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(Archivio Magliarossonera.it)
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Luigi RADICE (II) |
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Nato il 15.01.1935 a Cesano Maderno (MI), † il 07.12.2018 a Monza
Difensore (D) e Allenatore, m 1.73, kg 71
DA GIOCATORE:
Stagioni al Milan: 13, dal 1952-53 al 1958-59 e dal 1960-61 (da novembre 1960 al Padova) al 1965-66 (di cui 8 con partite ufficiali, dal 1955-56 al 1958-59, dal 1960-61 al 1962-63 e 1964-65)
Soprannome: “Gigi”
Cresciuto nel Milan (prelevato dal Ceriano Laghetto)
Esordio nel Milan in gare ufficiali e in Campionato (Serie A) il 25.03.1956: Spal vs Milan 0-0
Ultima partita giocata nel Milan il 06.06.1965: Cagliari vs Milan 2-1 (Campionato)
Totale presenze in gare ufficiali: 95
Reti segnate: 1
Palmares rossonero: 1 Torneo di Viareggio (1953), 3 Campionati "Cadetti" (1956-57, 1958-59, 1961-62), 3 Scudetti (1956-57, 1958-59, 1961-62), 1 Coppa Latina (1956), 1 Coppa dei Campioni (1963)
Esordio in Nazionale Italiana il 05.05.1962: Italia vs Francia 2-1
Ultima partita giocata in Nazionale Italiana l'11.11.1962: Austria vs Italia 1-2
Totale presenze in Nazionale Italiana: 5
Reti segnate in Nazionale Italiana: 0
DA ALLENATORE:
Stagioni al Milan: 1, 1981-82 (esonerato in gennaio 1982)
Esordio sulla panchina del Milan in gare amichevoli il 30.07.1981: Milan vs Asiago 14-0
Esordio sulla panchina del Milan in gare ufficiali e in Coppa Italia il 23.08.1981: Verona vs Milan 2-0
Ultima partita sulla panchina del Milan il 24.01.1982: Milan vs Udinese 0-1 (Campionato)
Totale panchine in gare ufficiali: 23
Palmares rossonero: -
Palmares personale: 1 Scudetto (1975-76, Torino), 1 Promozione in Serie B (1966-67, Monza), 1 Promozione in Serie A (1972-73, Cesena)
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Ha giocato anche con la Triestina (B), il Padova (A).
Ha allenato anche il Treviso (C), il Cesena (B, 1972-73), la Fiorentina (1973-74 e 1991-93, esonerato nel corso dell'ultima stagione), il Cagliari (A, subentrato nel corso della stagione 1974-75, poi 1993-94 ed esonerato nel corso della stagione), il Torino (A, 1975-80, sostituito nel corso dell'ultima stagione, e 1984-89), il Bologna (A, 1980-81 e 1990-91 subentrato nel corso della stagione e retrocesso), il Bari (B, subentrato nel corso della stagione 1982-83 e retrocesso), l'Internazionale (A, 1983-84), la Roma (A, 1989-90), il Genoa (B, 1995-96, esonerato nel corso della stagione), il Monza (C1, subentrato nella stagione 1996-97 e sostituito nella stagione 1997-98).
Ha un figlio, Ruggero, che ha giocato con il Monza (B), il Siena (B), il Piacenza (B).
"Lombardo purosangue, Luigi "Gigi" Radice nasce a Cesano Maderno, in provincia di Milano, il 15 gennaio 1935. Cresce calcisticamente nel settore giovanile rossonero fino a raggiungere la prima squadra dove fa il suo esordio nella stagione '55-56. Da allora Radice militerà per otto anni consecutivi nella sua squadra del cuore (fino al '64-65) disputando 95 matches ufficiali (75 di campionato) e realizzando 1 gol. Schiaffino predice per lui un futuro radioso e così sarà, almeno in parte. Radice raggiunge infatti anche la nazionale maggiore, dove gioca per cinque volte, ma la critica su questo difensore dalle notevoli doti sarà sempre divisa nel definirlo un campione vero oppure incompiuto. Di dubbi non ne lascia invece alcuno nella sua carriera di tecnico dove diviene uno dei migliori allenatori italiani degli anni Settanta." (Da 1899-1999. Un secolo rossonero", di Carlo Fontanelli, Geo Edizioni 2000)
"Ruvido e coriaceo, Luigi Radice incarna il prototipo del marcatore puro degli anni cinquanta e sessanta. Terzino sinistro classico non aveva piedi molto buoni ma sapeva annullare un avversario fino al punto di non far accorgere la propria squadra della sua presenza. Difficilmente il giocatore marcato da Radice riusciva ad impensierire il portiere. Cresciuto nelle giovanili del Milan i suoi primi anni in rossonero non sono stati fortunatissimi: otto presenze nella stagione 1955/1956, appena una nel 1956/1957, nove l'anno successivo e due nel 1958/1959. Ma dopo due campionati passati a Trieste e a Padova con ottimi risultati, Radice è tornato al Milan per essere tra i protagonisti dello scudetto 1961/1962 e della Coppa dei Campioni 1962/1963. Ad interrompere una carriera che sembrava nuovamente avviata, è arrivato un gravissimo infortunio al ginocchio (il 3 marzo 1963 quando si ruppe il menisco contro la Sampdoria, n.d.r.). Nacque così il Radice allenatore, il cui credo, rispecchia molto quelle che erano le sue caratteristiche da giocatore." (Dal sito AC Milan.com)
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Dal sito www.wikipedia.org
Calciatore
Come giocatore, Luigi Radice ha giocato con Milan, Triestina e Padova incarnando il prototipo del marcatore puro, in posizione di terzino sinistro durante gli anni cinquanta e sessanta. Cresciuto nelle giovanili del Milan e passato in prima squadra con poca fortuna (19 presenze in tre stagioni pur condite da due scudetti), Radice passò dapprima agli alabardati poi al Padova dove dette ottimi risultati meritandosi il richiamo a Milano, dove si rese protagonista dello scudetto 1961/1962 e della vittoria in Coppa dei Campioni nella stagione successiva. Fu costretto ad abbandonare la carriera di calciatore a seguito di un grave infortunio al ginocchio.
Allenatore
Luigi Radice ha iniziato e finito ad allenare a Monza(nel 1969/70 la prima esperienza,nel 1998 l'ultima)ma ebbe la sua più grande soddisfazione nella stagione 1975/76: tutt'ora è l'unico allenatore capace di vincere lo scudetto con la squadra del Torino dopo la tragedia di Superga e nello stesso anno gli è stato assegnato il premio Seminatore d'Oro quale miglior allenatore dell'anno.
Il tecnico lombardo ha guidato anche altre squadre prestigiose del panorama italiano come il Milan (1981/82), l'Inter (1983/84), la Roma (1989/90) e la Fiorentina (dal 1991 al 1993) dove alla seconda stagione, trova un inspiegabile esonero per dissidi con il vicepresidente Vittorio Cecchi Gori: lascia la squadra a metà campionato seconda in classifica, senza di lui i viola troveranno in quello stesso torneo una clamorosa retrocessione.
Radice è stato inoltre l'autore di una delle pagine più gloriose del calcio della Romagna, avendo guidato per la prima volta nella storia il Cesena alla promozione in serie A ottenuta al termine della stagione 1972-1973.
