar. Solamente hay que decirle ¡¡¡GRACIAS, MUCHAS GRACIAS PEPE !!! Y te necesitamos, para volver a ser... "uruguayos campeones, de América y del Mundo..."
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Calcio, muore il grande Schiaffino
13.11.2002 - 19:17
All'età di 77 anni si è spento a Montevideo l'uruguaiano Juan Alberto Schiaffino, uno dei maggiori interpreti del calcio degli anni 50'. Schiaffino, soprannominato "Pepe", fu uno dei protagonisti della nazionale uruguaiana che beffò al Maracanà il grande Brasile nei campionati mondiali del 1950. In Italia vestì le maglie di Milan e Roma. Con i rossoneri, accanto a Nordahl e Liedholm, "Pepe" vinse tre scudetti e una Coppa Latina.
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Dal sito www.postadelgufo.it
13 novembre 2002
JUAN DEL MARACANA'
Oggi è morto Juan Alberto Schiaffino.
Aveva 77 anni, non era diventato miliardario col calcio, però fino a qualche anno fa conduceva una vita agiata nella sua Montevideo assieme alla moglie, sua inseparabile consigliera.
Poi una grave malattia lo aveva allontanato dal mondo, lui, famoso per la mente sempre lucida anche sotto sforzo, aveva perso il contatto col mondo reale ed alla morte della moglie era stato ricoverato in un ospizio.
L'ultima volta che lo avevo visto intervistato in TV, quando ancora stava bene, mi era parso per un attimo che il tempo si fosse fermato: quel signore anziano, dall'aspetto elegante, gli occhi tristi ed il volto scavato e serio, sembrava ancora lo stesso che mezzo secolo prima aveva messo a segno al Maracanà di Rio uno dei colpi più clamorosi della storia e della leggenda del calcio : "el maracanazo".
Quel giorno, il 18 di luglio 1950, la nazionale "celeste" aveva sconfitto il favoritissimo Brasile per 2-1 e conquistato la sua seconda Coppa Rimet e lo aveva fatto di fronte a 200.000 brasiliani, prima entusiasti, poi increduli, alla fine disperati.
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Prima della partita un dirigente uruguagio si era avvicinato a "el capitan" Obdulio Varela e gli aveva detto "Se perderete con tre soli gol di scarto, saremo soddisfatti", perché nessuno credeva fosse possibile sconfiggere il Brasile.
Obdulio Varela, che conosceva i suoi polli, aveva riferito il pensiero di quel dirigente a "Pepe" Schiaffino che lui sapeva smisuratamente orgoglioso e dotato di una personalità smisurata quasi come la sua, certo così di "caricarlo" al massimo.
"El capitan" aveva visto giusto perché "Pepe" non accettava di essere secondo a nessuno, nemmeno sapendo che i suoi dirigenti "sarebbero stati soddisfatti lo stesso".
Quella fu una partita epica, in Uruguay ne viene ancora festeggiato l'anniversario, e di quella gara uno dei protagonisti fu proprio Juan Alberto "Pepe" Schiaffino che segnò il gol del pareggio e ispirò quello di Ghiggia, un gol che sprofondò nella disperazione più nera un immenso popolo e ne rese infinitamente orgoglioso un altro.
Ma il più orgoglioso di quell'impresa fu lui, Juan Alberto Schiaffino, che, già grande e famoso, uscì da quello stadio con una fama cresciuta così smisuratamente da proiettarlo nel mito.
Juan Alberto Schiaffino, "el maracanazo" a parte, fu comunque un calciatore a suo modo, e nel suo tempo, immenso.
Brera, che lo ha visto e lo ha definito criticamente come uno dei più grandi di sempre e non solo nel suo ruolo, ne parlava come di un "interno impareggiabile" , leggenda vuole che quando Gipo Viani si trovò a convincere il presidente del Milan, Rizzoli, ad investire una certa cifra (per l'epoca addirittura sconsiderata.) nell'acquisto di una giovane mezz'ala dell'Alessandria, Gianni Rivera, a telefono gli raccontasse "presidente al Moccagatta c'era la nebbia e non si capiva chi era Schiaffino e chi Rivera." .e bastarono queste parole per convincere lo scettico presidente rossonero a sciogliere i cordoni della borsa.
Perché il nome di Schiaffino non si spendeva mai per scherzo, perché "Pepe" all'epoca era semplicemente "il calcio".
Lo era assieme a Di Stefano e Puskas solo che lui lo era in Italia dove era arrivato dopo i Mondiali del '54, che in Svizzera l'Uruguay avrebbe potuto vincere ancora se non avesse perso, anche per sfortuna, una semifinale leggendaria contro la Grande Ungheria in quella che ancora Brera definì "la più bella partita che abbia mai visto giocare; ho imparato di più in quelle due ore che in vent'anni di calcio giocato e criticamente descritto".
E quella forse fu anche la più bella partita giocata da Schiaffino nella sua leggendaria carriera.
Non era un uomo facile Schiaffino ("Esciafino" secondo la pronuncia rioplatense).
Leader del Penarol, la squadra di Montevideo fondata dagli emigrati piemontesi provenienti da Pinerolo, in nazionale era un po' schiacciato dalla personalità del vecchio "capitan" Obdulio Varela e le loro liti in campo erano leggendarie.
Sempre Brera racconta una volta di aver letto sul labiale di Varela, durante le concitate fasi di una sfida mondiale con l'Inghilterra, la frase "Toma una mujer !" (letteralmente "vai a donne !") rivolta all'isterico "Pepe", auspicando forse che la compagnia femminile riuscisse a smussarne gli spigoli del carattere.
In effetti "Esciafino", forse a seguito di questo autorevole consiglio, prese moglie e soprattutto venne in Italia, a prendere i (molti) milioni di Rizzoli, per conto del Milan del quale divenne il perno, il simbolo e soprattutto il miglior calciatore.
Col Milan vinse scudetti guidando la squadra attraverso le invisibili redini di un carisma inarrivabile, e sfiorò , nel 1958 all'Heysel, la conquista della Coppa Campioni persa ai supplementari con il Real Madrid in una gara dove brillò, ormai anziano, più del grande Di Stefano.
Anche in Italia confermò il suo carattere difficile "Da Schiaffino" - raccontò una volta Nils Liedholm-" era impossibile anche farsi pagare un caffè" , ma c'è anche chi dice che Liddas fosse geloso del suo stipendio e della sua classe davvero inimitabile.
Perché Schiaffino sarà stato isterico, come diceva Varela, avaro, come racconta Liedholm, ma è anche stato il più grande interno di regìa del dopoguerra e uno degli artefici di "el maracanazo" il più riuscito "scherzo da prete" del secolo, almeno nel calcio.
Non so cosa scriveranno quando morirà Pelè, o quando verrà a mancare Maradona, l'uomo che ha portato il calcio ad una dimensione extraterrestre, un calciatore che non ha conosciuto limiti, nel bene e nel male, ma sia il Brasile che l'Argentina hanno avuto altri campioni prima e dopo di loro, l'Uruguay no.
Il paese che si è autodefinito "el padre del futbol porque todos saben que la madre es la Inglaterra" non ha avuto più nessuno dopo di lui, anche perché, diciamolo, non era facile.
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13.11.2002
GLORIA DE NUESTRO FUTBOL, PROTAGONISTA DEL MARACANAZO
El adiós a un grande, se fue Schiaffino
Todo Uruguay se vio conmovido en la tarde del miércoles por el fallecimiento de Juan Alberto Schiaffino (a los 77 años), una de las glorias del fútbol Uruguayo y Mundial. El "Pepe" fue protagonista del inolvidable Maracanazo (la hazaña más grande en la historia del fútbol). En nuestro país jugó en Peñarol y en Italia es recordado por su pasaje en el Milan donde es considerado el "más grande" de todos.