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Gigi Radice, stagione 1957-58 |
Gigi Radice, stagione 1960-61 |
Gigi Radice ai tempi della Triestina (dalla "Gazzetta dello Sport" del 12 dicembre 1959) |
Un giovanissimo Gigi Radice in rossonero (da "Lo sport nei ricordi di carta") |
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Paolo Ferrario e Luigi Radice, 1961 |
(per gentile concessione di Andrea Leva) |
In copertina della rivista "Football", aprile 1962 (per gentile concessione di Franco Damiani) |
(da "Forza Milan!") |
Estate 1962, Radice, Mora e Barison (by Franco Damiani) |
Carla Radice (mamma di Luigi), in posa per una foto scattata alle mogli e mamme dei calciatori per festeggiare la vittoria dello scudetto 1961-62
(da "La Domenica del Corriere", 1962) |
Permesso di soggiorno per la tournée del Milan in Brasile nell'estate del 1962 (per gentile concessione di Ivano Piermarini) |
Stagione 1962-63, Radice e Altafini posano per i fotografi prima di una partita casalinga. All'epoca, anche a San Siro qualche volta il Milan indossava la casacca bianca con il colletto rossonero e lo scudetto enorme cucito sul petto, la stessa di Wembley. Come il pallone di cuoio, simile a quello infilato due volte da Altafini nella porta del Benfica (by Lucia Ravenda) |
(da "MilanInter" del 24 febbraio 1964) |
(da "MilanInter" del 2 marzo 1964) |
Precampionato 1964-65, Ambrogio Pelagalli e Luigi Radice a colloquio con il nuovo allenatore Nils Liedholm (by Roberto Rolfo - facebook) |
(da "MilanInter" del 4 gennaio 1965) |
Mauro Rivera al Monza con Gigi Radice, 1966-67 (Archivio Magliarossonera.it) |
Gigi Radice, Mario David, Toni Bellocchio e Nereo Rocco (di spalle), primi anni '70 (per gentile concessione di Antonella Bellocchio) |
Toni Bellocchio con Gigi Radice allenatore del Cesena, 1972-73 (per gentile concessione di Antonella Bellocchio) |
Gigi Radice allenatore della Fiorentina, stagione 1973-74
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(Archivio Magliarossonera.it) |
Gigi Radice allenatore del Torino, qui saluta Giovanni Trapattoni (Archivio Magliarossonera.it) |
Paolo Barison, Gigi Radice e Aldo Maldera alla presentazione de "Il Milan Racconta", 1979 |
Una foto di Gigi Radice, stagione 1962-63, tratta da "Il Milan Racconta" |
Rivera, Radice e Schiaffino, a Montevideo (Uruguay), inizio 1981 (by Stefano Rocchi - facebook) |
17 aprile 1979: incidente d'auto in cui muore Paolo Barison e rimane ferito Gigi Radice |
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(da "La Stampa" del 18 e 19 aprile 1979) |
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(da "La Stampa" del 20 e 23 aprile 1979 e del 3 maggio 1979) |
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Prima compagni di squadra al Milan, poi allenatore (Gigi Radice) e giocatore (Mario Trebbi) al Monza (by Giorgio Trebbi) |
La "Gazzetta dello Sport" del 18 aprile 1979 |
Gigi Radice, lezione a Milanello, stagione 1981-82 |
Gigi Radice a Milanello, stagione 1981-82 (per gentile concessione di Renato Orsingher) |
Inserto de "Il Monello" dedicato a Gigi Radice (da "Lo sport nei ricordi di carta") |
Stagione 1981-82, Gigi Radice parla con Ruben Buriani, dietro Mauro Tassotti |
Il giornalista Walter Tobagi |
Dal settimanale "Milan-Inter"
13 settembre 1965 - di Walter Tobagi
GIGI RADICE: DOLOROSO ADDIO
Stroncato dalla fatalità un atleta esemplare, il "nazionale" in un banale incidente in allenamento (tackle fortuito con Trebbi) ha riportato una lesione al menisco della gamba destra. Difficilmente potrà riprendere l'attività agonistica anche se la sua tempra ci ha insegnato che ogni miracolo non è per lui impossibile.
Dopo una lunghissima serie di incidenti e d'operazioni al menisco, Radice pareva essersi ripreso.
Nelle partite di precampionato era stato all'altezza dei suoi tempi migliori. Ma la malasorte lo ha
colpito di nuovo, forse in modo irreparabile. Stava palleggiando con Trebbi. A un certo punto
Mario ha fatto forza sull'interno del piede di Radice per non cadere per terra. Si è visto Gigi accasciarsi
al suolo, tutto d'un pezzo, senza dire una parola. Pareva una cosa da niente: capita di cadere
dieci volte durante un allenamento! Radice ha provato a rialzarsi, ma non ce l'ha fatta. È caduto
di nuovo come un mattone.
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La prima diagnosi parla di menisco interno. Si attende l'esito di una più accurata visita del dott.
Terragni. Dopo questo incidente, la carriera di Gigi Radice molto probabilmente si è conclusa:
una carriera stroncata anzitempo dalla cattiva sorte, una sfortuna assolutamente immeritata.
Chi conosce Radice non può dirne che bene. È un ragazzo d'oro sia sul campo che nella vita. La
sua correttezza è sempre stata esemplare, essendo logica conseguenza di un gioco basato sulla
combattività, sull'agonismo, sulla lealtà sportiva.
Con la maglia del Milan e della Nazionale, Gigi si era fatto conoscere in Italia e all'estero per le grandi
doti di atleta. Lo ricordiamo nella memorabile partita di Vienna, che è stata l'ultima sua prestazione
azzurra. Radice era insuperabile. Nella zona sinistra della difesa la sua chioma bionda sfrecciava da
una parte all'altra e il suo piede magico anticipava puntualmente l'ala destra avversaria.
Pareva, quel giorno, che la carriera di Radice fosse in ascesa. Gigi era nel pieno della maturità atletica,
con una notevole esperienza agonistica alle spalle. Ma la sfortuna cominciò a colpirlo. Radice iniziò un penoso periodo, in cui alternava mesi di convalescenza a difficili interventi chirurgici.
Lui, con una volontà che difficilmente ha riscontri, resistette agli attacchi della cattiva sorte.
S'impegnò con se stesso e con gli amici, che gli erano rimasti vicini, e finalmente ritornò il campione
che tutti avevano conosciuto e apprezzato in passato. Nell'ultima parte dello scorso campionato, Radice disputò due partite. Durante l'estate aveva cullato il sogno di avere un posto da titolare nel Milan edizione '65. E le speranze erano state confermate dalle prime esibizioni stagionali. A Napoli, contro l'attacco atomico di Altafini, Sivori e Canè, Radice controllò con sicurezza l'argentino.
Le speranze si erano, giorno dopo giorno, accresciute, finché non è arrivata la notizia del nuovo
incidente. Improvvisamente la voce si è sparsa nella tribuna stampa. Poi, negli spogliatoi,
Liedholm ha informato ufficialmente dell'incidente.
Fuori dello stadio, i tifosi già commentavano l'accaduto. Ci siamo avvicinati a un crocchio e abbiamo
sentito queste testuali parole: «Un giocatore come Radice, il Milan lo sostituirà difficilmente».
Parole semplici, sfrondate da ogni retorica. Ma sono le parole che bisogna dire in questo momento.
Gigi Radice ha dato molto al Milan, con slancio, con la passione di chi sente la responsabilità
del suo compito; ha offerto a tutti compagni un esempio splendido di attaccamento ai colori sociali.
Purtroppo la sua carriera di calciatore si è definitivamente conclusa. Non rimane che augurargli
di avere nella vita una sorte migliore di quella avuta nel calcio. Questo è certamente l'augurio
che tutti i tifosi rivolgono a Radice: buona fortuna, Gigi! |
Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org
27 anni dopo Superga
TORINO 1976: TUTTO IL RESTO E' GIOIA
Antefatto: Maggio 1976, complice un clamoroso crollo della Juve, il Torino si laurea Campione d'Italia, la città impazzisce...
TORINO - La città è impazzita, si è trasformata. Sembra d'essere a Napoli o a Rio De Janeiro. Il carnevale durerà almeno una settimana. I tifosi hanno dimenticato la crisi della FIAT e lo slittamento della lira. Se ne infischiano anche della cassa integrazione. Si godono lo scudetto senza altri pensieri, non sembrano più torinesi. Hanno perso la tradizionale freddezza e si sono trasformati in partenopei e brasiliani. La malinconia è durata solo pochi minuti.
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Certo tutti, Pianelli e Radice in testa, avrebbero voluto battere il Cesena per festeggiare lo scudetto senza aspettare il risultato di Perugia, per stabilire il record delle vittorie casalinghe. Invece quel pareggio ha fatto pensare ad uno scudetto conquistato soprattutto per il karakiri della Juventus. Ma è stata riflessione di un attimo. Poi è esplosa la gioia. E Radice dopo essersi fatto l'esame di coscienza, ha concluso che il Torino non ha rubato nulla. Quel gol con la mano di Pulici al Napoli, la prodezza di Caporale all'ultimo minuto sul campo della Lazio. Ma per il resto tutto regolare, nessun aiuto dell'arbitro o della fortuna.
Così Radice s'è lasciato portare in trionfo, dopo essersi nascosto negli spogliatoi per asciugarsi una furtiva lacrima (lui naturalizzato tedesco non poteva mostrarsi un sentimentale all'italiana, avrebbe tradito la sua immagine). Alzava le mani e sembrava il papa, era proprio commosso, questo è il suo anno santo. Aveva già rinnovato il contratto tre mesi fa, ma ora il presidente gli concederà il ritocco. Se lo merita, perché tutti riconoscono che la Juventus avrebbe vinto ancora lo scudetto, se Lucio Orfeo Pianelli non avesse scelto l'allenatore ideale. Nell'ora del trionfo, è giusto che siano riconosciuti i meriti di tutti.
La metamorfosi è sicuramente cominciata con l'avvento di Giagnoni. Con il borghese Cadè, infatti, il Torino era ancora squadra di provincia. Giagnoni non portò solo il colbacco e la sciarpa, seppe infondere la mentalità vincente, dette la carica sia ai giocatori che ai tifosi. Avrebbe potuto anche conquistare lo scudetto e se l'arbitro Toselli (a Genova) non avesse annullato un gol che a tutti era sembrato regolare.
Poi Giagnoni perse la fiducia in quel Torino che alternava cose stupende a pause sconcertanti. Si lasciò incantare dal nababbo Buticchi, non fiutò il «pericolo-Rivera» e tentò l'avventura a Milano. Con Fabbri, il Torino fece un passo indietro. Il «Ducetto di Castelbolognese» come allenatore non è baciato in fronte dalla dea bendata. E' pieno di complessi, anche per via della statura. Forse non crede nemmeno nel calcio nuovo. Sicuramente non sa rendersi simpatico. Pianelli gli era sinceramente affezionato e gli diede tutto l'appoggio possibile e immaginabile, ma poi dovette convincersi che se Fabbri fosse rimasto a Torino, il Torino non avrebbe mai vinto lo scudetto.
Radice invece è l'allenatore giusto, arrivato nel momento giusto. E' un uomo vincente, nella vita e nello sport. E' stato lui a portare il Cesena in serie A. Nessuno a Firenze ha ottenuto i risultati che ha ottenuti lui. L'anno scorso salvò il Cagliari quando la retrocessione sembrava sicura. Chissà quante volte a Firenze si mordono le mani per averlo mandato via. Nella città di Dante e di Ugolini ci sono ancora certi tabù che sono scomparsi persino in televisione. Gli rimproverarono di essere un allenatore sexy, come se avere successo con le donne fosse una grave colpa. A Torino, Radice, ha potuto lavorare in pace e lo scudetto è arrivato in anticipo rispetto al programma. E ora la città è impazzita perché i tifosi aspettavano questo giorno dalla tragedia di Superga. 27 anni di umiliazioni (persino l'abbinamento con il cioccolato e la retrocessione in serie B) in attesa di Radice. Certo, non bisogna dimenticare il Cavaliere del Lavoro Lucio Orfeo Pianelli, che da autentico capitano d'industria, ha saputo galvanizzare i giocatori con i milioni, cioè con il premio-produzione.
Si è appreso che ogni granata ha avuto 33 milioni di premi, e ne riceverà altri 15 per lo scudetto. In totale 48 milioni a testa, solo di premi. Pulici e compagni saranno ricoperti d'oro. Ma per vincere questo scudetto, Pianelli e Traversa, si sarebbero venduti anche la fabbrica che porta il loro nome.
Oggi Pianelli a Torino è diventato più popolare di Agnelli. Se avesse accettato di presentarsi alle politiche sarebbe stato eletto contemporaneamente onorevole senatore. La Democrazia Cristiana ha insistito a lungo, arrivando a pressione d'ogni genere. Il Ministro dell'Industria Donat Cattin (che pure è tifoso della Juventus), si è opposto ad Agnelli ma si era detto entusiasta della candidatura-Pianelli. Perché Pianelli è un miliardario che piace pure a lui. Pianelli, infatti, si è costruito una fortuna con il suo lavoro, cominciando da operaio. Non ha avuto il tempo di studiare al liceo e all'Università. Dice ambiguità invece di ubiquità, quando soffre sul campo parla di paté d'animo invece di patemi d'animo. Ma agli operai e ai tifosi piace proprio per questo suo aspetto genuino, di uomo del popolo.
Pianelli è simpatico anche ai comunisti. E il sindaco Diego Novelli che, tifoso del Toro da sempre, è stato il primo a complimentarsi con lui, pronto a sottoscrivere il compromesso storico.
Il Torino è l'espressione più popolare della città. All'origine gli juventini erano tutti aristocratici, lo «stile-Juventus» è nato nei migliori collegi, ed è rimasto anche in certi salotti. Il Torino ha le sue radici nei borghi e rappresenta la ribellione a un certo mondo. Ha scavalcato la Juventus anche come lotta di classe. Dopo aver vinto lo scudetto, i giocatori del Torino si sono divertiti a sfottere l'allenatore del Bologna, Pesaola, che aveva scommesso sullo spareggio. Al «Petisso», domenica sera devono essere fischiate a lungo le orecchie. Però in fondo, Pesaola aveva indovinato che il Cesena non avrebbe perso a Torino. E' stato tradito dalla sconfitta della Juventus a Perugia. Ma Radice merita l'applauso anche perché aveva avuto fiducia in certi giocatori sui quali Pesaola aveva espresso tante riserve. Di Caporale a Bologna si parlava in chiave di barzelletta.
Ebbene, il Torino è diventato Campione d'Italia anche per merito di Caporale, che è risultato sempre tra i migliori. Su Pecci, poi le risate si sprecavano. «E' un bambino immaturo e impertinente, che si atteggia a Pelè». «Soffre di disfunzioni, diventerà più grasso di Ave Ninchi». «Con quei piedoni non può giocare al calcio, gli conviene darsi all'ippica visto che ha la statura del fantino». Ebbene con Caporale che a Bologna era giudicato inferiore al pittore Battisodo e con Pecci giudicato la parodia di Petrolini più che di Loik, Radice ha messo su una squadra da scudetto. Una squadra che meriterebbe di andare in blocco in Nazionale e che può fare bella figura anche in Coppa dei Campioni (ma Pianelli naturalmente la rinforzerà).
L'uomo chiave è risultato Claudio Sala, i lanci per i «gemelli-gol» Pulici e Graziani sono partiti dal suo piede. Ebbene Sala è l'unico giocatore snobbato dalla Nazionale. A vedere Torino-Cesena c'era anche Bearzot. Radice si augura che finalmente se ne sìa accorto. Ma soprattutto, se lo augura lo stesso giocatore da un'intera stagione tra i migliori del campionato, ma sempre lasciato a casa ad ogni convocazione del «Club Italia». Ecco, alla fine, questo scudetto è un po' anche la sua rivincita.
Così, un po' davvero e un po' per scherzo Torino si è tolta la sua più bella soddisfazione. E Pianelli - che è il decano dei presidenti di serie A - adesso è l'uomo più felice del mondo: dopo essere stato tante volte sul punto di stufarsi e piantare tutto, merita questa gioia più di ogni altro. E lo stesso dicasi per tutti coloro che - anche in tempi più o meno vicini - hanno portato il loro contributo. Questo scudetto, in fondo è merito anche loro: è la festa di una città intera. Tutto il resto è solo gioia.
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Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org
Terzo grado ai due protagonisti: Il titolo di «Campione d'Italia» è stato vinto dal Torino o è stato buttato via dalla Juventus?
RADICE E PAROLA: UNO SCUDETTO IN DUE
Antefatto: Maggio 1976, il Torino di Radice ha conquistato uno storico scudetto (il primo dopo Superga) al termine di una rimonta clamorosa ai danni della Juventus di Carletto Parola...
TORINO - Gli allenatori del momento sono Gigi Radice e Carlo Parola. Il primo ha fatto vincere lo scudetto al Torino ed è sull'altare. Il secondo ha fatto perdere tutto alla Juventus (titolo, Coppa Italia e Coppa dei Campioni) ed è nella polvere. La sua caduta ha coinvolto lo stesso Boniperti che ora gli ha proposto di rimanere in seno alla società con altri incarichi. Parola ha meditato un po', poi ha accettato.
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E' entrato così a far parte, con Cestmir Vycpalek, di quello che è già stato definito da più parti come «il cimitero degli elefanti». Radice è diventato l'idolo dei tifosi granata perché al primo tentativo ha fatto vincere al Toro quello scudetto che era atteso da ventisette anni. Da quando, cioè, il leggendario squadrone di Mazzola e Gabetto andò a schiantarsi sulla collina di Superga. Parola, al contrario, è stato contestato con ferocia perché aveva promesso l'en plein e non ha vinto nulla e l'assurda contestazione ha valicato i limiti sportivi per sconfinare in quelli personali. Noi li abbiamo invitati a confessarsi senza falsi pudori e diplomazia: Radice e Parola, il vinci-tore e il vinto.
Da più parti la Juventus è stata definita la « Signora suicidi », perché si è fatta harakiri diverse volte. Il dubbio quindi è legittimo: Io scudetto 76 è stato vinto dal Torino o è stato perso dalla Juventus?
RADICE - Io direi che l'ha vinto il Torino. Perché non abbiamo rubato nulla. E perché abbiamo meritato di vincerlo. Si dirà che la Juventus non ha saputo amministrare il vantaggio di 5 punti, ma secondo me il campionato si è deciso a Cesena. Con quella sconfitta i punti sono diventati 3 e con la prospettiva che la domenica dopo, essendoci il derby, ne sarebbe rimasto uno solo. A un punto di distacco, abbiamo capito che ormai lo scudetto era nostro anche se per scaramanzia abbiamo continuato a parlare di secondo posto.
PAROLA - Il campionato è stato vinto al cinquanta per cento dal Torino, e perso al cinquanta per cento dalla Juventus. Sportivamente devo ammettere che i granata hanno disputato un torneo ammirevole sotto tutti i punti di vista. Anche a cinque punti di distanza da noi, non si sono mai dati per vinti. Hanno seguito un preciso programma, e lo hanno realizzato senza il minimo indugio.