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Uruguay perdió el miércoles a Juan Alberto Schiaffino, el "Pepe", campeón del mundo 1950, conductor celeste en Suiza-54, gloria del fútbol Mundial con la camiseta de Peñarol de Montevideo y en Europa con los colores del AC Milan de Italia.
Schiaffino, que había nacido el 28 de julio de 1925, falleció este miércoles en Montevideo, a los 77 años de edad, después de una larga enfermedad.
En Uruguay fue conocido por algunos como "el dios del fútbol", en Milán lo recuerdan como "il piu grande (el más grande)" y para el mundo del fútbol se ubicará por siempre entre los mejores, junto a Pelé, Maradona, Di Stefano, Cruyff, Beckembauer y unos pocos elegidos más.
Con el 'Pepe', se fueron para siempre este año otros dos uruguayos campeones del mundo en 1950: Julio Pérez, que falleció el 22 de setiembre, y Eusebio Ramón Tejera, que dejó de existir el domingo pasado.
Juan Alberto Schiaffino, volante ofensivo de juego exquisito, marcó el gol que abrió el camino del triunfo uruguayo en la inolvidable gesta del estadio de Maracaná, cuando el seleccionado celeste de 1950, contra todos los pronósticos, derrotó a Brasil 2-1, para clasificarse campeón del mundo el 16 de julio de aquel año.
El "Pepe" también tuvo una brillante actuación con el equipo uruguayo en el Mundial de Suiza-54, donde los celestes culminaron en la cuarta ubicación, después de caer 4-2 en una recordada semifinal contra Hungría, que la prensa calificó en la época como "el partido del siglo".
Integró asimismo la selección italiana, con la que jugó cuatro partidos amistosos, pero con la 'azzurra' no repitió los exitos que consiguió con la celeste.
A nivel de clubes, Schiaffino brilló en Peñarol de Montevideo (1943-54), con el que fue campeón uruguayo en 1949, 1951, 1953 y 1954, para pasar al AC Milan de Italia (1954-59), donde dejó un recuerdo que se agiganta con el tiempo, tras conseguir los 'scudettos' de 1954-55, 1956-57, y 1958-59.
Con la formación milanesa, Schiaffino fue también Campeón de la Copa Latina en 1956 y Subcampeón de la Copa de Europa en 1957-58. Finalizó su carrera a los 38 años en el AS Roma (1960-62), con el que alcanzó el título de Campeón de la Copa de Ferias 1960-61, aunque no disputó la final.
A 52 años de su mayor hazaña, la Copa del Mundo 1950, en Uruguay y en Italia se le considera aún el mejor jugador del mundo de su época, en competencia entonces con el argentino Alfredo Di Stefano, que brilló en River Plate de Buenos Aires y en Real Madrid.
Al igual que 'la saeta rubia', Schiaffino jugaba con el 10 en su espalda, en posición que antiguamente se conocía como 'entreala' (volante ofensivo). Para jugar en el equipo milanés tuvo que tramitar la doble ciudadanía, a lo que habilitaba el hecho de ser hijo de emigrante italiano. Por ese motivo, Schiaffino pudo jugar por la selección italiana.
Debuto con la 'azzurra' el 5 de diciembre de 1954, contra Argentina, para ganar 2 a 0. Su actuación no fue muy buena, por la cual obtuvo muchas y duras críticas. Después tardó tres años en volver a defender a Italia. En 1954, después del partido Uruguay 7-Escocia 0, el entrenador escocés Tommy Docherty aseguró que Schiaffino era "el mejor atacante contra quien tuve oportunidad de jugar, estoy encantado".
"Pepe Schiaffino, con sus jugadas magistrales, armaba el juego de su equipo como se estuviera allá en la torre más alta del estadio, observando toda cancha", comentó el escritor uruguayo Eduardo Galeano en su libro "Fútbol a sol y a sombra".