Le statistiche dimostrano che il Torino ha vinto lo scudetto in casa e che la Juventus l'ha perso in casa. In questa diversità di rendimento c'entra l'apporto del pubblico? Nelle ultime settimane la Juventus ha dato l'impressione di essere stata abbandonata anche dai tifosi.
RADICE - Specifichiamo. Il Torino ha vinto lo scudetto in me-, dia inglese, segno che ci siamo ' fatti rispettare anche fuori. Tutte le squadre in casa rendono di più, è un fatto normale. Che il Torino sia riuscito a vincere 14 partite su 15 (contro il Cesena 1' emozione ci ha tagliato le gambe) rappresenta di per se' un impresa da record. Che potessimo vincere sempre anche fuori, sarebbe stato mostruoso. Non potevamo pretendere tanto. Sicuramente abbiamo sentito anche 1' apporto del pubblico. I tifosi mi sono sempre stati vicini, anche quando le cose andavano male, cioè quando a Verona siamo stati eliminati dalla Coppa Italia e quando abbiamo perso a Bologna la prima partita di campionato. Anche negli ultimi tempi in tanti mi hanno fermato dicendomi: signor Radice vada come vada, noi siamo contenti così. Poi magari se non avessimo vinto Io scudetto avrebbero cambiato idea. Però devo dire che il pubblico è stato molto importante in questa che considero una vittoria di tutti.
PAROLA - Fino a qualche tempo fa si diceva che i campionati si vincevano fuori casa. In trasferta la Juventus ha vinto otto volte, contro le quattro del Torino In casa, la Juventus si è imposta dieci volte, mentre il Torino quattordici. L'incentivo dei tifosi è importante, ma sono soltanto i giocatori ad andare in campo. Non abbiamo risentito in modo particolare del distacco progressivo dei nostri sostenitori, perché in caso contrario non saremmo mai giunti all'ultima giornata ancora con la prospettiva dello spareggio.
L'allenatore. Che percentuale di merito ha avuto Radice nella conquista dello scudetto da parte del Torino e che percentuale di colpa ha avuto Parola nel crack della Juventus?
RADICE - Nel calcio moderno si lavora in « equipe » e quindi i meriti e le colpe vanno divise in parte uguale. L'allenatore ha sicuramente un compito importante, direi più durante la preparazione che sul campo, perché alla domenica capiterà due o tre volte l'anno di decidere il risultato con una mossa tattica, di solito ci si limita a raccogliere cosa si è fatto durante la settimana. L'allenatore deve operare determinate scelte, tenere uniti i giocatori, ha il dovere di capirli anche come uomini. Ma secondo me i protagonisti restano sempre i giocatori. A decidere le partite sono sempre loro. E per questo dico che lo scudetto l'hanno conquistato prima di tutto i giocatori del Torino.
PAROLA - Nel calcio non esistono soltanto meriti e demeriti, ma anche fortuna. Radice è un tecnico di indubbie doti, che quest'anno è stato aiutato anche dalla sorte, come sempre accade quando si vince. Non era partito per vincere il campionato, come lui stesso ha tenuto a precisare. Ha saputo inserire nella formazione titolare giovani che avrebbero dovuto rendere soprattutto a partire dal prossimo anno. Ha saputo trasformare la fame di vittoria di molti undicesimi in quella mentalità vincente che prima non esisteva. Ha saputo convertire Claudio Sala da giocatore discontinuo in trascinatore costante.
E' molto importante anche il ruolo del presidente. Lavorare a fianco di un ex giocatore come Boniperti è un vantaggio per I' allenatore, oppure è preferibile un presidente come Pianelli che si limita ad amministrare la società?
RADICE - Non so come si comporta Boniperti con gli allenatori, perché non ho mai lavorato nella Juventus. E' sicuramente un vantaggio del calcio italiano che arrivino alla presidenza anche i protagonisti del calcio giocato. Conoscendo a fondo l'ambiente è difficile che commettano gli errori di cui sono vittime spesso i neofiti, perché loro questi problemi li hanno vissuti. Certo però un allenatore deve essere libero di esprimersi senza condizionamenti di sorta. Se, poniamo, vuole fare gli allenamenti al mattino e il presidente gli dice: no, è meglio farli al pomeriggio, si guasta tutto. Non parliamo poi se il presidente vuole mettere il becco nella formazione. Non ho però esperienza in proposito. A me tutti i presidenti hanno sempre lasciato carta bianca.
PAROLA - Le situazioni dell'allenatore accanto ad un presidente non tecnico e ad un presidente tecnico sono differenti ed egualmente produttive. Mi ritengo fortunato nel poter lavorare al fianco di Boniperti, perché un conto è parlare di sport ad un incompetente e un conto è conversare dei propri problemi con chi ti può capire. In ogni caso ho sempre deciso io e mi sono sempre sobbarcato io le responsabilità della conduzione della squadra.
La stampa rappresenta il quarto potere. Si dice che quasi tutti i giornalisti torinesi tifano per il Torino. Che peso può avere avuto il ruolo della stampa nella classifica finale?
RADICE - In passato mi era stato spesso rimproverato (specie a Firenze) di non curare abbastanza le pubbliche relazioni. A Torino abbiamo impiegato un po' di tempo a conoscerci, ma poi ci siamo capiti e abbiamo lavorato di comune accordo. La stampa mi ha sempre trattato bene. In occasione di certe vittorie importati ho visto i giornalisti torinesi partecipare alla nostra gioia. Sicuramente il Torino ha molti amici tra i giornalisti.
PAROLA - La stampa è abituata a seguire la corrente, e in questa stagione ha sostenuto il Torino allo stesso modo in cui avrebbe appoggiato qualsiasi altra formazione di nuova fama. In particolare, ritengo che la stampa torinese abbia sempre compiuto con equità il suo lavoro. Ammiro un giornalista nella misura in cui giudica con obiettività e maschera le passioni, e in questo senso sono sempre stato circondato a Torino da professionisti degni di ogni stima.
Zoff non ha ripetuto le parate-miracolo degli anni scorsi. Il portiere è stato determinante ai fini della lotta per Io scudetto?
RADICE - Zoff, a parte i derbies, l'ho visto solo in TV e la TV inganna. Le telecamere non rendono l'idea della prospettiva. A vedere la televisione sembra sempre che i gol siano colpa del portiere. Non credo che sia stato Zoff a far perdere lo scudetto alla Juventus. Faccio notare che anche il nostro Castellini ha avuto i suoi momenti critici. Ma il Torino ha saputo reagire. Abbiamo vinto anche partite per 4-3 e per 4-2. Se beccavamo un gol da polli, spingevamo sull'acceleratore e ne segnavamo uno in più degli avversari.
PAROLA - Io guardo al diagramma finale del campionato, e non agli episodi particolari. Zoff ancora una volta ha vinto la sua battaglia, perché le sue prodezze sono state largamente superiori alle sue mancanze. Ci si è stupiti di certi infortuni, perché quando Zoff salva la propria porta, tutto rientra nei limiti della normalità. Purtroppo il ruolo di portiere è delicato, perché è assolutamente vietato sbagliare. Zoff, se è vero che non ha sostenuto un torneo ottimo, è altrettanto vero che ha trascorso una annata più che buona.
Qualcuno sostiene che con Anastasi la Juventus avrebbe potuto vincere lo scudetto. Tornasse indietro cosa farebbe Parola e in un caso analogo come si comporterebbe Radice.
RADICE - Il caso Anastasi ovviamente l'ho seguito solo sui giornali. Ossia un bel giorno Anastasi ha chiamato i giornalisti e ha sparato a zero sull'allenatore. Se le cose stanno così, il Torino avrebbe reagito come la Juventus. I campioni hanno già altri vantaggi rispetto ai compagni: a parte il reingaggio hanno più interviste, firmano più autografi. Questi sono i vantaggi della popolarità. Ma nello spogliatoio si deve essere tutti uguali. Guai se uno si mette a fare il divo anche nello spogliatoio. Anastasi non poteva permettersi certi atteggiamenti. Ha sbagliato è giusto che sia stato punito. Io mi sarei comportato esattamente come Parola.
PAROLA - Anastasi ha scelto una strada e io un'altra. Non è certamente per colpa sua che abbiamo perso il campionato. Giocando per oltre mezzo torneo ha fatto la sua parte: quello che ha fatto in seguito non ha nulla a che fare con l'andamento del gioco sul terreno di gara.
Modulo di gioco. Cosa ha espresso di nuovo il Torino e cosa si può rimproverare alla Juventus? Molti ad esempio hanno criticato la posizione di Bettega.
RADICE - Io qualcosa di nuovo l'avevo cercato già a Cesena e a Firenze. Mi sono ispirato al basket, cioè al pressing. Quando hanno la palla gli avversari, bisogna interrompere il loro ritmo . La strada è quella e gli olandesi l'hanno interpretata benissimo. Quanto alla Juventus le critiche mi sembrano dettate dal solito senno del poi. Quando la Juventus vinceva, tutti dicevano che il segreto era la posizione arretrata di Bettega e gli scambi con Gori.
PAROLA - Il Torino ha offerto un tipo di gioco che non è tanto nuovo, quanto adeguato ai mezzi a disposizione. I granata concentrano il loro gioco su due punte valide come Pulici e Graziani, cercando di servirli in due o tre passaggi nel modo più rapido possibile. Un centrocampo ringiovanito consente di sviluppare una manovra in profondità nettamente diversa da quella maggiormente corale della Juventus. Il nostro modulo ha funzionato anche quest'anno, e non è vero che alcuni elementi hanno dimostrato rispetto al passato uno stato di logoramento.
Forse la Juventus è stata handicappata dall'abbondanza di giocatori. Troppi galli in uno stesso pollaio. E' preferibile avere una squadra base come il Torino?
RADICE - La Juventus aveva tre traguardi, quindi era necessaria una « rosa » allargata. Avere tanti giocatori di valore è sempre un vantaggio. Però bisogna che questi giocatori sappiano essere obiettivi. Se uno sta fuori deve convincersi che è giusto così e che l'allenatore lo fa nell' interesse della squadra. Nemmeno io che pure l'avevo fatto acquistare dal Monza pensavo che Patrizio Sala potesse imporsi così in fretta. Ma quando è diventato titolare tutti gli altri hanno riconosciuto che era giusto così.
PAROLA - E' difficile dire se una rosa molto ampia rappresenti sempre un vantaggio. Ci tengo a sottolineare, comunque, che non è vero che il nostro organico si è rivelato eccessivo. A novembre abbiamo ceduto uomini come Marchetti e Rossi, ed inoltre giocatori come Spinosi hanno giocato poi solo poche partite. Anche Radice si è trovato nelle condizioni di dover escludere un elemento qualificato come Lombardo, e lo ha fatto senza temere eventuali polemiche.
Altafini l'anno scorso era risultato l'uomo scudetto. Perché quest 'anno Parola ha rinunciato ai suoi gol e cosa avrebbe fatto Radice?
RADICE - Ho letto che José si sente ancora in gambissima. Però l'età ce l'ha. Abbiamo giocato assieme nel Milan. E' uno dei pochi giocatori dei miei tempi ancora sulla breccia. Credo che il tempo passi inesorabile per tutti.
PAROLA - Se ho fatto giocare poche volte Altafini, i motivi devono pur esserci. Acquistando Gori, ho avuto a disposizione un attaccante in più rispetto al passato che, essendo più giovane del brasiliano, mi sono premurato di curare in modo particolare per il bene della società. Sono solo un dipendente del sodalizio, e non spetta a me dire se Altafini può continuare la carriera o meno.
II calcio va a cicli. Si può dire che è finito il ciclo della Juventus ed è iniziato il ciclo del Torino?
RADICE - Magari! La Juventus è una squadra che ha orgoglio e tradizione. Si riprenderà prontamente. Sarà il nostro avversario più pericoloso anche l'anno prossimo.
PAROLA - Io mi auguro esclusivamente che sia iniziato il ciclo della città di Torino e che continui, anche se so che sarà difficile per Torino e Juventus vincere sempre. Il Torino è una squadra giovane che ha le possibilità per poter durare, ma questi mezzi li dispongono anche altre squadre, ugualmente temibili.
Di cosa ha bisogno la Juventus per tornare campione d'Italia e quanti ritocchi occorrono al Torino per vincere un altro scudetto e fare bella figura in Coppa dei Campioni?
RADICE - Qualche acquisto lo faremo, ma senza far pazzie. Perché ora che siamo campioni d' Italia qualunque giocatore si chieda ci sparano 200 milioni in più. E noi a certi giochi non ci prestiamo.
PAROLA - La Juventus, per vincere di nuovo il campionato, ha bisogno di due acquisti, e cioè di un attaccante in grado di segnare molte reti e un centrocampista di rincalzo. La colonna vertebrale può rimanere comodamente la stessa, e garantire ancora eccellenti risultati. La rosa, infatti, deriva dalla combinazione di uomini esperti e elementi giovani. Ogni anno abbiamo previdenzialmente inserito nel telaio un elemento di grande avvenire, come Scirea o Tardelli, e intendiamo proseguire senza rivoluzioni su questa via.
La Coppa dei Campioni rappresenta un traguardo prestigioso. Sulla base dell'esperienza della Juventus che consigli dà Parola a Radice e cosa prevede Radice?
RADICE - Molti sostengono che noi siamo handicappati perché non abbiamo gli stranieri. Io dico invece che è giusto non riaprire le frontiere, solo così si può salvare il calcio italiano. Il Bayern ha vinto con i tedeschi non certo con gli stranieri. Il Real Madrid con gli stranieri è stato eliminato lo stesso. Piuttosto il nostro handicap deriva dalla preparazione. Gli altri superano con più facilità i turni iniziali perché cominciano ad allenarsi prima di noi. Per questo noi ci raduneremo il 23 luglio e andremo a fare un po' d'esperienza all'estero o in Inghilterra o in Olanda. Per lo scudetto quest'anno ci siamo realizzati di domenica in domenica. L'anno prossimo cercheremo di realizzarci anche di mercoledì in mercoledì. Vivendo alla giornata siamo arrivati al traguardo.
PAROLA - Non posso suggerire nessun consiglio a Radice in vista della Coppa dei Campioni, se non augurargli un buon sorteggio. Noi, senza il Borussia al secondo turno, saremmo forse andati diritti in finale. Finora i granata non si sono mai esibiti sulla scena internazionale, per cui rappresentano per tutti una incognita da chiarire con interesse.
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Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org
Radice uomo, Radice allenatore, Radice scopritore di talenti, Radice democratico, Radice la voglia di vivere, Radice il critico. Insomma, Radice...
GIGI RADICE: DOPO LA CADUTA
Antefatto: Luglio 1980, chiusa l'epopea granata, Radice si rimette in gioco sulla piazza di Bologna, che affronterà alò stagione 80-81 con la penalizzazione di 5 punti. Come straniero si aspettava Zico o Socrates, avrà soltanto Eneas...
DOVEVA comprare Serginho, poi però ha fatto marcia indietro causa il caratteraccio del giocatore; doveva comprare addirittura Zico, ma costava troppo; come alternativa si era parlato di Tita, l'alter ego di Zico, oppure di Socrates. Alla fine, però, Gigi Radice è tornato in Italia impressionato dai prezzi relativi ai calciatori brasiliani e, comunque, con una rosa composta da due-tre giocatori che sono attualmente in «ballottaggio. Parliamo d'altro...
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Scusa, ma come sarebbe il nuovo Radice?
«Bisognerebbe chiederlo a voi giornalisti. Evidentemente conoscere l'uomo Radice ha scioccato parecchia gente. Sai com'è: ci si frequenta sempre al campo, si discute di formazione e di modulo e magari non si fa mai un qualunque discorso sull'esistenza. E così quando ho avuto quell'incidente e sono stato in ospedale, non si parlava mica di mezze punte e di Uefa, si parlava della vita, dell'amicizia e di tanti altri argomenti che i giornalisti del pallone e il sottoscritto non avevano mai toccato. E allora è nata la storia del nuovo Radice, pieno di umanità, un Radice inedito e sorprendente, hanno scritto. Ma era ovvio che fosse così. Certi rapporti andrebbero sempre approfonditi e invece al campo siamo sempre lì a menare il solito torrone».
- Gigi, sei sempre convinto che il Torino ti abbia tradito?
«Ci ho ripensato più volte e non sono riuscito a togliermi quella grande amarezza. Pensavo ormai di essere in famiglia, ci dicevamo tutti insieme che anche le eventuali intemperie le avremmo superate senza traumi, discutendone serenamente. Poi ai primi accenni di burrasca mi cacciano via e mi fanno sentire un allenatore qualunque, cinque anni di affettuosa collaborazione spazzati via perché si erano perdute un paio di partite in più».
- Che cos'è per te la disoccupazione?
«Fortunatamente è una parola che non conosco. Sono stato fermo qualche mese, ma non mi sentivo un disoccupato. Ero anche indeciso sul fatto di rituffarmi o meno. Meditavo di mettermi a studiar calcio, di andare a girare all'estero, poi qualcuno si è fatto avanti e tanto per cambiare non ho saputo resistere al grande fascino».
- Il Bologna cosa poteva rappresentare per te?
«Una piazza di nobilissime tradizioni, una città serena e tranquilla e poi la serie A, mica poco...».
- La serie A con quell'handicap...
«Speriamo nella CAF e poi pazienza, avremo particolarissimi stimoli».
- Che tipo di rivincite cerchi?