Flavio Costa, entrenador de Brasil, en 1950, después de perder la final, sostuvo que Schiaffino "fue el imponderable que liquidó todas nuestras pretensiones".
En sus inicios, tras un breve pasaje por las divisiones juveniles de Nacional, junto a su hermano Raúl pasó al eterno adversario, Peñarol, en 1943, donde forjó una personalidad, una imagen y una trayectoria que nadie discute. Incursionó brevemente como director técnico, para dirigir a Peñarol y a la selección uruguaya en 1975.
FICHA PERSONAL
Nombre: Juan Alberto
Apellido: Schiaffino
Fecha de Nacimiento: 26/07/1925
Lugar de Nacimiento: Montevideo, Uruguay
Puesto: Volante Ofensivo ("entreala")
En los Mundiales: Jugó 2 (1950 y 1954). Jugó 9 partidos, estuvo 810 minutos en cancha y anotó 5 goles
Internacional: 48 veces con la selección uruguaya y 4 con la selección italiana
Trayectoria a nivel de clubes: Peñarol (1943-1954), Milan (1954-1960), Roma (1960-1962)
Sus Títulos:
Con Peñarol: Campeón uruguayo en 1944,1949, 1951, 1953, 1954
Con Milan: Campeón de Liga en 1954-55, 1956-57, y 1958-59. Campeón de la Copa Latina en 1956 Subcampeón de la Copa de Europa en 1957-58
Con Roma: Campeón de la Copa de Ferias 1960-61 (no disputó la final)
Con la Selección de Uruguay: Campeón Mundial en 1950
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Dal sito omonimo.it
di Mario Adinolfi
URUGUAY, DOVE IL TEMPO SI E' SMARRITO
Si può arrivare in Uruguay dal cielo o via terra, ma il modo migliore è farsi accompagnare dal Rio della Plata. Questo fiume color dulce de leche (la crema al mou che accompagna ogni dessert in questa zona del pianeta che chiameremo per comodità Cono Sur) è talmente vasto nell'area del suo immenso estuario da sembrare un mare. Per attraversarlo da sponda a sponda non basta un battello, ci vuole almeno un'ora di tempo e una nave veloce. Se vuoi arrivare fino a Montevideo, la capitale, da Buenos Aires di ore ce ne vogliono più di tre. Ma per capire di che pasta è fatto l'Uruguay basta fermarsi alla prima stazione: Colonia del Sacramento. Un luogo dove il tempo, non dico si sia fermato, ma pare almeno essersi smarrito.
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Come si fa a non fischiettare Paolo Conte in queste zone disperse del Sud America? Il giorno tropicale era un sudario / davanti ai grattacieli era un sipario / campa decentemente e intanto spera / di essere prossimamente milionario / L'uomo ch'è venuto da lontano / ha la genialità di uno Schiaffino / ma religiosamente tocca il pane / e guarda le sue stelle uruguaiane. Camminando su e giù per la Calle de Los Suspiros di Colonia del Sacramento, alla ricerca di un luogo dove mangiare qualcosa in questo angolo di Seicento coloniale portoghese calato dritto giù nel ventunesimo secolo, mi ritornava in mente proprio la genialità di Schiaffino. Campione del mondo nel 1950 battendo in finale in casa il Brasile, scatenando così al Maracanà di Rio de Janeiro la più terrificante tragedia popolare che la storia del calcio ricordi. L'Uruguay è sempre stato così e Schiaffino anche: qualcosa di totalmente sorprendente. Qualcuno poteva aspettarsi che il Brasile perdesse in casa la finale della Coppa Rimet? Ecco, l'Uruguay è così: inaspettato.