«Mi basterebbe dimostrare che Gigi Radice può mettere insieme una squadra capace di fare discreti risultati con un calcio sufficientemente apprezzabile».
- E che Bologna stai costruendo?
«Ho chiesto alla società certi giocatori e finora me li hanno comprati. Benedetti è uno dei migliori giocatori della serie B, Pileggi, Vullo e Garritano li conosco benone».
- Già, ma Garritano in che condizioni è?
«Pare sia in buonissime condizioni e toccherà a me cercare di recuperarlo del tutto».
- Gigi, ma qui i gol chi te li fa?
«Fiorini più Garritano, potrei risponderti».
- Hai avuto il coraggio di parlare di Zico...
«Non solo di Zico, ho parlato anche di Socrates, Mendonca, Serginho, Tita e altri campioni. Io ci ho provato perché vogliamo un grosso giocatore che abbia confidenza con il gol».
- Ti occorrono trenta punti...
«Nell'uno e nell'altro caso. O per salvarmi al pelo oppure per arrivare fra le prime otto».
- Che impatto hai avuto con l'ambiente?
«Qualcuno mi ha riconosciuto, qualcun altro no. Qualcuno mi ha fatto molti auguri, tutto qui. Impatto delizioso, l'impatto con una città che in ogni circostanza conserva sempre la sua compostezza».
- E il Torino?
«Fatti loro».
- Cosa farà il Torino di Rabitti?
«Potrà anche puntare allo scudetto, purché sappia raggiungere e conservare una linea di continuità ad alto livello».
- Van de Korput l'hai visto?
«Un paio di volte in TV. Mi sembra un buon giocatore».
- Gli Europei: dove va a finire il calcio?
«Trionfa il calcio che mira solo al risultato, ma era anche logico che fosse così. Poi ovviamente si afferma chi ha in squadra tre o quattro campioni. La Germania li aveva, noi e l'Inghilterra per esempio no».
- Dove ha sbagliato Bearzot?
«Bearzot non poteva dare un calcio a tanti giocatori che gli avevano sempre dato parecchio. Semmai bisognerà fare qualcosa adesso. Per esempio bisognerà trovare una possibile alternativa a Causio. Io proporrei Antonelli».
- Cosa vale in effetti il nostro calcio?
«Dopo l'Argentina ci siamo un po' seduti, tipico fenomeno di saturazione e di appagamento. Oggi il nostro calcio vale esattamente il quarto posto che abbiamo raccolto».
- Hanno colpa gli allenatori?
«Quando qualcosa non va, hanno colpe tutti».
- E nella storia delle scommesse chi ha colpa?
«Mica solo i giocatori. Noi allenatori e i dirigenti dovremmo essere anche dei maestri e degli educatori. E invece spesso... Ma sì, diciamolo, quasi sempre i giocatori sono figli delle colpe di chi non li sa minimamente indirizzare».
- E' giusto che tanti allenatori prendano più di cento milioni all'anno?
«La legge della domanda e dell'offerta è quella che regola il commercio. Se io chiedo cento e cento ottengo, beh, cosa c'è di tanto strano?».
- Perché ti sei portato dietro Ferretti?
«Perché per me è molto importante la collaborazione dì un amico e soprattutto di un tecnico con il quale l'intesa è una semplice strizzata d'occhi».
- A cinquant'anni gli allenatori in Italia vengono quasi tutti emarginati. Non ti fa paura il particolare?
«Un po' sì, ma speriamo bene. C'è la storia del Supercorso che incide pesantemente. Io credo che a cinquant'anni e rotti si abbia rispetto ai laureati del Supercorso quella esperienza e quella meccanica che loro non possono avere. Certo loro possono essere più provveduti sul piano squisitamente nozionistico».
- Non ti piacerebbe allenare all'estero?
«Ti giuro che ci ho seriamente pensato».
- Che tipo di ebbrezza ti dà la panchina?
«Il calcio lo si può vivere o vedere. Lo si vede dalla tribuna, lo si vive solo in panchina. Io voglio viverlo».
- Il calcio non è un'isola, il calcio è espressione della società civile. Tu in che misura partecipi ai problemi della società?
«Leggo, mi documento, mi interesso moltissimo».
- Ti pare che l'ambiente del calcio sia reazionario?
«E' un ambiente nel quale si tende ancora troppo a far galleggiare il calciatore in quel determinato stadio di infantilismo, cronico. Ti ripeto: se il calciatore è viziatissimo e fa poi qualche corbelleria, non è mica solo colpa sua».
- Come lo combatteresti il terrorismo?
«Con la forza della democrazia. Penso che ci vorranno ancora almeno dieci anni per averla vinta sui terroristi. Ma non bisogna perdere la testa, alla delinquenza bisogna opporre con fermezza i metodi democratici della nostra società e vedrai che alla fine si vince...»
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Dal sito www.pagine70.it
4 gennaio 2005 - di Patricia Wolf
GIGI RADICE, OCCHI DI GHIACCIO
Taranto, Salerno, Cava de' Tirreni, Foggia: un dossier sulle piazze più calde
Me la ricordo come un colpo al cuore, un petardo che si stagliava rombante nell'aria, accecando tutto di fumo e nebbia, quella telefonata che mi arrivò quel pomeriggio del 17 aprile 1979. Ero a casa, quel giorno non ero andata in redazione a "Olimpico" di Mario Gismondi dove sfornavo articoli su articoli, facendo un po' il "capetto" e tirando su una marea di giovanissimi aspiranti al trionfo della carta stampata, io una delle primissime giornaliste donne a disquisire di football ed andare a Spqr, emittente privata romana a intervistare i campioni negli spogliatoi dopo la partita. Una mia giovane collega mi diceva che era appena giunta un'Ansa con la notizia di un brutto incidente in Liguria. Gigi Radice era in fin di vita e Paolo Barison era rimasto ucciso, carbonizzato nell'impatto di un Tir sulla 130 color argento dove viaggiavano. Volevo intervistarlo il sabato seguente, quando il Toro sarebbe venuto a Roma per il match con la Lazio.
E soprattutto, quel Radice era una specie di mito, per me. Dal giorno che l'avevo incontrato, un po' titubante nelle mie prime interviste da collaboratrice per il Corsport, nella hall dell'Holiday Inn. C'eravamo flashati al volo, lui con il fido Giorgio Ferrini, combattente fin troppo focoso ai tempi del mondiale del Cile in maglia azzurra e presto vittima di un destino fatale, scomparso giovane dopo mille battaglie in maglia granata. Quel giorno dovevo intervistare Pulici e Graziani gemelli del gol eppoi ingaggiai il tiro al bersaglio a colpi di domande anche con lui per scoprire il suo volto umano da testardo Capricorno alle prese con la sua annata gloriosa che riportò lo scudetto a Torino granata dopo 27 anni dal rogo di Superga.
Riuscì a cavarsela, in quell'aprile 79, Gigi Radice detto "il tedesco", il duro, l'uomo dagli occhi di ghiaccio, Gigi il bello, Radix, il sergente di ferro. La domenica in occasione di Lazio-Torino nella curva biancazzurra campeggiava un grosso commovente striscione "Dai Radice, vinci lo scudetto della vita". Riuscì a cavarsela, uscì dalla Clinica Fornaca, si allenò in palestra e volò con la squadra a Chamonix per preparare il nuovo torneo. Qualcuno giurò che dopo quell'impatto crudele che l'aveva sospeso fra vita e morte, non era stato più lui. Ma gli avvoltoi volano sempre bassi nel mondo del football ed anche Gigi il tedesco fu vittima delle chiacchiere. Forse qualcosa nel giocattolo Toro s'era incrinato ma nessuno poteva negare che nei cinque anni sulla panca granata, Gigi aveva segnato un'epoca felice nella storia del Toro. Era arrivato nel '75, presentato da Pianelli alla piazza dei tifosi durante un match di Coppitalia. Qualcuno nicchiava, gli sospettava troppo inesperienza. Ma Gigi era rimasto contagiato dal bel calcio avvenirstico dell'Olanda di Cruyff al mondiale 74. E riuscì a regalare al Toro il gioco a tuttocampo, insegnare il pressing asfissiante, il raddoppio di marcatura, il trucco dell'offside. Trasformò Pat Sala che veniva dalla C nel Monza in un mediano vibrante, stantuffo continuo fra difesa e attacco. Spostò Claudio Sala che da Fabbri era impiegato da centravanti sulla fascia, libero di svariare e crossare, per rifornire di palloni da gol Graziani e Pulici che avevano sempre fame di gol. Riuscì a far rendere al massimo Eraldo Pecci, scanzonato regista romagnolo che disegnava geometrie vincenti e Zaccarelli detto "Zac" incalzava e indovinava spesso bordate micidiali. In difesa s'ingegnava da libero Vittorio Caporale ex del Bologna e spingeva sulla fascia Roberto Salvadori detto "Faina" mentre Santin e Mozzini vigilavano in difesa e in porta "Giaguaro" Castellini usciva da autentico kamikaze e volava fra i pali.
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Il giorno dello scudetto, i giocatori portarono in trionfo Radice. Lui ostentava un mezzo sorriso, non tradiva l'emozione. Lui fulminava ancora Mozzini coi suoi occhi di ghiaccio perché era inciampato in un autogol togliendo al Toro la soddisfazione di chiudere il match con uan nuova vittoria, con la coscienza a posto, degno della passerella finale.
Il Toro del '75-76 fu un'autentica sorpresa e dimostrò di avere il marchio doc di quel brianzolo biondo che s'era tolto ben pochi capricci da giocatore. Era arrivato al Milan con la fissa di giocare in mediana ma Rocco ne aveva fatto un terzino d'attacco. Uno di quelli che scendono sull'out e crossano pulito, uno di quelli che vendono l'anima in campo. Era anche arrivato in azzurro e s'era fatto la trasferta in Cile nel '62 evitandosi il match coi padroni di casa dove Lionello Sanchez dispensò pugni ai nostri, Maschio e Ferrini persero la testa facendosi espellere e il sudamericano Jorge Toro ci mise in ginocchio guadagnandosi una chiamata in un nostro club. Gigi aeva giocato solo con la Germania e nel match finale, ormai inutile, con la Svizzera. Era tornato in Italia imbattuto. Pareva lanciato ad una brillante carriera. Poi il 3 marzo del '63 in un takle col sampdoriano Cucchiaroni il ginocchio gli aveva fatto crak e per Gigi era iniziato il grande calvario.
Aveva smesso col calcio a trent'anni, convinto di lasciare l'ambiente per fare l'assicuratore. Ma poi il richiamo era stato forte, il Monza aveva chiesto di lui come coach e da lì a riprendere il discorso coi prati verdi era stato un soffio. E così, via libera al Gigi trainer, con la promozione del Monza dalla C alla B, poi il Treviso e il Cesena da far viaggiare verso la A ed ancora la Fiorentina dove c'era un Antognoni da portare all'exploit a costo di demolire un Picchio De Sisti fino a quel momento primattore in quella zona del campo. Gigi ha sempre combattuto le "primedonne". L'avrebbe fatto anche in seguito, scontrandosi con gente come "Dustin" Antonelli ed il genietto Evaristo Beccalossi, nelle sue parentesi sulle due sponde del Duomo negli anni 80. Non avrebbe risparmiato nessuno perché il suo vangelo predicava la forza del collettivo. E "collettivo" il suo Toro fu sempre. Da quel primo campionato vincente che portò al tripudio una folla di appassionati che attendeva quel giorno da troppo tempo ed era cresciuta col mito dei Mazzola e Loik spariti nel boato dell'aereo sulla Basilica di Superga. Non c'era riuscito Giagnoni che coi tifosi aveva un feeling particolare, non c'era riuscito Mondino Fabbri, né Cadè, né Santos, né Rocco. A lui l'impresa riuscì e l'anno dopo, nel 76-77 fu ancora gran bel footbal che trascinò allo stadio ogni domenica che c'era il Toro anche il rivale per eccellenza Gianni Agnelli, esteta del football, al di là di ogni fede bianconera consolidata. Il Toro finì secondo alle spalle dalla Juve, cinquanta punti contro cinquantuno giocando anche un football migliore dell'anno dello scudetto.
Era l'autunno 75 quando iniziò l'avventura di Gigi Radice in panca granata. Nell'aria risuonavano le note di "Amore grande, amore libero" del Guardiano del Faro, di "Tornerò" dei Santo California, di "Sabato pomeriggio" di Baglioni, di "Buonasera dottore" della Mori. Sui grandi schermi impazzava "Profondo rosso" di Dario Argento con relativa colonna sonora curata dai goblin. A settembre veniva catturata a San Francisco Patricia Hearst, l'ereditiera americna che era stata rapita dall'esercito di liberazione simbionese sposandone poi la causa. Il 22 settembre il presidente Usa Gerald Ford era rimasto vittima di un nuovo attentato, fortuantamente finito bene.. Gianni Guido, Andrea Ghira e Angelo Izzo, i tre giovani romani di buona famiglia erano stati protagonisti dell'esecrabile strage del Circeo ai danni di Rosaria Lopex e Donatella Colasanti che s'era salvata fingendosi morta. Il Nobel per la pace era andato a Sacharov e quello per la letteratura a Eugenio Montale. Niki Lauda era diventato campione del mondo di Formula Uno. A novembre, il regista, poeta e libero pensatore Pierpaolo Pasolini che intuì per primo il divario che stava assottigliandosi fra menti di destra e sinistra, fu trovato ucciso alla periferia di Pstia, vittima del diciassettenne reo confesso Pino Pelosi, ragazzo di borgata di quelli che lui celebrava nei suoi romanzi e film.
Durò cinque anni l'amore fra Gigi e il team granata. Poi l'opinione pubblica fu sobillata da certa stampa e il mito Radice s'incrinò. Finirono per sostituirlo con Ercole Rabitti che fino a quell'attimo s'era sempre occupato dei giovani. Sarebbe tornato al Toro nell'84 dopo aver guidato il Bologna dei -5 della penalizzazione per il calcioscommesse fino a un brillantissimo ottavo posto, spedendo Dossena in nazionale nel ruolo di regista che gli aveva inventato lui. E si tolse anche il gusto di battere proprio il Toro al Comunale col suo Bologna. Era tosto, il Gigi. Di lui se ne dicevano tante. S'era fatto un fama di rubacuori. Nel '75 un sondaggio di un periodico l'aveva eletto a furor di popolo femminile "l'uomo più sexy del calcio italiano", anche più bello di Gigi Riva. Quando alla Fiorentina dopo un bel campionato nel 73-74 decisero di mettergli Rocco come direttore tecnico costringendolo alle dimissioni, girò la voce che tutto fosse colpa di un suo flirt con la figlia del presidente Ugolini che poi andò in sposa a Mauro Della Martira. Il bis ci fu vent'anni dopo quando Gigi tornò a Firenze e con Vittorio Cecchi gori furono fuochi d'artificio e nessuno potè impedire ai soliti chiacchieroni di vociferare che col suo esonero c'entrasse la signora Rita, non insensibile al fascino di Radix. Insomma, una carriera carica di effetti speciali anche al di fuori dei campi di gioco.
Oggi Gigi fa il pensionato; è uscito dal football dopo l'ultima esperienza col Monza, proprio il club con cui aveva aperto le ostilità come allenatore. Magari avrebbe ancora molto da dire con la sua esperienza dalla panchina. Ma si è barricato nel suo bunker monzese, dedicato alla famiglia, a sua moglie Nerina, alle due figlie Cristina ed Elisabetta, al figlio Ruggero che ha fatto una buona carriera ed ora gioca come terzino nel Piacenza in B, nello stesso ruolo che fu di suo padre. Ma nessuno può negare che negli anni 70 Gigi Radice si è ritagliato un suo prezioso spazio, tecnico intelligente e versatile, brillante ed aperto alle innovazioni che giungevano dall'estero. Un sergente di ferro pieno d'umanità che voleva gli uomini al servizio del collettivo e non guardava in faccia nessuno quando c'era da sacrificarsi il nome del pianeta football. Il Torino ancora sta cercando un tecnico che sappia ricalcarne le gesta.
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Gigi Radice |
Gigi Radice con i figli |
Dal sito www.gazzetta.it
7 dicembre 2018
GIGI RADICE È MORTO: VINSE QUATTRO SCUDETTI CON MILAN E TORINO
L'ex giocatore e tecnico si è spento all'età di 83 anni. Vinse tre campionati e una Coppa dei Campioni da giocatore con il Milan, prima di trionfare sulla panchina dei granata, nel primo e unico scudetto dopo Superga
Lutto nel mondo del calcio. Si è spento, all'età di 83 anni, Luigi Radice. Una carriera legata ai colori del Milan e a quelli del Torino, prima da giocatore e poi da tecnico. Con la maglia rossonera vinse tre scudetti a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, prima dello storico trionfo nella Coppa dei Campioni del 1963, la prima conquistata da un club italiano. I successi in panchina, invece, furono a tinte granata: fu lui a guidare il Torino alla conquista del campionato 1975-76, il primo (e finora unico) conquistato dopo la tragedia di Superga.