Colonia del Sacramento accoglie i pochissimi turisti senza nessun fronzolo. Hanno giusto messo una targa per terra (la scambieresti facilmente per un tombino) nel punto in cui inizia la città vecchia. Non è un posto dalla bellezza paracula, non è un posto che ammicca e vende souvenirs, non è un posto che seduce e incanta. E' semplicemente un luogo che ti entra dentro nello stesso modo naturale con cui tu entri nella chiesa bianca del Santissimo Sacramento, che sembra la chiesa dove Bill prova a uccidere Uma Thurman nel più bel Tarantino di sempre. Perfetta perché completamente disadorna, perfetta che ti viene voglia di sposarti, perfetta perché in fondo accanto all'altare a sinistra c'è una bandiera con su scritto: libertad o muerte. E così deve essere.
Per decenni l'Uruguay veniva raccontato come la Svizzera dell'America Latina, sia per gli insoliti livelli di pulizia che per lo standard di vita. E poi lì c'era una sorta di democrazia (o un regime meno violento, se preferite) mentre nella dirimpettaia argentina comandavano i generali e se non volevi finire desaparecido ti conveniva attraversare il Rio della Plata e da Buenos Aires riparare a Montevideo e dintorni, per fuggire in Europa o negli Stati Uniti. Poi la crisi economica è arrivata anche in Uruguay, il paese è decaduto, la nazionale di calcio che pure era stata capace di conquistare due titoli mondiali ha perso lo spareggio per la qualificazione a Germania 2006 contro l'Australia. Schiaffino non c'è più, insomma, ma restano i luoghi.
L'Unesco ha definito Colonia del Sacramento come uno dei Patrimoni dell'Umanità. Viene conservata così com'era poco meno di quattro secoli fa, tutta strade di grandi ciottoli di pietra e case colorate. Passò di mano un paio di volte tra spagnoli e portoghesi. Ogni nazione dominatrice aveva il suo modo di immaginare lo scolo dell'acqua piovana, quello era il segno distintivo, così le strade con lo scolo in mezzo sono dei portoghesi, quelle con lo scolo ai lati sono state costruite dagli spagnoli. Anche la già citata Calle de Los Suspiros è bifronte: c'è chi dice che si chiami così perché un tempo ci abitavano le puttane a cui i soldati della guarnigione andavano a rendere rumorosa visita e c'è chi ribatte che il nome sia stato dato perché era la via che i condannati a morte percorrevano per arrivare al piazzale delle impiccagioni, tra il forte e il Rio della Plata. Valla a sapere la verità, su questo e su tutto il resto, qui in Uruguay.
D'altronde, non lo canta anche il poeta nella fischiettata canzone? Era ancestrale il gesto tropicale / un arco dal sereno al fortunale / per dirti quanto è grande la questione / tra il danneggiato e l'assicurazione. Ha ragione Paolo Conte, tutto è immenso e disperso, da queste parti: questione troppo grande da indagare ancora. Bisogna tornare, anche se non se ne capisce il motivo. Ah sudamerica, sudamerica, sudamerica...
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Dal sito www.esteri.it
Roma, 10 gennaio 2003 -
Un ringraziamento ai nostri mezzi di informazione, alle istituzioni sportive e a tutti gli italiani per le numerose manifestazioni di affetto rivolte all'ex-campione del mondo di calcio italo-uruguyano Juan Alberto Schiaffino - recentemente scomparso - è giunto per il tramite della nostra Ambasciata a Montevideo, dai nipoti del calciatore.
I familiari si sono detti orgogliosi del fatto, a quaranta anni dal termine della sua carriera sportiva di Schiaffino, l'Italia lo abbia ricordato con un sentimento così forte.
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La morte di Juan Alberto Schiaffino
(da "La Stampa" del 14 novembre 2002) |
Ricordo di Pepe Schiaffino (da "Forza Milan!", dicembre 2002)
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Gli auguri di Pepe Schiaffino al Milan per il campionato 1983-84
(da "Forza Milan!") |
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Storia del Tottenham Hotspur (da "L'Unità") |
Juan Alberto Schiaffino su "Sportweek" nr.16 del 22 aprile 2020 |
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