LA CARRIERA - Cresciuto nel vivaio del Milan, Radice ha debuttato in prima squadra nella stagione 1955-56. Poche presenze all'attivo ma due scudetti in bacheca nei primi quattro anni in rossonero, poi i prestiti alla Triestina e al Padova, preludio ad un ritorno all'ovile da protagonista. Colonna del Milan tricolore nel 1961-62 e del trionfo in Coppa dei Campioni nella stagione successiva, primo successo italiano nella più importante competizione europea per club. Ritiratosi in seguito a un grave infortunio, ha iniziato il percorso da tecnico nel 1966-67, sulla panchina del Monza. Promosso in Serie A col Cesena nel '72-'73, ha legato la sua carriera da allenatore allo storico scudetto conquistato alla prima stagione sulla panchina del Torino, che sotto la sua guida fu capace di conquistare il primo (e per il momento unico) tricolore dopo la tragedia del Grande Torino. Chiuse la carriera sulla panchina sulla quale aveva esordito: quella del Monza, guidato alla promozione in Serie B al termine della stagione 1996-97. Anche negli ultimi anni segnati dalla malattia, quel morbo di Alzheimer rivelato dalla dolorosa confessione del figlio Ruggero, Radice ha continuato a lottare con la sua indole da vero combattente. Il mondo del calcio oggi lo piange, ricordando con grande affetto un personaggio davvero d'altri tempi.
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Dal sito www.gazzetta.it
7 dicembre 2018
GIGI RADICE, IL CORDOGLIO DEL MONDO DEL CALCIO: QUANTI MESSAGGI PER RICORDARLO
Non si stanno facendo attendere le reazioni dopo la morte dell'ex calciatore e tecnico: Milan e Torino celebrano la sua storia, tanto affetto anche dagli ex club e dagli avversari
Tanto affetto e tanti messaggi di cordoglio da parte di tutto il mondo del calcio, che si è stretto nel dolore e nel ricordo per l'addio a Gigi Radice. L'ex giocatore e allenatore, che ha legato la sua carriera in campo ai colori del Milan e la sua esperienza da tecnico a quelli del Torino, si è spento a 83 anni dopo una lunga battaglia combattuta contro il morbo di Alzheimer.
MILAN E TORINO - Rossoneri e granata ricordano con trasporto e commozione un uomo capace di scrivere pagine di storia dei rispettivi club. 'Il suo Milan è stato il primo Club italiano a vincere la Coppa dei Campioni. Lui, Gigi Radice, tre volte campione d'Italia in rossonero, ci ha lasciati. La Storia del calcio e tutto il Milan lo ricordano con affetto e commozione. Condoglianze sincere alla famiglia Radice'', si legge nel post pubblicato sul profilo Twitter del Milan. ''Addio, Mister Radice, colonna della nostra storia. Ieri, oggi, per sempre'', ha twittato il Torino. Il cordoglio del club granata è stato espresso in prima persona, e con grande commozione, dal presidente Urbano Cairo. Struggente anche il ricordo di Claudio Sala, uno degli eroi dello scudetto granata del '76: "Ciao Mister. Ho esordito con te. Ho vinto insieme a te".
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Dal sito www.repubblica.it
7 dicembre 2018
È MORTO GIGI RADICE: CON LUI IL TORINO VINSE L'ULTIMO SCUDETTO
Teorico del calcio totale, si è spento all'età di 83 anni. A lui è legata l'ultima stagione vincente granata, ma nella sua carriera ha guidato anche Inter, Milan e Bologna
ROMA - Il calcio olandese del Torino campione d'Italia del 1976 è ancora oggi ricordato come uno dei modelli massimi di gioco espressi da una squadra italiana. Il tecnico che creò quella squadra, Gigi Radice, è morto oggi all'età di 83 anni. Da tempo era malato di Alzheimer. Sulla panchina granata ha toccato l'apice della sua carriera di allenatore, ma i consensi non mancarono anche nelle esperienze, tra le altre, con Inter, Milan, Bologna, Roma e Fiorentina.
Come calciatore ha militato nel Milan, Triestina e Padova. Prima che un infortunio al ginocchio ne decretasse la fine prematura della carriera, fece in tempo a conquistare con il Milan la prima Coppa dei Campioni vinta da una squadra italiana nel 1963, anche se nella finale contro il Benfica di Eusebio non giocò. In Nazionale fu convocato per il Mondiale in Cile nel 1962, giocando contro Germania Ovest e Svizzera, ma saltando la corrida contro i padroni di casa che decretò l'eliminazione degli azzurri.
Sempre all'avanguardia, anche con squadre di medio cabotaggio come ad esempio la Roma della stagione 1989/90, una delle ultime con Dino Viola presidente. Ricorda Ruggero Rizzitelli, all'epoca attaccante giallorosso: "Radice era un vero gentiluomo, fece innamorare una città".
Altro piccolo capolavoro con il Bologna del 1980/81. Radice seppe risollevare un ambiente scosso dal calcioscommesse della stagione precedente, azzerando in fretta la penalizzazione di 5 punti fino a chiudere al settimo posto. Era sesto anche con la Fiorentina della stagione 1992/93, quando fu esonerato dall'allora presidente Cecchi Gori dopo una lite: la squadra si disunì finendo per retrocedere.
Il capolavoro, come detto, arrivò nel 1976. Il Torino che vinceva si era perso 27 anni prima nel tragico schianto di Superga. In tanti, da Rocco a Giagnoni, avevano provato a riportare il tricolore. L'ultimo ci era andato particolarmente vicino, tanto che i tifosi ricordano ancora con rabbia un gol fantasma non concesso ai granata nella pioggia e fango del Ferraris in un Samp-Toro del 1972, con la squadra lanciatissima in zone di vertice (chissà, ci fosse stato già il Var...). Intanto, nel 1974, una squadra aveva incantato il mondo con il calcio totale. Era l'Olanda di Cruyff. Radice si ispirò molto a quel modello: la marcatura a zona, il pressing in ogni parte del campo. Ebbe poi la bravura e la fortuna di trovare gli interpreti adeguati. "Datemi uno che para e uno che la butta dentro, al resto ci penso io" era una massima di Fulvio Bernardini, un altro innovatore del nostro calcio.
Ma Radice in quel 1976 aveva ancora di più. Uno che parava saltando da un palo all'altro (l'alias Giaguaro era tutto un programma) come Luciano Castellini, addirittura due che la buttavano dentro, i gemelli del gol Graziani e Pulici. "Il mio ricordo di Gigi è meraviglioso. Per me non era solo un allenatore ma un fratello maggiore o un padre", è il pensiero di Graziani. "È stato un maestro, un papà. Mi ha aiutato a essere qualcosa di più di un buon calciatore, mi ha aiutato anche a essere un uomo fuori dal campo" gli fa eco Paolo Pulici: "Era un allenatore che pretendeva da tutti serietà - prosegue Puliciclone -. Ma era anche un uomo, e come uomo chiedeva certe particolarità e bisognava rispettarle. I consigli che ti dava, se li ascoltavi, ti facevano sempre andare in campo e fare bene".
E ancora, un talento purissimo del centrocampo come Eraldo Pecci, un ragionatore come Renato Zaccarelli ed un ala che trovava spazio per il cross lì dove per gli altri questo era precluso, Claudio Sala. Proprio quest'ultimo è stato uno dei primi a ricordarlo: "Radice è stato un innovatore, un grandissimo allenatore che ha cambiato il calcio italiano e ha regalato una delle più grandi soddisfazioni al Torino".
La Juventus anni Settanta, che pure era formata da grandi intepreti, soffriva molto il famoso tremendismo granata. In quella stagione non bastarono ai bianconeri 5 punti di vantaggio (la vittoria valeva 2) alla 21esima giornata. Tre sconfitte consecutive, una delle quali nel derby: fu sorpasso, e il Torino non mollò più fino all'ultimo. La stagione seguente poteva essere un grande bis, ma incredibilmente, nonostante i 50 punti fatti sui 60 disponibili, il tricolore non arrivò per un punto ed a spuntarla fu la Juve dopo un infinito testa a testa.
"In questo momento le parole sono superflue, meno se ne dicono, meglio è: abbiamo perso un grandissimo uomo...". Eraldo Pecci, che del Toro dello scudetto era il regista, fatica a parlare di Gigi Radice. "C'è davvero poco da dire, era un uomo esemplare al quale ero molto affezionato". Due caratteri all'apparenza lontanissimi, Radice schivo e riservato, Pecci esuberante ed estroverso, ma capaci di un rapporto profondo. "Dicevano di lui che era un 'sergente di ferro', invece sapeva essere un uomo molto dolce - ricorda -. Dal punto di vista professionale è stato l'allenatore che ha cambiato il calcio italiano, portando l'Olanda in Italia".
"E' stato un grandissimo nella storia del Torino e in quella del calcio, sport in cui ha interpretato al meglio il ruolo del maestro: entra di diritto nel pantheon granata con gli eroi di Superga", dichoara l'attuale presidente del Toro, Urbano Cairo.
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(dalla "Gazzetta dello Sport" dell'8 dicembre 2018) |
Rassegna stampa sulla morte di Gigi Radice |
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Cimitero di Cesano Maderno (MB) - ingresso, viale centrale, al secondo campo a sinistra, tomba di famiglia Giussani (foto di Giovanni Arbuffi) |
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